Riprendo dal sito Lankelot la recensione di Luca Menichetti di un libro che ricostruisce la storia di un modo di fare politica duro a mutare:
“Vent’anni fa
si spariva dalla vita politica per un avviso di garanzia. Oggi nemmeno
una condanna in Cassazione viene considerata quanto basta (e avanza) per
levarsi di torno […] Con il lupo che fa la vittima, e l’agnello già
mangiato e digerito da un paese smemorato, ipnotizzato, incapace di
ritrovare il bandolo della propria dignità”. Così Michele Serra il 28
agosto 2013 su "Repubblica". Tutto giusto, salvo quella frase iniziale.
Pochi tra coloro che vent’anni fa hanno ricevuto un avviso di garanzia,
nel pieno delle inchieste sulla corruzione e sui finanziamenti illegali
ai partiti, e magari pure condannati o prescritti, sono spariti dalla
circolazione. Qualcuno non c’è più per sopraggiunti limiti di età e
conseguente dipartita, ma quelli che al tempo erano più giovani sono
ancora tra noi e tutti ben inseriti nelle istituzioni e nei partiti.
Appena qualche anno in panchina (ma a volte nemmeno quelli), il tempo
per far dimenticare le marachelle passate, e poi via con una nuova vita
da onorevoli, consulenti, editorialisti, padri nobili.
Son cose
risapute, almeno da coloro che in questi ultimi vent’anni non si sono
fatti abbindolare: i titoli sparati sui giornali di famiglia, gli
editoriali camomilla e quelli incendiari ad opera di servi travestiti da
giornalisti, possono pure funzionare ma per fortuna non è la regola e
qualcuno ha ancora voglia di approfondire e di andare a vedere le
cosiddette carte. Ovvero il reale svolgimento delle indagini, le
intercettazioni, il dispositivo e la motivazione delle sentenze, la
normativa penale.
In
questo senso risulta esemplare il libro di Barbacetto, Gomez, Travaglio,
“Mani pulite”, un poderoso volume che, in oltre ottocento pagine, da
quel 17 febbraio 1992 nel quale fu arrestato il “mariuolo” Mario Chiesa
fino ai giorni nostri, racconta, con dovizia di particolari e grande
chiarezza, vicende altrimenti molto complicate (si parla pur sempre di
reati frutto di complesse manovre finanziarie e con alle spalle un
altrettanto complessa gestione politica) e che spesso sono state
spacciate sbrigativamente come persecuzioni finite nel nulla. Possiamo
ricordare alcune monografie (Giovanardi) nelle quali le inchieste del
’92-‘93 diventano una caccia alle streghe che per lo più ha messo alla
gogna degli innocenti, oppure l’ennesima polemica di Pigi Battista con
Travaglio, probabilmente in riferimento proprio al libro “Mani pulite”,
accusato di dare spazio solo alle tesi dei P.M. In realtà non è affatto
così e bisogna dare atto che gli autori, oltre ad aver raccontato con
precisione l’iter delle innumerevoli inchieste, poi hanno dato atto
delle condanne, delle assoluzioni e delle tantissime prescrizioni. Si
perché di patteggiamenti, condanne, pur con relative sospensioni
condizionali, ce ne sono state moltissime e pure confermate dalla
Cassazione. Con in mente le innumerevoli mistificazioni imbastite dagli
ex indagati e condannati, spesso miracolati da leggi bipartisan scritte
ad hoc, le parole di Piercamillo Davigo, presenti nella quarta di
copertina, ci sono sembrate necessarie: “Il racconto dei fatti spazza
via le sciocchezze e le menzogne che per anni sono state divulgate dai
mezzi di informazione …Quest’opera è un vademecum che aiuterà a
ricordare ciò che è accaduto, perché è l’oblio dei misfatti che
lentamente consuma la libertà delle istituzioni”. A Davigo –
ricordiamolo – magistrato di cultura notoriamente conservatrice ed
appartenente a Magistratura Indipendente, la corrente più “di destra”
della magistratura, per meritarsi il titolo di “toga rossa” è bastato
indagare su alcune aziende e sul loro proprietario, peraltro non più di
quanto era stato fatto anche nei confronti della Fiat e di altri grandi
gruppi. Quindi non si capisce davvero da dove verrebbe fuori la “bufala”
di mani pulite. Ben altro discorso semmai se i condannati, i prescritti
abbiano poi continuato a fare politica spacciando prescrizioni per
assoluzioni e le condanne o i reati amnistiati come un passato di
illibatezza. Da questo punto di vista Barbacetto, Gomez e Travaglio,
carte in mano, non hanno avuto riguardi per nessuno. E proprio per
questo ci siamo in qualche modo riconciliati con Travaglio che da un po’
di tempo a questa parte, con la sua inusitata benevolenza nei confronti
dei pentastellati, con le sue strategie politiche, non c’aveva convinto
più di tanto. Una volta dismessi i panni di editorialista e di
personaggio televisivo, tornato a fare il cronista, a raccontare i fatti
per quelli che sono, si è vista subito la differenza per un libro fiume
che mostra un’Italia letteralmente devastata dall’illegalità.
