30 settembre 2013

REALISMO MAGICO





PIERLUIGI SULLO - REALISMO MAGICO

Se si ha la tentazione di cambiare canale ogni volta che, in tv, si va a sbattere contro un telegiornale o un infinito talk show  in cui si parli di Berlusconi, di Letta, dei “diversamente berlusconiani”, ecc. Perché si ha questo impulso? Per noia, certamente. O perché si ha la sensazione che si stiano divertendo molto, in realtà, a giocare una parte nella commedia, se del caso cambiando parte subito dopo, indignandosi in un bicchiere d’acqua o mentendo con la faccia liscia come una pietra. Per imbarazzo, anche, sentimento nobile che nasce dalla percezione di una familiarità, di una vicinanza con chi mette in pericolo la sua propria dignità: “Eppure mi pareva una persona per bene…”. O: “Sarebbe anche di sinistra…”. Per tutte queste ragioni si cerca di chiudere occhi e orecchie, parlare e sentir parlare di altro, di cose pratiche e utili, di faccende serie come una morte o una nascita.
Ma per le stesse ragioni veniamo attratti: sbirciamo proclami e sussurri, insinuazioni e scarti della politica, ci chiediamo come andrà a finire e – fatalmente – ci mettiamo a fare i conti: quanti senatori occorrono perché il governo continui a vivere facendo a meno di Berlusconi? Qual è – come dicono quelli di Sky Tg 24 – il “magic number”?
Espressione interessante. Trasferisce tutto alla lingua inglese, agli Stati uniti, al numero di delegati necessari perché qualcuno ottenga la candidatura alla presidenza: qui è fuori luogo, però suona bene. E poi induce a pensare alle feste per i bambini, quando il mago, ingaggiato per l’occasione, fa sparire le colombe o apparire i conigli, i bambini ridono e applaudono. E’ questo: siamo i bambini che, dalle loro sedioline, guardano ad occhi sbarrati il realismo magico della politica (esiste anche il realismo magico dell’economia, l’andamento delle borse, dello spread, nonché quello della “crescita” e delle opere “infrastrutturali”, o perfino il realismo magico della tecnologia, che risolverà tutto quando i mari saranno più alti di mezzo metro: tutto un mondo fin troppo materialmente fondato su una visione magica, o folle, delle persone e delle società, e del pianeta).
Il realismo magico incide sulla mappa della nostra vita, nel caso della crisi del governo “delle larghe intese”, un perimetro invalicabile e indiscutibile, più concreto del cemento di cui era fatto il Muro di Berlino. Se il governo vacilla, l’uomo di sinistra (sinistra Pd) del governo, Fassina, subito dice: ecco, ora lo “spread” salirà e a fare la legge di stabilità (la finanziaria) sarà la troika. L’allusione è alla Grecia, naturalmente. Il senso è: perderemo la nostra indipendenza. Tanto più che nella troika c’è un duo europeo, la Commissione e la Bce, ma c’è anche un regolatore globale, il Fondo monetario. Quella di Fassina è una verità mostrata in filigrana, come quando si guarda alla luce, in trasparenza, una banconota. Se noi – il governo, il parlamento e, per estensione, i sindacati e gli industriali, ecc. – non facciamo quel che “loro” dispongono, ossia il rispetto del 3 per cento tra deficit e Pil, il pareggio di bilancio (che ormai è un precetto costituzionale), i tagli sulle spese dello Stato e le privatizzazioni (dette “riforme”), insomma quel che è ormai noto a tutti, allora lo faranno loro, ce lo imporranno con la forza (del debito, degli interessi sul debito, ecc.). Perché saranno loro a proteggerci dai “mercati”, e questo ha un costo.
In questi giorni si è votato in Portogallo e Austria, due paesi europei (e dell’euro). Nel paese nostro cugino, tra le “cicale” del sud, il partito di governo ha perso bruscamente, quello all’opposizione ha vinto, ma ha votato poco più del 50 per cento degli elettori, nonostante si trattasse di un voto per i comuni. In Austria, paese molto “virtuoso”, la “grande coalizione” tra i due partiti tradizionali, e tradizionalmente avversari, i socialdemocratici e i democristiani, ha superato di poco il 50 per cento. Il partito xenofobo è balzato oltre il 20 per cento. E tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. In Germania si va verso una “grosse koalition” tra la Cdu di Angela Merkel – “trionfante” secondo tutti i media ma pur senza più l’alleato liberale e non in grado di fare il governo da sola – e i socialdemocratici. In Grecia, quel che resta dei socialisti del Pasok e quel che resta del centrodestra di Nuova democrazia riescono a malapena ad avere la maggioranza in parlamento, grazie anche a un partito minore di sinistra e al premio che la legge elettorale attribuisce a chi arriva primo. Solo in Francia e in Gran Bretagna i governi sono, grazie alle leggi elettorali, solidi. Più o meno: a Londra, per la prima volta nella storia, c’è un governo di coalizione (conservatori più liberaldemocrarici), mentre la Scozia marcia verso il referendum su una autonomia che assomiglia all’indipendenza. Ossia quel che vuole la Catalogna.
