19 dicembre 2014

CHE FINE HA FATTO LA SINISTRA?


Anche se nel mondo d'oggi, non solo in Italia, non si vede  neppure l' ombra della Sinistra che abbiamo sognato, c'è ancora chi non si è stancato di pensarci:

Riflettere sulla sinistra


Il 1989 è un anno-spartiacque non solo per la caduta del Muro di Berlino, appena ricordata. Lo è anche per altri fattori. Proprio in quell’anno si concentrano eventi, che “accanto” alla caduta del Muro, dimostrano come la Storia non corra affatto verso la sua fine, e non ci sia nessuna nottola di Minerva che possa bearsi di alzarsi in volo sul far del tramonto. Ne cito almeno tre: la fatwa lanciata da Khomeini contro Salman Rushdie in febbraio (reo di aver scritto “I versetti satanici”), la repressione della protesta degli studenti a Piazza Tienanmen in giugno, il discorso iper-nazionalista di Milosevic a Kosovo Polje che diede il via alla dissoluzione della Jugoslavia (sempre in giugno).
Riflettere sull’altro 89 ci permette di cogliere alcuni temi proposti nell’ultimo libro di Franco Cassano, “Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento”, e molte delle intuizioni in esso contenute. La sinistra, parola a cui Cassano (a differenza di molti) non rinuncia, non è stata solo incapace di elaborare la crisi del socialismo e la fragorosa dissoluzione del blocco dell’Est. È stata incapace di pensare i nuovi conflitti, le nuove fratture a cui quei tre eventi rimandano, “accanto” al conflitto capitale-lavoro. Eppure quei tre eventi racchiudono i dati salienti della nostra contemporaneità: il fanatismo religioso che si fa fanatismo politico, la seduzione delle sirene etniche davanti a ogni crisi, la particolare commistione cinese tra capitalismo e repressione dittatoriale. Questi tre eventi racchiudono il mondo in cui viviamo (e anche le conseguenze che si riverberano nella periferia italiana), e ciò che Cassano chiama sinistra non sempre è stata capace di pensarli politicamente. Non sempre è stata all’altezza.
Come nota lo stesso Cassano di sfuggita tale miopia davanti alle convulsioni del mondo non è presente solo in “La fine della storia” di Francis Fukuyama ma anche, ad esempio, in un libro che apparentemente si colloca all’estremo opposto, “Impero” di Toni Negri e Michael Hardt – che, volendosi erigere a nuovo manifesto, nega proprio la centralità di quei conflitti. Tra questi due vuoti estremi, ci sono stati poi parecchi balbettii. Se dovessi indicare gli autori che con più forza hanno saputo analizzare i tre eventi, e capire tutta la loro portata esplosiva, mi vengono in mente solo nomi di totali outsider: Alexander Langer sulla Jugoslavia e la portata dei conflitti etnici, Cristopher Hitchens sul fanatismo islamista, Marshall Berman sul capitalismo dittatoriale dell’estremo oriente. Tutti e tre morti, occorrerebbe aggiungere.
Accanto a questo aspetto, a questo ritardo che sarebbe superficiale ridurre al solo ambito della “politica estera”, perché rimanda a qualcosa che ha attraversato ed attraversa le nostre vite e il nostro quotidiano, nel libro di Cassano si coglie un’altra urgenza. Non tanto la riflessione sulla portata rivoluzionaria del capitalismo negli ultimi quindici anni, capace di sovvertire vaste parti del mondo, quanto la constatazione che la frase davvero irrecuperabile di Marx è quella secondo cui il naturale sviluppo del capitalismo avrebbe portato da sé al suo abbattimento.
È questo determinismo ad apparire del tutto insensato. E, per la verità, non da oggi. Che si voglia governare, riformare o superare lo sviluppo capitalistico, servono un progetto politico e un’azione politica. Serve un’intelaiatura politica che rimetta insieme il disperso, e non si perda invece correndo appresso ai “mille particulari”. Il capitalismo è molto più internazionale dei suoi oppositori radicali, nonché dei suoi potenziali riformatori. E questo iato può essere superato solo politicamente, non avviene in natura.
Ecco allora venire a galla una serie di riflessione che trascendono lo stesso libro. Come ricreare quella intelaiatura, qui, ora, nella ristretta provincia italiana? Nelle ultime pagine del volume Cassano parla della necessità di allargare il blocco sociale della sinistra davanti alle trasformazioni in atto. È una riflessione, la sua, che ha preso il via dopo la cocente non-vittoria del Pd bersaniano alle elezioni del febbraio 2013. Ma oggi, si potrebbe chiedere a Cassano, come interpreta il 40% del Pd di Renzi alle ultime europee? Si tratta di un percorso indirizzato verso la ricostruzione di un blocco sociale più ampio o è solo l’effetto di un fuoco di paglia lideristico? E, ancora, come interpretare alla luce di tutto questo un panorama politico in cui – con la flessione di Berlusconi e Grillo – l’alternativa in fieri sembra essere quella tra il partito della nazione renziano (non più, oggettivamente, solo di sinistra) e il non-voto tout court, appena recuperato dal populismo sempre più estremista e xenofobo?
È questa tensione che cova sotto la cenere, e che poi esplode come a Tor Sapienza, oggi a essere poco tematizzata dal pensiero politico. Soprattutto quando si interseca con un netto impoverimento, un netto incupimento, di quei soggetti a cui, credo, il blocco sociale pensato da Cassano non vorrebbe pregiudizialmente sbarrare le porte.

Questo pezzo è uscito sul Corriere del Mezzogiorno. Noi l'abbiamo ripreso da http://www.minimaetmoralia.it/

1 commento:

  1. Condivido il lapidario commento fatto dall'amico Vito Tursi in FB:

    "una parte si è persa nei soldi!"

    RispondiElimina