31 dicembre 2014

SCRITTORI E POPOLO SECONDO ASOR ROSA




Non ho mai amato il saggio Scrittori e popolo (1965) di Asor Rosa che ha contribuito non poco a fraintendere l'autentico pensiero di Gramsci. Considerato comunque il peso che il saggio ha avuto nel dibattito culturale e politico degli ultimi 40 anni, non sorprende che abbia avuto diverse edizioni. Non  a caso se ne parla ancora.  (fv)



Alberto Asor Rosa

Siamo rimasti senza il popolo

Intervista di Raffaelle De Santis

Pochi intellettuali come Alberto Asor Rosa hanno contribuito ad indagare a fondo il rapporto tra società e cultura. Asor Rosa è tra gli studiosi maggiormente animati da passione civile, autore di opere chiave, da Scrittori e popolo, in procinto di una nuova edizione a cinquant’anni dalla prima, alla Storia europea della letteratura italiana. Al ruolo del popolo nella nostra letteratura ha dedicato pagine importanti della sua vasta produzione critica.

Professore, è vero che oggi manca un grande romanzo sociale sul modello di quelli del passato?

«Quel tipo di romanzo nasce quando si ha alle spalle una realtà psicologica e intellettuale in cui la questione sociale ha un rilievo straordinario, che va al di là dei confini della letteratura. È stato così per Verga ma anche più recentemente per i neorealisti. Non è più così oggi».

Fatichiamo a prendere atto della realtà in cui viviamo?

«Dovremmo ragionare sul perché nonostante l’aumento delle diseguaglianze la questione sociale non vive nella coscienza della gente. Anche sui media assistiamo alla stessa disattenzione».

Eppure il bestseller di Thomas Piketty Il capitale nel X-XI secolo ha portato di nuovo alla ribalta il tema delle disuguaglianze sociali.

«Piketty è un fenomeno puramente intellettuale che ha avuto un enorme successo ma non trasforma la teoria in coscienza della prassi. Il tema dell’ingiustizia sociale rimane però assolutamente non popolare. La percezione e la condanna delle disuguaglianze nelle nostre società è stata respinta ai margini, non interessa ».

È una colpa da imputare agli scrittori?

«Il romanziere non può provocare qualcosa che non c’è. Come fa ad occuparsi del conflitto sociale e delle sue prospettive quando questi temi, soprattutto in Italia, non sono centrali, anzi sono marginalizzati? I teorici e gli analisti che se ne occupano si contano sulle dita di una mano e non sfondano il muro dell’indifferenza ».

Manca il coraggio della denuncia?

«Non parlerei di coraggio, perché in passato questa formula è stata spesso usata per chiedere agli scrittori cose sbagliate. In realtà i processi creativi sono più spontanei e naturali che indotti. Altrimenti si rischia di cadere in una posizione ideologica».

Nel suo libro Scrittori e popolo, lei demistificava il populismo di molti nostri letterati.

«Il libro, pubblicato nel 1965, è nato nel clima operaista di quegli anni. Allora denunciavo l’aspetto velleitario e ideologico di una critica sociale che non nasceva da intenti esclusivamente artistici ».

Come cambia oggi la prospettiva? È possibile che tra i nuovi scrittori nessuno abbia una coscienza sociale?

«Nella nuova edizione del libro ci saranno, tra gli altri, Melania Mazzucco, Giorgio Vasta, Nicola Lagioia, Mario Desiati, Valeria Parrella, ma non voglio dire di più. Se oggi gli scrittori non guardano al popolo è comprensibile: perché dovrebbero inventare qualcosa che non c’è?»
Fa anche questo parte del “grande silenzio” di cui parla nel libro intervista con Simonetta Fiori?

«Negli scrittori del neorealismo, in Vasco Pratolini, Carlo Bernari, Elio Vittorini, un’idea di popolo c’era, anche se riduttiva o sopraffatta dall’istanza ideologica. Era sanzionabile l’idea populista, ma questi scrittori contribuivano a far conoscere la realtà, la documentavano. Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri è un grande testo di testimonianza sul mondo operaio. Ragazzi di vita e Una vita violenta di Pasolini hanno un marchio ideologico discutibile ma in quei libri c’è un’impronta reale. Il silenzio attuale di scrittori e intellettuali nasce dalla cecità rispetto alla questione sociale. La gente volta la testa dall’altra parte».

Rimpiange lo scrittore engagé?

«Come abitudine mentale tendo a non rimpiangere niente. Mi sembra una stagione passata, a cui è seguita nella letteratura una ricerca più povera, ristretta alle vicende dell’io, senza aperture al mondo esterno. Ormai i personaggi della narrativa sono fondamentalmente incardinati nella propria vicenda individuale».

La Repubblica – 28 dicembre 2014

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