17 dicembre 2014

F. GARCIA LORCA ASSASSINATO DAI FASCISTI SPAGNOLI








Voglio riproporre oggi il discorso tenuto l'anno scorso dal freterno amico Nicolò Messina  a Marsala per ricordare Federico Garcia Lorca:

Nicolò Messina
Federico García Lorca è senz’altro uno dei nomi più noti, se non il più noto, di tutti gli autori-auctores della Spagna del Novecento. Per motivi intrinseci, letterari, ma anche extra-letterari: la sua omosessualità, la morte tragica.
A tale preciso riguardo non risulti irrispettoso l’affermare che Lorca è forse la vittima più celebre di uno dei tanti eufemismi di cui sono assai fecondi tutti i fascismi, del suo tempo e di altri: ad esempio, soluzione finale o confino e deportazione, non molti anni fa scambiati per «villeggiatura» dalla fervida fantasia di un nostro ex-presidente del Consiglio autodesignatosi Premier.
In effetti, a García Lorca le pasean, cioè lo invitano a fare un paseo, una passeggiata, ovvero lo portano a passeggio, insieme ad altri rojos della sua Granada, tutti “sinistrorsi” pericolosi, un paseo che ha un unico e solo punto d’arrivo: la fucilazione e la sepoltura frettolosa in fosse comuni non registrate, che impedisce ai parenti l’elaborazione del lutto, li priva della stessa consolazione dei rituali funebri: insomma, la negazione della pietas, nella fattispecie cattolica, perpetrata da presunti cattolicissimi neocrociati. Cruzada fu definito dai franchisti il colpo di stato contro le istituzioni repubblicane ispiratore della guerra civile (1936-1939). Ma si pensi anche, sull’onda degli eufemismi, ai tanti desaparecidos di tanti paesi del mondo contemporaneo.
Il fascismo golpista di Francisco Franco e dei suoi generali, sostenuto da quello di legittimi presidenti di governo – Mussolini (1922-1943) e Hitler (1933-1945), ma c’era nelle retrovie anche l’Estado Novo di António Oliveira Salazar (1932-1967) –, pasea e limpia, “porta a passeggio” e “ripulisce” la Spagna. Famose le limpiezas, le “grandi pulizie domestiche” di tante città, alle quali accenna anche Leonardo Sciascia nel suo L’antimonio (1960). Famoso l’intervento terapeutico-sperimentale dell’aviazione tedesca che bombarda a tappeto Guernica (Operazione Rügen, 26 aprile 1937), che non solo segna la genesi dello sconvolgente dipinto di Pablo Picasso, ma anche – a casa nostra – la genesi di Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini: «Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori […] astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto». E famoso anche l’altro intervento chirurgico, danni collaterali compresi, dell’aviazione italiana a Barcellona (16-18 marzo 1938).
Come per un altro grande spagnolo, Antonio Machado, allora, lo sfondo storico ineludibile è la Spagna degli anni Trenta, gli anni dell’euforico rinascimento promosso dalla Repubblica (14 aprile 1931-1 aprile 1939) e della frustrazione sanguinosa di questo sogno di trasformazione sociale-politica-culturale, determinata dalla guerra civile, di fatto “incivile”, vinta dai golpisti franchisti e seguita da quarant’anni di repressione di ogni dissenso. Con due aggravanti, aggiungerei: l’una, l’essere stato, Lorca, assassinato proprio all’inizio della “guerra”, il 18 agosto 1936, ad un mese esatto dall’alzamiento militare golpista (18 luglio). Machado sarebbe invece morto quasi alla fine delle ostilità e in esilio a Cotlliure (22 febbraio 1939), appena oltre il confine franco-spagnolo. E, l’altra aggravante, l’essere stata la vita di Lorca come costretta tra questa data – il 1936 – che ne segna la morte, data tanto cruciale per la storia della Spagna, e l’altra non meno cruciale e traumatica, il 1898, anno della nascita a Fuente Vaqueros-Granada, il 5 giugno. Il 1898 è, in effetti, l’anno della guerra tra USA e Spagna e del conseguente crollo di quel che restava della grandeza della Spagna, del suo Impero: segna la perdita dei territori d’oltremare (come con bell’eufemismo direbbero i francesi): Cuba, Puerto Rico, Isola di Guam (quadrante occidentale del Pacifico, ad est delle Filippine), Filippine (di fronte al Vietnam).
