Dall'archivio
di Repubblica ci piace prendere questa mattina un articolo di Laura Larcan che ripercorre la vita e lo stile di Paul Gauguin, icona dell'artista
errante. Dall'euforia con cui abbraccia l'impressionismo fino ai momenti che lo
caratterizzano come il precursore del simbolismo
LAURA LARCAN – UN POETA DELL’ESOTISMO
VISIONARIO
Tutto nacque
da un disagio esistenziale. Da un disgusto verso lo scalpitio della vita
moderna, il caos della città, la mondanità scatenata e decadente, la quotidiana
lotta per la sopravvivenza. Tutto nacque dall'utopistica ambizione di trovare
il regno "dell'estasi, della pace e dell'arte, lontano da questa europea
lotta per il denaro". Paradossalmente, se gli impressionisti più veraci
avevano trovato nel tourbillon della belle époque la linfa vitale della loro
arte, Paul Gauguin che da quell'euforia iniziale aveva preso le mosse - l'artista
espose con il gruppo nel 1880 - la rifiutò.
Partito da
una convinzione profonda dell'esperienza sperimentale degli amici
impressionisti, Gauguin, prima cadetto di marina, poi agente di cambio, infine
pittore della domenica, scelse la fuga, sentimental-emotiva, ma anche
espressiva. Cercò ambienti di un primitivismo esotico e mistico, cercò calma e
voluttà, luoghi di bellezze incontaminate, per esternare un'indole libera e
autonoma nei confronti della società. Per collaudare una pratica artistica
visceralmente fondata sul colore evocativo di sentimenti puri, e su un
sintetismo formale frutto non più di un'estemporanea impressione della realtà,
ma di una meditata, visionaria, fantastica e iperdecorativa figurazione. Uno
stile che ne fece un pioniere del credo simbolista riconosciutogli a
posteriori.
Sempre
lontano da Parigi, diventerà l'icona dell'artista errante, cercando conforto e
ispirazione prima in Bretagna, a Pont-Aven, poi ad Arles, nella breve e
tragica, e di conseguenza mitica, stagione di convivenza con Van Gogh, bruciata
dall'inquietudine interiore che tormentava la labile psiche del pittore
olandese. Poi ancora in Polinesia, a Tahiti, e nelle Isole Marchesi, a più
riprese, dove l'incanto per la bellezza dei luoghi e della popolazione - delle
donne, nel dettaglio - lo entusiasmarono a un lavoro quasi etnologico nei
confronti di questa civiltà, allo studio degli indigeni e dei costumi locali.
La vita nel
paradiso ritrovato dell'Oceania non sarà comunque così incondizionatamente
felice. La sua esistenza fu segnata da malattie, dall'alcolismo, dalla
sifilide, da un tentativo di suicidio e - durante il suo secondo soggiorno
nelle Isole Marchesi, dove si trasferisce nel 1901 - da un periodo di
detenzione per aver istigato gli indigeni alla ribellione. Eppure qui, Gauguin
aveva costruito e decorato la sua nuova casa in stile locale chiamandola
"Casa del piacere".
La casa e il
terreno circostante diventeranno di per sé un'opera d'arte, con stipiti e
architravi intagliati, decorazioni scolpite in giro per la proprietà e un
giardino dove pianta girasoli importati dalla Francia.
Ma la
visione fantastica del Pacifico diventa sempre più simile a un incubo. Morirà a
Hiva Oa nel 1903, a 55 anni. E come vuole la tradizione degli artisti
borderline, anche la fine di Gauguin offrì episodi esasperati. Sembra che in
pochi seguirono il feretro di Gauguin al suo funerale e la solennità
dell'occasione fu guastata da una lite sul fatto che l'artista, considerato
reprobo, desiderasse o meno essere sepolto in terra consacrata. Di fatto,
l'unica terra adatta sarebbe stata quella dell'Arcadia.
(...)
Un'arte tra
mito e sogno, quella di Gauguin perché, come sottolinea Stephen F. Eisenman
"nessun artista, né prima né dopo, ha così assiduamente raffigurato
l'incontro tra un colonizzatore europeo e gli indigeni, né trasformato in modo
così radicale tale difficile rapporto in opere altrettanto incantate ed
inquietanti. Gauguin, l'artefice di miti e sogni, Gauguin il Simbolista era
anche Gauguin il virgiliano ed il classicista, i cui modelli di pensiero sono
strettamente legati all'arte ed alle tradizioni letterarie di Roma antica. Allo
stesso tempo, Gauguin era una specie di Odisseo incerto e di maniera, che
vagava per i mari vivendo una vita d'avventura ma anche di privazioni,
agognando il ritorno al protettivo rifugio di amici e famiglia. A differenza di
Odisseo, però, lui non fu in grado di resistere al canto delle sirene e morì
esule, a seimila miglia da casa".