Le
inchieste, che partono anche prima del 1992 e che poi proseguono con 70
procure al lavoro, 12.000 persone coinvolte per fatti di tangenti, circa
5000 arresti, accompagnano la nascita della cosiddetta Seconda
Repubblica, fondata sul sangue di Falcone e Borsellino, le stragi di
mafia ed anche “sull’inizio della restaurazione”, ovvero il “nuovo
miracolo italiano”, il decreto Biondi e gli imputati ringalluzziti dalla
memoria debole dell’elettorato. Da qui l’informazione addomesticata e
mistificata, gli anni dell’Ulivo e quindi di quell’inciucio cronico che
ha prodotto leggi bipartisan ad personas e ad castam sostanzialmente
volte a disinnescare gli effetti penali delle inchieste passate e
future. Senza dimenticare i dossieraggi nei confronti di magistrati
scomodi, le prime avvisaglie di quella che poi sarà un’ordinaria
“macchina del fango” e la creazione a tavolino di vittime fasulle (su
tutti spiccano le vicende di De Lorenzo e di Caneschi) Impossibile dare
conto compiutamente di tutte le storie di tangenti e illegalità prese in
esame da Barbacetto, Gomez, Travaglio nelle oltre ottocento pagine del
libro, ma possiamo sempre proporre qualche spunto di lettura,
soprattutto in merito a quelle vicende che sembrano dimenticate e
che invece spiegano bene come mai le fondamenta della Seconda Repubblica
si siano rivelate così marce.
Tra
l’altro, coerentemente alla realtà storica, ampio spazio viene dedicato
alle inchieste sul Pci-Pds per finanziamento illecito e corruzione, non
ultimo la vicenda poco nota del centro commerciale di Grugliasco
(“Fininvest e comunisti fianco a fianco”) o quella che a Napoli vide
coinvolto Maurizio Japicca, il responsabile Fininvest per la Campania.
Quel tanto da far compiere all’ex Pci un cambio di rotta nei confronti
della magistratura, secondo le parole di Emanuele Macaluso: “la svolta è
maturata nel partito soprattutto dopo le cose che stanno facendo nei
confronti delle cooperative”(pag 405). Ne emerge un quadro tale da far
venire meno la leggenda che il pool di Milano e la magistratura in
generale abbia volontariamente omesso di incriminare i comunisti: la
verità è che tra i primi indagati di Mani Pulite ci furono proprio
pidiessini, comunque coinvolti nel sistema tangentizio, salvo venire
miracolati da prescrizioni (come quelle più antiche riguardo i
finanziamenti illeciti dall’Urss) e dalla tenacia di un Primo Greganti
rimasto ostinatamente muto ed impermeabile ad ogni accusa. La cosiddetta
diversità comunista appare traballante anche solo nel considerare come
diversi esponenti dell’ex Pci, una volta presi con le mani nel sacco,
patteggiato o condannati, poi, magari passando per il Psi craxiano, si
siano accasati dall’altra parte scoprendosi “moderati” e “garantisti”. E
poi, accanto i reati di finanziamento illecito, la corruzione e la
concussione più spudorata (spesso strumento per finanziare se stessi e
non soltanto i partiti di riferimento), i reati fiscali, i bilanci
occulti, la produzione di denaro extrabilancio, i miliardi occultati nei
paradisi fiscali. Un sistema che non tollerava persone oneste. Così
Paolo Ciaccia alle prese con Pacini Battaglia: “Compresi allora che io
dovevo diventare una persona ricattabile, perché il sistema aveva
bisogno di persone ricattabili in quanto esse – e nella fattispecie io –
costituivano la massima garanzia per la sopravvivenza del sistema
stesso” (pag. 168).
