Nel 1944 alla
liberazione di Atene gli Inglesi spararono sui partigiani che erano
stati loro alleati. Churchill temeva la presa del potere da parte dei
comunisti. Lo scontro innescò una guerra civile fra tra monarchici e
sinistra che provocò 40 mila morti e 50 mila prigionieri. Il caso greco condizionò la politica italiana anche
dopo la fine della guerra. L'Italia restò un paese a sovranità
limitata (sotto l'egida USA) fino al crollo dell'URSS e del PCI.
Eric Gobetti
Grecia 1944, il
massacro che aprì la Guerra Fredda
Se alla fine della Seconda guerra mondiale le popolazioni dei singoli Paesi d’Europa avessero potuto scegliere autonomamente il proprio sistema politico, la carta del continente sarebbe stata decisamente diversa. Senza dubbio Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, forse anche Romania e Bulgaria avrebbero avuto un governo conservatore e filo-occidentale. La Grecia sarebbe stata comunista e probabilmente pure l’Italia. Invece i destini dell’Europa sono stati decisi a tavolino, prima della fine del conflitto, con un accordo segreto fra Churchill e Stalin passato alla storia come «il patto delle percentuali».
Durante la conferenza di Mosca dell’ottobre del 1944 la Grecia veniva arbitrariamente attribuita per il 90% all’influenza occidentale. In quegli stessi giorni i tedeschi si stavano ritirando dal Paese, lasciando il campo alla resistenza comunista che controllava già di fatto l’intero territorio. Gli interessi delle grandi potenze vincitrici, l’ambiguità di Stalin nell’animare la resistenza pur accettando il predominio angloamericano sulla Grecia, l’ostinazione anticomunista di Churchill, condussero invece il Paese a una guerra civile che fece registrare, in poco più di tre anni, circa 40.000 morti, 700.000 profughi (fra cui 25.000 bambini trasferiti nei Paesi del blocco filosovietico) e 50.000 detenuti politici (spesso rimasti tali fino alla fine della dittatura dei colonnelli, nel 1974). Quel drammatico conflitto, poco conosciuto in Italia, è raccontato in una serie di saggi raccolti nel volume Neve e fango per dissetarmi, curato da Silvia Calamati per Edizioni Socrates.
Il cuore della pubblicazione è rappresentato dal diario di un combattente comunista braccato dalle forze monarchiche nel maggio del 1949, poco prima della sconfitta definitiva. Sotiris Kanellopoulos vive con una manciata di compagni giorni incredibili, passando da una grotta a un’altra, su una montagna priva di risorse idriche e alimentari. Stremati, affamati, indeboliti dalla sete e dalle ferite, il gruppo si sgretola, mentre Sotiris continua ad annotare gli avvenimenti quotidiani, la gioia di una canzone o una poesia, la primavera che sboccia, i rari pastori al pascolo. Saranno le sue ultime settimane di vita: verrà catturato e ucciso nel maggio 1949, a 41 anni. Una vita intensa, la sua, vissuta fino all’ultimo con estremo coraggio, spirito di sacrificio, passione per le piccole cose come per i grandi ideali.
A distanza di 70 anni
le sue parole ci proiettano in un mondo che pare lontanissimo dal
nostro, in un’Europa uscita stremata dalla guerra ma dove i
conflitti, alimentati da un intreccio di elementi ideologici e
nazionali, faticavano a spegnersi. Lo stesso accadeva, ad esempio,
sul nostro confine orientale, dove ansia di vendetta,
contrapposizione ideologica, odi nazionali provocarono quello
strascico di conflitto che diede vita all’esodo di gran parte
della popolazione istriana. Tuttavia casi analoghi di violenze
civili, epurazioni o mancate epurazioni degli apparati statali,
vendette più o meno private, tentativi di resistenza armata,
avvenivano alla fine della guerra in ogni angolo d’Europa,
Italia compresa.
Nel contesto europeo
la Grecia rappresenta un caso paradigmatico, nel quale si
susseguono in maniera esemplare le diverse fasi di un decennio di
conflitti e violenze politiche: dalla dittatura filofascista di
Metaxas (1936-1941) alla guerra mondiale (con l’intervento di
italiani, tedeschi, bulgari e britannici), dalla guerra di
liberazione (col suo corollario di conflitto interno e feroci
repressioni, tra cui la poco nota strage di Domenikon, ad opera
degli alpini italiani) alla guerra civile (1946-1949). Due lustri
di violenze che raggiungono l’apice con la guerra civile, «la
più feroce e sincera di tutte le guerre», con le parole di
Concetto Marchesi. Una guerra poi, quella di Grecia, che segnerà
per anni la memoria del Paese e dell’Europa intera, finendo per
rappresentare al tempo stesso l’ultima guerra civile del secondo
conflitto mondiale e il primo fronte «caldo» della Guerra
Fredda.