Che panorama è questo? Nell’ultimo sondaggio italiano gli “incerti” sono quasi il 50 per cento, il che, oltre a rendere tutte le percentuali di voto presunte ai singoli partiti assai poco attendibili, suggerisce che l’astensione potrebbe di nuovo, in caso di voto anticipato, avvicinarsi alla soglia del 50 per cento, o superarla. Ma intanto il parlamento è “bloccato”, dice Letta, dal fatto che i 5 Stelle rifiutano di fare accordi con chiunque. Quindi al senato una maggioranza non è possibile e si è dovuto fare il governo ocn un Berlusconi sul punto di essere condannato in via definitiva. Perciò bisogna urgentemente rifare la legge elettorale, perché è incostituzionale (come la Corte decreterà tra breve, e sì che la votarono tutti, compreso il Pd) e soprattutto perché rende impossibile un governo “stabile”.
Ma “stabile” è una parola densa. Non significa solo “in grado di restare saldo per un tempo ragionevole”. Significa, ormai, “in grado di fare quel che le regole europee e dei mercati, impongono con una certa tranquillità e durata”. A questo allude continuamente il presidente della repubblica. Di questo parlano Fassina, Letta e tutto il Pd, così come i “diversamente berlusconiani”, ovviamente il “centro” di Monti e Casini (Sel non si è capito bene: più che altro cerca di mettersi nella posizione di emendare questa Politica Unica, benché non sembri davvero che sia possibile cambiare le ragole di quel gioco giocandolo).
Forse, quel che davvero ci mette a disegio è la sensazione che il confine, tra una politica e un’altra, non passi più per nulla per categorie come “sinistra” e “destra”. attorno alle quali abbiamo organizzato il nostro modo di guardare il mondo per tutta la vita, ma attorno a due alternative difficili da interpretare. Da una parte c’è il “partito” dei mercati, delle “riforme”, del pareggio in bilancio, ecc., in apparenza molto composito ma il cui linguaggio è compatto, inflessibile, e dove le parole sono nuclei indivisibili, veri totem, ad esempio “crescita”. Dall’altra parte, un caos in cui nuotano pesci molto diversi, come gli infiniti e varipinti branchi di disertori del voto, e poi i cinquestelle, e molti dei movimenti sociali che pure fanno della società italiana – nonostante tutto – un vivaio di nuovi modi di fare. E c’è ormai anche Berlusconi, che certo dice di voler fare cadere il governo perché aumenta le tasse, ma tutti sappiamo che è una bugia, lo fa perché non cede un millimetro, nella sua disperata e tenacissima difesa di se stesso, a costo di rompere tutto quel che può rompere, affinché le macerie rallentino la marcia dei magistrati e dei senatori che dovranno certificare la fine politica del ventennale capo della destra.
La situazione è confusa. Al punto che c’è chi vede – e riscuote la simpatia dei più, tra i non berlusconiani – una linea di faglia del tutto diversa. Da una parte c’è il buon funzionamento della democrazia rappresentativa e delle sue istituzioni, c’è la morale pubblica e l’onestà, c’è la Costituzione inapplicata; dall’altra parte c’è il berlusconismo, non solo Berlusconi in persona – per quanto in questo momento sia proprio la sua persona a dare calci alle istituzioni – ossia il malaffare, la corruzione, la ricerca del peggiore compromesso purché assicuri posti, potere e affari. Cosicché rimosso Berlusconi e bonificato il terreno che lui e i suoi hanno avvelenato per vent’anni, ripulite e svuotate le istituzioni, le si potranno di nuovo riempire di persone oneste e competenti, fare un governo presieduto da Rodotà, ad esempio, eleggere parlamentari perbene, e insomma, come ha scritto Marco Revelli, sostituire l’intera classe politica atuale con un’altra.
Quale di queste tre alternative (tenendo ancora in conto l’opposizione destra-sinistra) è quella reale? Ovvero: quale è frutto di uno sguardo non velato dal realismo magico della politica e dell’economia? Se si sceglie la seconda, allora è tutta colpa di Berlusconi, più o meno. E certo ci sono problemi con la Commissione europea e la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, ma una classe politica rinnovata e fedele al suo mandato , se esisterà, potrà non solo comportarsi in modo decente e onesto, come a suo tempo si pensò di Mario Monti, professore molto compito, ma affrontare a testa alta i comandi dei mercati, e di Berlino (additata come nemico da molti). E se in questa nuova classe politica ci sarà molta sinistra, oltre che molta trasparenza, meglio, molto meglio, benché che cosa connoti una “sinistra”, nel tempo della crisi climatica, non è molto chiaro.
Nel primo caso, quello della frattura tra le società e i citatdini, da un versante, e i sistemi politici nazionali, e di quello europeo, organicamente parte del sistema economico globale, sull’altro versante, la faccenda è assai più complicata. Bisognerebbe cercare la scritta che dice “Exit”, per uscire di corsa dal palazzo della politica sul punto di crollare e – magari – costruirne altri. Ma come, con chi, in che tempi nessuno lo sa, quindi meglio non pensarci. Tanto più che in questo caso la colpa non sarebbe solo sua. Di Berlusconi, cioè, che è una variabile impazzita dell’equazione in cui credono ciecamente quelli come lui, è solo una miserabile vicenda criminale i cui rumori distraggono dalla vera decadenza, quella della società.
 


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