Riguardo
poi il nuovo che avanza e relativo personaggio venuto “a salvarci” un
elenco di inchieste, con tanto di date che non concordano molto con una
discesa in campo disinteressata (ma sappiamo che l’adagio “chissenefrega
se si fa gli affari suoi l’importante è che faccia anche i miei” ha
funzionato per tanto tempo): “E’ invece il caso di riepilogare
brevemente tutte le inchieste che avevano toccato lui e il suo gruppo
prima della sua discesa in campo, a riprova del fatto che essa non fu il
movente delle indagini, ma la conseguenza” (pag. 256).
Tra i
tanti politici coinvolti possiamo ancora ricordare Massimo De Carolis,
l’ex leader della “maggioranza silenziosa”, già paladino della legalità
ma che nel 2005 sarà poi condannato in Cassazione a 1 anno e 8 mesi per
corruzione. Ampio spazio riceve la complicata vicenda Enimont,
impressionante per le mazzette distribuite a pioggia e a tutti; ed
inevitabilmente anche la parabola di un ex presidente del consiglio,
recentemente rivalutato come lungimirante “riformista”: parliamo di
Craxi, dei suoi dossier contro i magistrati e dei suoi conti esteri, di
Tradati e degli altri suoi scherani (si perché questo campione di
riformismo – forse giusto ricordarlo – ha rubato non soltanto per il
partito ma anche per se stesso). Altrettanto
impressionanti le vicende (e relative intercettazioni) che videro
coinvolti magistrati corrotti come Squillante al soldo di Previti; con
tutto il contorno di fango mediatico dispensato a chi aveva permesso di
scoprire il verminaio presente nel “palazzaccio” romano.
Di
pagina in pagina scorrono storie troppo presto dimenticate e qui invece
approfondite e finalmente rese leggibili (sappiamo che i quotidiani e i
media generalisti è più facile si limitino a riportare dichiarazioni
poco sensate di politici e di editorialisti volutamente ignoranti
piuttosto che rendere chiare vicende oggettivamente complesse): quindi
ecco i nomi di Mancuso, di Salamone, di Dell’Utri, di Violante, di
Mills, di Necci e di tanti altri personaggi a dir poco inquietanti. Soprattutto
quanto scritto sugli anni 1997 – 2000 (capitolo significativamente
intitolato “Mani Libere”) l’abbiamo già letto in altri libri di Gomez,
Travaglio e Barbacetto, ma anche ne “La storia del futuro di
Tangentopoli” di Ivan Cicconi, citato proprio dagli autori: in un
contesto di consociativismo criminale, di incredibili leggi imbastite
per procurarsi l’impunità (processo breve, poi processo lungo, poi di
nuovo processo breve, poi il bavaglio alle intercettazioni e via e via),
hanno preso vita altri sistemi tangentizi e di malaffare, diversi dal
sistema milanese scoperto dal “pool” di Borelli ed ora spesso incentrati
sulle grandi opere inutili e l’alta velocità.