Ricordiamo che questa data designerà addirittura un’intera generazione di intellettuali, la cosiddetta Generación del 98, tutti colpiti dalla crisi seguita alla sconfitta. Un allievo di Ortega y Gasset, Julián Marías, ne ha stilato un elenco. Tra nomi che dicono e non dicono a non spagnoli (tra gli altri, Miguel de Unamuno, Valle-Inclán, Jacinto Benavente, Vicente Blasco Ibáñez, Pio Baroja, Azorín, Ramiro de Maeztu), quelli più noti dei due fratelli Machado, Manuel e Antonio.
Si tratterà forse di coincidenze casuali, di dati aneddotici, ma diranno pur qualcosa della vita di Lorca, scandita tra euforie e pubbliche esibizioni del suo genio, e depressioni vissute nell’intimità ma con conseguenze anche sul suo quotidiano esterno.
Un fatto è fin troppo certo, Lorca fu un “rinascimentale”, un intellettuale poliedrico: scrisse versi e prose e teatro e saggistica, disegnò e dipinse, suonò il piano, recitò, fu organizzatore, agitatore, operatore culturale.
Una foto lo immortala in tuta blu da meccanico ai tempi della sua Barraca: un intellettuale, dunque, che sa usar le mani e se le sporca, queste mani, e che, da un lato, è in grado di dialogare con il meglio della intellettualità della mitica Residencia de Estudiantes di Madrid, cenacolo e vivaio (da lí sarebbe uscita la cosiddetta Generación del 27 di cui anche lui fece parte: Jorge Guillén,Pedro Salinas, Gerardo Diego, Dámaso Alonso, Rafael Alberti, e – soprattutto a lui legati – Luís Buñuel e Salvador Dalí); e dall’altro, si imbarca nella grande avventura, “pratica”, del portare in giro, anche in posti sperduti, il teatro classico spagnolo con questa compagnia itinerante, Teatro Universitario La Barraca, di cui fu condirettore dal 1931 su nomina del ministro della Pubblica Istruzione Fernando de los Ríos.
Nel periodo repubblicano si moltiplicarono questi tentativi di pedagogia della liberazione (come si sarebbe poi chiamata, si pensi a Paulo Freire): le colonias pedagógicas, portatrici sane di alfabeto, per conto dello Stato, negli angoli più reconditi e meno raggiungibili di una Spagna estesa tre volte l’Italia; e questa stessa Barraca, dispensatrice di cultura teatrale, esempio di gestione educativa del tempo libero. L’afflato del tempo era ben interpretato dallo stesso Lorca (Medio pan y un libro. Al pueblo de Fuente Vaqueros – Granada, settembre 1931) con parole di straordinaria attualità in questa nostra epoca – altro bell’eufemismo! – di Spending Review (maiuscole d’obbligo):
No sólo de pan vive el hombre. Yo, si tuviera hambre y estuviera desvalido en la calle no pediría un pan; sino que pediría medio pan y un libro. Y yo ataco desde aquí violentamente a los que solamente hablan de reivindicaciones económicas sin nombrar jamás las reivindicaciones culturales, que es lo que los pueblos piden a gritos. Bien está que todos los hombres coman, pero que todos los hombres sepan. Que gocen todos los frutos del espíritu humano porque lo contrario es convertirlos en máquinas al servicio de Estado, es convertirlos en esclavos de una terrible organización social.[1]