La Stampa – 16
dicembre 2014
Carlo Antonio
Biscotto
La Grecia, i
neonazi e il tradimento di Churchill
Il 3 dicembre 1944: un giorno che ha cambiato la storia della Grecia. Ad Atene, in piazza Syntagma la polizia greca e i soldati britannici, ancora in guerra con la Germania nazista, aprirono il fuoco dal tetto del Parlamento sui dimostranti facendo diversi morti. Erano passate sei settimane dalla liberazione della Grecia e molti erano scesi in piazza per appoggiare i partigiani con i quali la Gran Bretagna era stata alleata per tre anni. Quel giorno, invece, i soldati di Sua Maestà armarono i collaborazionisti tradendo chi aveva dato la vita per la democrazia.
A 70 anni di distanza
il poeta Titos Patrikios, 86 anni, ricorda tutto, scena per
scena: “La folla dei dimostranti sventolava bandiere greche,
britanniche, americane e russe. Morirono 28 persone, per lo più
giovani donne e uomini, e centinaia furono ferite. Non se lo
aspettava nessuno. E in quel lago di sangue annegò probabilmente
il futuro della democrazia greca”. Quel massacro fu la
conseguenza di un cinico calcolo di Churchill il quale riteneva
eccessivo il peso del Partito comunista greco all’interno del
movimento di liberazione e temeva che la sinistra greca avrebbe
ostacolato il suo progetto di rimettere il re sul trono di Atene.
Preferì snaturare le alleanze e sostenere i filo-nazisti greci.
POCHI GIORNI dopo, l’aviazione britannica attaccava le roccaforti della sinistra greca dando inizio alla cosiddetta ”Battaglia di Atene” che i greci ricordano con il nome di Dekemvriana. Il risultato di questa decisione fu una tragica guerra civile, un bagno di sangue che rappresenta una macchia nella storia della Grecia, ma anche in quella della Gran Bretagna. Su questa pagina vergognosa della storia britannica è calata la congiura del silenzio, pochi ne parlano e la storiografia ufficiale si ostina a non riconoscere le conseguenze che quel tradimento ebbe sullo sviluppo democratico della Grecia.
“Le conseguenze della rivolta del dicembre 1944 e della guerra civile del 1946-49 sono ancora tra noi”, spiega lo storico André Gerolymatos, studioso del periodo. “I partigiani francesi e italiani furono rispettati da tutti dopo la guerra, a prescindere dalle diverse posizioni politiche. In Grecia chi aveva preso parte alla Resistenza fu perseguitato, incarcerato e torturato, su ordine dei britannici, da quelle stesse persone che avevano collaborato con i nazisti. I crimini commessi contro i partigiani non furono mai riconosciuti, non c’è mai stato un solo processo contro i collaborazionisti greci e in buona parte quanto sta accadendo oggi in Grecia con il travolgente successo di una formazione politica di estrema destra come Alba Dorata, è la conseguenza del non aver voluto fare i conti con il passato”.
Alla fine della Dekemvriana, erano morte decine di migliaia di persone e 12.000 ex partigiani furono arrestati e inviati in diversi campi di concentramento in Medio Oriente. Dopo la firma del cessate il fuoco, ebbe inizio in Grecia un periodo che va sotto il nome di ”terrore bianco”. Tutti coloro che erano sospettati di aver spalleggiato i partigiani e la sinistra durante la guerra civile furono arrestati e avviati in veri e propri gulag per essere torturati e talvolta uccisi.
La storia, inesorabile, si ripete. Il 25 gennaio 2009 la polizia greca ha usato i lacrimogeni contro una folla di dimostranti che chiedeva lavoro e giustizia. Tra loro c’era una giovane di nome Marina che non riesce a darsi pace: “Perché la Grecia? In cosa saremmo diversi dal resto d’Europa? Solo da noi i partigiani sono stati perseguitati, torturati e uccisi. La mia famiglia ha conosciuto il carcere e le torture per due generazioni prima di me: mio nonno dopo la seconda guerra mondiale, mio padre durante il regime dei colonnelli. E oggi potrebbe toccare a me, in qualunque momento, quando meno me lo aspetto. Siamo i nipoti degli antifascisti e i nostri nemici sono i nipotini greci di Churchill”.
il Fatto – 14 dicembre
2014
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