Il
quadro che ne emerge è chiarissimo e non mostra alcun miracolo italiano:
vent’anni di declino economico e morale vissuti tra tangenti, mafiosi,
corruttori, bugiardi e tanto fango dispensato da utili e ben
ricompensati servi. «Una vignetta
di Danilo Maramotti su “Cuore” rende bene l’idea: Berlusconi abbraccia
D’Alema e Fini lo interroga: “Silvio sei sicuro che non sia un colpo di
fulmine?”. E Silvio: “No, è che spero sempre in un colpo di spugna”
(pag. 405)»
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Gianni Barbacetto (Milano,
1952), giornalista, scrive su «il Fatto Quotidiano». È direttore di
Omicron (l’Osservatorio milanese sulla criminalità organizzata al Nord).
Ha cominciato a lavorare per la radio (Radio Milano Libera, Radio
Città, Radio Rai). Negli anni Ottanta ha contribuito a fondare il
mensile «Società civile», che ha diretto per una decina d’anni. Si è
molto divertito, anni fa, a condurre un programma televisivo di economia
e finanza su una tv privata (Rete A). Ha realizzato, con il regista
Mosco Boucault, il documentario per la rete franco-tedesca Arte sul Lodo
Mondadori, mai trasmesso in Italia. Ha lavorato per la tv (Annozero,
Blunotte), il cinema (A casa nostra di Francesca Comencini), il teatro
(A cento passi dal Duomo di Giulio Cavalli). I suoi libri: Milano degli
scandali (con Elio Veltri, Laterza 1991); Campioni d’Italia (Tropea
2002); B. Tutte le carte del Presidente (Tropea 2004); Compagni che
sbagliano (il Saggiatore 2007); Il guastafeste (intervista ad Antonio Di
Pietro, Ponte alle Grazie 2009); Se telefonando (Melampo 2009); Il
grande vecchio (Rizzoli-Bur 2009); "Le mani sulla città" (con Davide
Milosa, Chiarelettere 2011). Con Peter Gomez e Marco Travaglio ha
pubblicato "Mani sporche"(Chiarelettere 2007).
Peter Gomez,
dopo la scuola di giornalismo inizia a lavorare all'Arena di Verona.
Nel 1986 approda al giornale di Montanelli per poi passare a La Voce.
Dal 1996 è all'Espresso, dove si è occupato come inviato di tutti i più
importanti casi di corruzione politica, giudiziaria.
E' autore con Marco Travaglio di libri come Regime (2004), Inciucio (2005), Mille balle blu (2006), tutti pubblicati dalla Rizzoli. Con Livio Abbate ha scritto I complici (Fazi 2007). Con Pino Corrias e Marco Travaglio firma il blog voglioscendere per Chiarelettere. Scrive per il “Fatto”.
E' autore con Marco Travaglio di libri come Regime (2004), Inciucio (2005), Mille balle blu (2006), tutti pubblicati dalla Rizzoli. Con Livio Abbate ha scritto I complici (Fazi 2007). Con Pino Corrias e Marco Travaglio firma il blog voglioscendere per Chiarelettere. Scrive per il “Fatto”.
Marco Travaglio,
scrive per Il Fatto, l'Espresso, A, Micromega, dopo aver collaborato
per anni al Giornale diretto da I. Montanelli, Repubblica, l’Unità. Tra
suoi più recenti successi “Mani sporche” (Chiarelettere 2007, con Gianni
Barbacetto e Peter Gomez). Altri suoi libri, tra i tanti, sono “La
scomparsa dei fatti”, “Montanelli e il cavaliere”, “Intoccabili”,
“L'odore dei soldi”, “Bravi ragazzi”, “Se li conosci li eviti”, “Italia
anno zero”, “Papi”, “Uliwood Party”, “Promemoria”, “Colti sul Fatto”,
“BerlusMonti”.
Gianni
Barbacetto, Marco Travaglio, Peter Gomez, “Mani pulite. La vera storia,
20 anni dopo”, Edizioni Chiarelettere (collana Principioattivo), Milano
2012, pag. 882
Luca Menichetti. Lankelot, settembre 2013
Recensione già pubblicata il 5 settembre 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.
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