Lo scandalo romano di questi giorni non è il primo e non sarà l'ultimo.
Ricordate la scandalo della Banca Romana dell'800? Pirandello nel suo romanzo I vecchi e i giovani lo descrisse con toni particolarmente indignati.
Per rinfrescarci la memoria può essere utile andarlo a rileggere.
Mi pare opportuno, inoltre, commentare la pagina pirandelliana con un articolo dello storico della letteratura italiana, Alberto Asor Rosa, che nel 1984 utilizzò le parole di Pirandello per attaccare la DC del tempo.
Il PD odierno non vi pare che somigli tanto alla DC di cui parlava Asor Rosa? (fv)
1. Da I vecchi e giovani (1909) L. Pirandello
Il cav. Cao, a questo punto, tornò a scuotersi come per un brivido alla schiena. Da alcuni giorni era veramente sbigottito della gravità e della tristezza del momento. Tutte le sere, tutte le mattine, i rivenditori di giornali vociavano per le vie di Roma il nome di questo o di quel deputato al Parlamento nazionale, accompagnandolo con lo squarciato bando ora di una truffa ora di uno scrocco a danno di questa o di quella banca. In certi momenti climaterici, ogni uomo cosciente che sdegni di mettersi con gli altri a branco, che fa? si raccoglie; pòndera; assume secondo i proprii convincimenti una parte, e la sostiene. Così aveva fatto il cav. Cao. Aveva assunto la parte dell’indignato e la sosteneva. Non poteva tuttavia negare a se stesso, che godeva in fondo dello scandalo enorme. Ne godeva sopra tutto perché, investito bene della sua parte, trovava in sé in quei giorni una facilità di parola che quasi lo inebriava, certe frasi che gli parevano d’una efficacia meravigliosa e lo riempivano di stupore e d’ammirazione. Ma sì, ma sì: dai cieli d’Italia, in quei giorni, pioveva fango, ecco, e a palle di fango si giocava; e il fango s’appiastrava da per tutto, su le facce pallide e violente degli assaliti e degli assalitori, su le medaglie già guadagnate su i campi di battaglia (che avrebbero dovuto, almeno queste, perdio! esser sacre) e su le croci e le commende e su le marsine gallonate e su le insegne dei pubblici uffici e delle redazioni dei giornali.
Diluviava il fango; e pareva che tutte le cloache della Città si fossero scaricate e che la nuova vita nazionale della terza Roma dovesse affogare in quella torbida fetida alluvione di melma, su cui svolazzavano stridendo, neri uccellacci, il sospetto e la calunnia. Sotto il cielo cinereo, nell’aria densa e fumicosa, mentre come scialbe lune all’umida tetra luce crepuscolare si accendevano ronzando le lampade elettriche, e nell’agitazione degli ombrelli, tra l’incessante spruzzolìo di un’acquerugiola lenta, la folla spiaccicava tutt’intorno, il cav. Cao vedeva in quei giorni ogni piazza diventare una gogna; esecutore, ogni giornalajo cretoso, che brandiva come un’arma il sudicio foglio sfognato dalle officine del ricatto, e vomitava oscenamente le più laide accuse. E nessuna guardia s’attentava a turargli la bocca! Ma già, più oscenamente i fatti stessi urlavano da sé. Uomo d’ordine, il cav. Cao avrebbe voluto difendere a ogni costo il Governo contro la denunzia delle vergognose complicità tra i Ministeri e le Banche e la Borsa attraverso le gazzette e il Parlamento. Non voleva credere che le banche avessero largheggiato verso il Governo per fini elettorali, per altri più loschi fini coperti; e che, favore per favore, il Governo avesse proposto leggi che per le banche erano privilegi, e difeso i prevaricatori, proponendoli agli onori della commenda e del Senato.
Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, 1909
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2. PIOVEVA FANGO DAI CIELI D' ITALIA
Alberto Asor Rosa La Repubblica 25 ottobre 1984
RAMMENTATE quel brano famoso del romanzo I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello? "Ma sì, ma sì: dai cieli d' Italia, in quei giorni pioveva fango, ecco, e a palle di fango si giocava, e il fango s' appiastrava da per tutto, su le facce pallide e violente degli assaliti e degli assalitori, su le medaglie già guadagnate su i campi di battaglia (che avrebbero dovuto almeno queste, perdio! esser sacre) e su le croci e le commende e su le marsine gallonate e su le insegne dei pubblici uffici e delle redazioni dei giornali. Diluviava il fango; e pareva che tutte le cloache della città si fossero scaricate e che la nuova vita nazionale della terza Roma dovesse affogare in quella torbida fetida alluvione di melma, su cui svolazzavano stridendo, neri uccellacci, il sospetto e la calunnia". Pirandello con queste parole descriveva, a qualche anno di distanza, ma con indignazione ancora tutta viva, il clima creatosi nella capitale in seguito allo scandalo della Banca Romana (1893), che travolse provvisoriamente le nascenti fortune dell' incolpevole Giolitti e riportò al potere, per un paradosso di cui ben conosciamo la logica, l' assai più invischiato e compromesso Francesco Crispi: il quale, peraltro, con quel suo improvvido ritorno, doveva affrettare la sua definitiva rovina e quel drammatico passaggio di fine secolo, attraverso cui, con morti numerosi e lacerazioni gravissime, si sarebbe inaugurata una breve e contraddittoria, ancorchè rara e preziosa, esperienza riformista. Cediamo ad una tentazione letteraria, accostando la citazione di Pirandello al clima nostro di oggi? O non sembra, anche a voi come a me, impressionante l' eco che queste parole di settanta-ottanta anni or sono suscitano nelle nostre menti di oggi? A parte l' assenza d' indignazione esplicita da parte d' intellettuali e di scrittori, che allora c' era e ora non c' è, l' analogia resiste, e potrebbe essere meglio specificata mediante queste due osservazioni: 1) Un' altra delle grandi costanti della storia italiana post-unitaria, insieme con il trasformismo, è l' intreccio tra vita politica e affarismo; 2) L' esplosione dello scandalo segnala, più che un moto di generale protesta morale, il quale - è amaro ma doveroso confessarlo - comunemente in Italia è sempre mancato, uno stato di sofferenza del sistema politico, che non riesce più, Nal proprio interno, a mantenere o ricostruire i vecchi equilibri. AMBEDUE queste osservazioni muovono concordemente a legittimarne una terza, che potrebbe a sua volta suonare in questo modo: anche allora, nella peculiare esperienza di quella frazione della Sinistra storica che fu il crispismo, la questione morale - ossia, tanto il diffondersi della corruzione individuale quanto la disponibilità fisiologica delle istituzioni a prestarsi a questa diffusione - aveva una radice precisa nell' esistenza di un sistema politico bloccato e nell' impossibilità (almeno apparente) di un effettivo, reale, autentico ricambio politico-istituzionale. Le analogie, come si vede, sono rilevanti, ma finiscono qui. Colpisce invece, da un certo punto in poi dell' analisi, la diversità delle dimensioni dei fenomeni osservati; diversità, ritengo, sia relativa alla profondità della penetrazione di tali fenomeni dentro le istituzioni sia relativa alla loro estensione geografica sul territorio nazionale, e che perciò, da quantitativa quale appare ad un primo sguardo tende per forza di cose a trasformarsi in qualitativa. La pioggia di fango, che Pirandello vedeva abbattersi su Roma, è diventata un fiume di liquame, che corre impetuoso da Genova a Palermo, passando per Firenze, per Roma, per Napoli, per Bari, non risparmiando nè i centri piccoli nè quelli grandi, invadendo tanto le soffitte quanto le cantine del Palazzo e arrivando a lambire i bottoni di molte stanze importanti. Se le nostre piccole equazioni hanno un senso, se ne dovrebbe arguire che, quanto più il sistema politico post-fascista è rimasto bloccato e autodifensivo rispetto a quello nostro del tardo Ottocento e del primo Novecento, tanto più si sono scatenate le forze degenerative, che una situazione del genereN sempre mette in opera. Allora, le lacerazioni e i pericoli d' involuzione reazionaria e autoritaria furono gravissimi; ma alla fine lo sbocco alla crisi fu possibile all' interno dello stesso gruppo dirigente borghese, che, tra crispismo e giolittismo, giocò fino in fondo la carta del ricambio. Oggi, la perpetuazione oltre misura e oltre natura del blocco ha determinato non solo tutti i fenomeni aberranti che ben conosciamo, ma anche l' avvitamento del sistema politico su se stesso: sistema politico bloccato produce predominio delle nomenclature, il quale produce corruzione del ceto politico, la quale produce degenerazione politico-istituzionale, la quale produce sistema politico bloccato... Riesplode a questo punto la questione morale. Ma non ci si dovrebbe chiedere contemporaneamente come mai tanti disonesti si trovino nel momento giusto al posto giusto (o sbagliato, a seconda delle prospettive), e soprattutto come passare attraverso lo scandalo