Non vorrei dire altro. Non è questa una lezione su Lorca. Non ne avrei la competenza. Ma da non ispanista, da lettore distratto, non mi dispiace sottolineare qualcosa di ovvio: l’oralità della poesia lorchiana, che induce a leggerla a voce alta; il suo toccare le corde intime e i cosiddetti grandi, eterni temi umani, tra gli altri l’amore e il lutto, eros e thánatos, e il farlo con uno sfolgorio di immagini, di accostamenti cui le nostre letture scolastiche non ci hanno abituato (el frescor bovino de cañavera, recita uno dei testi trascelti per la lettura collettiva), con metri tradizionali (ad esempio, il sonetto inventato da Giacomo da Lentini) e popolari, con mezzi retorici a prima vista semplici, semplicistici, come le martellanti ripetizioni di singole parole e stringhe (chi non ricorda il mitico a las cinco de la tarde, affascinante e a volte anche parodizzato), e quelle anaforiche, allitteranti, come nel citatissimo (Romance Sonámbulo):
Verde que te quiero verde,
verde viento, verdes ramas.
El barco sobre la mar
y el caballo en la montaña.
Finisco questa introduzione al nostro Leyendo a / Leggendo García Lorca con un ammiccamento montaliano: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Come per l’incontro con Antonio Machado (Marsala, Chiostro del Carmine, 6 agosto 2011), questa nostra lettura non è di professionisti della lettura, né è accademica o accademicistica, perché non pretende di fornire una antologia di testi a mo’ di lezione su Lorca. Non lo è nemmeno il cuadernillo, il quadernetto distribuito che fa da supporto, quasi libretto d’opera, a quel che sentiremo.
Questa nostra lettura informale è un modesto omaggio di persone assolutamente correnti a un personaggio senz’altro eccezionale. E a questo fine mette insieme i suoni di due voci madrelingua: l’una della stessa lingua di Lorca, di amiche e amici legati a Marsala, chi da più chi da meno tempo; l’altra di autoctoni, che nel loro essere del sud del mondo ma cittadini di tutto il mondo, di qui e di tanti altri posti, caminantes que se hacen camino al andar, fanno propria questa affermazione del meridionale, andaluso e universale, Lorca:
Yo creo que ser de Granada me inclina a la comprensión simpática de los perseguidos, del gitano, del negro, del judío, del morisco, que todos llevamos dentro.[2]
Come non pensare all’autoritratto di Vincenzo Consolo in un racconto che ha rivisto la luce l’anno scorso (Porta Venezia, in La mia isola è Las Vegas, Milano: Mondadori, 2012, p. 113):
io che sono di tante razze e che non appartengo a nessuna razza, frutto dell’estenuazione bizantina, del dissolvimento ebraico, della ritrazione araba, del seppellimento etiope, io, da una svariata commistione nato per caso bianco con dentro mutilazioni e nostalgie.
Vi leggo quindi i nomi degli uni e degli altri. Da una parte: Javier Arranz, Javier Descalzo, Tania Herrero, Yolanda Horcajada, Marina Landabaso, Tamara Landabaso, Mikeldi Uribe-Etxebarria; dall’altra: Barbara Lottero, Marco Marino, Francesco Palermo Patera, Giovanna Sanfilippo, Francesco Virga.
Non ho letto i nomi dei professori Giovanni Marchetti e Baldo Caradonna, né il mio, perché per tanti motivi, professionali ed esistenziali, non saprei dove collocarli, se qui o en las Españas.
Questa lettura non sarà vana, se farà nascere o rinascere curiosità per Lorca.


[1] Il testo completo dell’appassionato discorso per l’inaugurazione della Biblioteca di Fuente Vaqueros si può leggere in:
[2] http://www.ribatal-andalus.org/index.php/islam/hadiz/916-federico-garcia-lorca-y-blas-infante-dos-victimas-del-espanolismo.html

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