(...)
dall'esordio di gusto impressionista, nel 1880, molto influenzato dall'amicizia
con Pissarro, dopo una formazione familiare distante anni luce, un'infanzia in
Perù, nella casa del nonno materno don Tristan, dove l'artista vive fino
all'età di sette anni, circondato da lusso e da tenerezze (il primo paradiso
perduto), e l'avventura da marinaio semplice a diciassette anni su un
mercantile per il Sudamerica, fino alla partecipazione alla guerra
franco-prussiana del 1870. Per poi approdare a un lavoro da agente di cambio e
al matrimonio con una giovane danese, Mette Sophie Gad, dalla quale avrà cinque
figli. Nel 1883, forse a seguito di un crollo finanziario della borsa, Gauguin
conosce la miseria in concomitanza con la separazione dalla moglie che ritorna
a Copenaghen con i bambini. E lui sceglie comunque l'arte: lascia il suo lavoro,
si trasferisce a Rouen in casa di Pissarro, e comincia a vagheggiare un'idea di
arte di fascinazione primitiva.
Ed ecco lo
sbarco in Bretagna. "Amo la Bretagna. Qui trovo il selvaggio, il
primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento
quella tonalità sorda, opaca e potente che cerco di ottenere nella
pittura", scriveva ai suoi amici Gauguin.
In questa
terra al tempo stesso vicina e remota, Gauguin aveva trovato qualcosa di
impareggiabile, sia nei paesaggi della campagna e della costa, nelle sculture
delle cappelle, nella pietà popolare, sia nei costumi tradizionali. Un
soggiorno di mistico ritiro ma anche di svolta artistica. E qui, dove Gauguin
animò la cosiddetta 'Scuola di Pont-Aven', cioè di un gruppo di artisti che,
influenzato dalla dirompente originalità del suo linguaggio, seppe innovare gli
stanchi stilemi di una tradizione pittorica ancora accademica, fortunato e
proficuo, fu l'incontro tra Gauguin ed Émile Bernard, che ha condotto
all'elaborazione di una tecnica, il 'sintetismo', basata sulla conoscenza delle
stampe giapponesi e del 'cloisonné', antica tecnica con cui venivano realizzate
le vetrate medievali.
Si
proponeva, in tal modo, il superamento della lezione degli impressionisti,
contrapponendo alla loro 'impressione' la traduzione in pittura della visione
soggettiva-simbolista. I soggetti, non ritratti dal vero, ma recuperati da
immagini mnemoniche, vengono caricati di continui rimandi simbolici, espressi
con forme e colori (...)
Tutto sembra
avere per l'artista una valenza antinaturalistica, i ritratti diventano icone
vagamente religiose nella fissità iconica, i colori vengono distribuiti a
larghe campiture piatte dall'effetto bidimensionale e puramente decorativo. Uno
stile esasperato dall'esperienza di Tahiti, dove le opere sembrano evocare la
semplicità esistenziale delle popolazioni primitive. I colori diventano sempre
più protagonisti, stesi con la spatola e rifiniti solo col pennello su
grossolane tele di iuta. Colori che diventano compatti, puri, a sostanziare le
figure massicce e severe che si stagliano su uno scenario ravvicinato, senza
profondità, senza prospettiva. Le forme delle sue donne sono silhouette lineari
scandite per larghe zone di colore, le loro vesti, quando ci sono, cadono senza
pieghe, senza il minimo gioco di chiaroscuro. I contorni tracciano i corpi in
modo netto e preciso, ma è nella natura che Gauguin predilige pennellate più
morbide e sfumate, per nebulose di colore.
Gauguin è il
poeta naif del giallo oro della terra e del blu violaceo della pietra, del
verde smeraldo dei prati e dell'arancio increspato di marrone della pelle degli
indigeni. Gauguin è il poeta dell'esotismo più visionario, che restituisce
luoghi incontaminati col potere assoluto dei colori.
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