risolvendo la sofferenza del sistema in una soluzione che consenta di superarla? E allora, se queste domande sono sensate, come si fa a dimenticare che al centro del sistema politico italiano - sistema, appunto, bloccato - siede da quarant' anni, massimo garante e massimo usufruttuario dell' impossibilità del ricambio, non un' entità astratta, non un Grande Vecchio immaginario, ma un partito ben concreto e determinato come la Democrazia cristiana? Non voglio affatto celebrare riti di demonizzazione. Se si potesse guardare alle mie intenzioni più profonde, si dovrebbe dire se mai il contrario. Ma se in frangenti simili c' è reticenza di pensiero, la partita è davvero perduta. LA Democrazia cristiana è diventata il centro di un sistema, che non avrebbe potuto non produrre dosi laceranti di corruzione, dal momento in cui ha accettato di diventare il partito dell' occupazione del potere e degli affari. Fra le tante vicende disgustose e terribili di queste ultime settimane, una mi ha colpito come un' offesa. Ma che partito è mai questo che accetta di scendere nel fango fino al collo per salvare uno come Ciro Cirillo e non muove un dito per sottrarre a morte sicura il suo leader indiscusso, l' elaboratore autentico della sua unica possibile strategia, Aldo Moro? Non rimetto in discussione la linea della fermezza, per la quale anch' io fui in quell' occasione: mi consento, da uomo e da cittadino, di provare angoscia ora per l' intima decisione presa allora, quando ignoravo che gli "amici" del leader sarebbero stati capaci di queste incredibili parzialità. Ora - si sente dire in mezzo al sormontare degli scandali, delle supposizioni, dei sospetti e delle certezze non provate e non provabili - la Democrazia cristiana, quando uno dei suoi uomini viene investito dal ciclone, fa quadrato. Come, fa quadrato? Che vuol dire, far quadrato? Arriviamo, con questo, al secondo punto della nostra "teoria dello scandalo politico in Italia". Se la Democrazia cristiana, ancorando il sistema politico italiano alla sopravvivenza del suo potere, ha fatto della corruzione una vera epidemia contagiosa, proliferando presso taluni alleati imitatori ancor più forsennati dei maestri, l' esplosione dello scandalo rivela che le prospettive tradizionali di governo e i vecchi sistemi di alleanze non reggono più. Su questo il partito comunista gioca la carta dell' alternativa: anche se con deplorevole ritardo, e quasi costretto a viva forza dallo sviluppo oggettivo di quella che potrebbe diventare una vera catastrofe. Ma, in attesa che dell' alternativa maturino tutte le condizioni, è possibile accettare che al centro, ancora e nonostante tutto, del sistema politico italiano permanga un problema irrisolto di così eccezionale gravità? DOPO aver tanto parlato del problema dell' identità comunista, si cominci a parlare di identità democristiana, ormai molto più oscura e misteriosa dell' altra. Il problema dell' identità democristiana sovrasta e determina la questione morale: questo è il punto decisivo di tutto il discorso (di fronte a cui persino i tentativi dell' opposizione di sinistra di presentarsi come alternativa credibile di sistema non colgono ancora il vero cuore della questione). La corruzione ha dilagato non perchè la Democrazia cristiana, nel senso proprio del termine, sia un partito corrotto (come si può dire di certi partiti sudamericani), ma perchè è un partito ambiguo, che consente ai faccendieri, ai ladri e ai Belzebù di sedere accanto a delle bravissime e onestissime persone: e questo non eccezionalmente e, per dir così, a caso, ma nell' apparente organicità di una reciproca e mai dismessa solidarietà (la maggior vittima di questo sistema, Aldo Moro, ne fu al tempo stesso, tragicamente, uno dei massimi creatori). Ora, la vera scommessa di De Mita, quando è diventato segretario, era questa: ri-determinare l' identità democristiana. Non pare ci sia riuscito almeno finora. E' stato un errore cercare di far diventare la Democrazia cristiana un partito moderato laico e moderno. Faccio ammenda della simpatia dimostrata all' inizio per questo tentativo, del tutto intellettualisticamente apprezzabile; il fatto è che questo partito o è in qualche modo cristiano o non è; aver cercato di farlo apparire modernamente più laico è servito soltanto a strappare un altro po' di paramenti dalla sua facciata. Ma un errore anche più grande è stato pensare di ritrovare l' identità, ricompattando ancora una volta le diverse componenti del partito intorno alla questione della irrinunciabilità del potere, e di conseguenza mettendo dentro la stessa maggioranza Andreotti e Andreatta, Bodrato e Gava, Martinazzoli e Lima, Piccoli e Zaccagnini. Sembrava un' invenzione napoleonica: si rivela sempre più un espediente che accelera la degenerazione politico-istituzionale del sistema. Ora è De Mita che sta in mezzo al guado, tra una Dc vecchia che non è affatto morta, e una Dc nuova, che non è per niente nata. Si dirà: la Democrazia cristiana è questa, non c' è via d' uscita. E' possibile, ma non è giusto nè conveniente per l' intera democrazia italiana rassegnarsi all' evidenza. Se la Democrazia cristiana imputridisce là in mezzo, tutto il sistema politico italiano ne risulterà ammorbato.di ALBERTO ASOR ROSA
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