Questa mattina riprendo da http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/ un bel saggio:
di Sandra Bardotti
La crisi ideologica che, negli anni Sessanta e Settanta, ha portato
Pasolini fino alla sfiducia testimoniata dagli Scritti corsari e
dalla Lettere luterane, oltre che dalla produzione poetica,
narrativa, teatrale e cinematografica, fu una profonda crisi personale, che
portò alla rottura con una grande personalità che si era legata a lui con un
vincolo di affetto profondo e intimo, Elsa Morante. Non ha senso cercare di
stabilire quale delle due sia maggiormente rilevante. Credo sia solo possibile
affermare che furono concomitanti, che l’una coinvolse l’altra. Sicuramente il
distacco dalla Morante fu un momento molto difficile per Pasolini, perché
coinvolse e mise in crisi anche la visione di intellettuale e di uomo che egli
aveva di se stesso.
Pasolini e la Morante si conobbero verso la metà degli anni Cinquanta, e la loro conoscenza fu mediata dalla figura di Alberto Moravia. L’ammirazione di Pasolini per la scrittrice si manifesta già nel 1953, quando egli ha la possibilità di leggere Lo scialle andaluso, apparso su ‹‹Botteghe oscure››. È tra il 1953 e l’anno successivo, dunque, che si deve collocare l’incontro personale, testimoniato dall’epistolario pasoliniano. Subito tra i due scatta una reciproca stima, ma anche un dialogo produttivo che non risparmia critiche e biasimi; insomma, un rapporto di sincera amicizia. La frequentazione si fa assidua soprattutto durante gli anni Sessanta, e nel 1961 l’amicizia si era consolidata a tal punto che i tre organizzarono insieme un viaggio in India.
Pasolini e la Morante si conobbero verso la metà degli anni Cinquanta, e la loro conoscenza fu mediata dalla figura di Alberto Moravia. L’ammirazione di Pasolini per la scrittrice si manifesta già nel 1953, quando egli ha la possibilità di leggere Lo scialle andaluso, apparso su ‹‹Botteghe oscure››. È tra il 1953 e l’anno successivo, dunque, che si deve collocare l’incontro personale, testimoniato dall’epistolario pasoliniano. Subito tra i due scatta una reciproca stima, ma anche un dialogo produttivo che non risparmia critiche e biasimi; insomma, un rapporto di sincera amicizia. La frequentazione si fa assidua soprattutto durante gli anni Sessanta, e nel 1961 l’amicizia si era consolidata a tal punto che i tre organizzarono insieme un viaggio in India.
Pasolini,
Alberto Moravia e Elsa Morante
Di questa esperienza rimangono le testimonianze di Pasolini (L’odore
dell’India) e di Moravia (Un’idea dell’India), così diverse tra
loro, che documentano due approcci assai distanti al paese visitato. Indicativo
è che Pasolini si presenti più solidale con le idee di carità che Elsa mostra
di avere, rispetto al maggiore realismo scettico dell’amico Moravia. “La
fraternità si cementa in una comune appartenenza alla razza di coloro che hanno
‹‹come ideale della vita, quello di svuotare con un ditale il mare››[i]”[ii]. Anche se il realismo
dei primi romanzi romani pasoliniani sembra così diverso dall’indagine
psicologica con cui sono indagati i personaggi delle borgate romane nei romanzi
della Morante, un filo sottile lega i due scrittori. È l’amore per i ragazzini,
per una società sottoproletaria che appare ancora incosciente dei cambiamenti
messi in atto dal nuovo Potere consumistico, che attraversa i loro romanzi. Il
discorso potrebbe essere più chiaro se analizzassimo il significato che il
concetto di “barbarie” viene ad assumere nell’opera di entrambi, ma non è
questo il luogo per affrontare un parallelo che pure si rivelerebbe
interessantissimo; per chi volesse approfondire l’argomento preferiamo
rimandare al bel saggio di Massimo Fusillo[iii]. Basterebbe la
testimonianza dell’incipit de Il pianto della scavatrice: “Solo
l’amare, solo il conoscere / conta”[iv], che omaggia il
morantiano “Solo chi ama conosce”[v](Alibi), per
capire la comunione di visione e le corrispondenze che si venivano a creare tra
i due poeti. Si tratta di un’adulazione reciproca, di un omaggiarsi a doppio
senso, di rispecchiamenti continui dell’altro nella propria opera. Per celebrare
l’amica, Pasolini le dedica anche il volume La religione del mio tempo,
uscito nel 1961.
Pasolini deve essersi presentato alla Morante, fin dai primi momenti della loro amicizia, come un nuovo Rimbaud. Del resto, egli è uno dei pochi autori del nostro Novecento che abbia ripetuto un’esperienza così rivoluzionaria come fu quella di Rimbaud un secolo prima. La sua genialità, la sua precocità colpirono immediatamente una donna così sensibile e attenta al mondo letterario. Poi ci fu la comunanza di motivi, temi, intenti: Pasolini le appariva come colui che avrebbe potuto, come Rimbaud, accusare con violenza inaudita il mondo del nuovo capitalismo, dare una scossa a tutta la società borghese che stava procedendo al genocidio del mondo sottoproletario, svelare con la forza della sua parola l’inganno che si celava dietro l’apparente benessere. Già in Poesia in forma di rosa, però, Elsa scorgerà una radice narcisistica e una vena di populismo che non apprezzerà. Così, dopo aver letto Poesia in forma di rosa, nel 1964, scrive e invia all’amico un testo “scherzoso”, Madrigale in forma di gatto, un calligramma in cui lo accusa di ipocrisia, di finto amore, di malafede ideologica:
Pasolini deve essersi presentato alla Morante, fin dai primi momenti della loro amicizia, come un nuovo Rimbaud. Del resto, egli è uno dei pochi autori del nostro Novecento che abbia ripetuto un’esperienza così rivoluzionaria come fu quella di Rimbaud un secolo prima. La sua genialità, la sua precocità colpirono immediatamente una donna così sensibile e attenta al mondo letterario. Poi ci fu la comunanza di motivi, temi, intenti: Pasolini le appariva come colui che avrebbe potuto, come Rimbaud, accusare con violenza inaudita il mondo del nuovo capitalismo, dare una scossa a tutta la società borghese che stava procedendo al genocidio del mondo sottoproletario, svelare con la forza della sua parola l’inganno che si celava dietro l’apparente benessere. Già in Poesia in forma di rosa, però, Elsa scorgerà una radice narcisistica e una vena di populismo che non apprezzerà. Così, dopo aver letto Poesia in forma di rosa, nel 1964, scrive e invia all’amico un testo “scherzoso”, Madrigale in forma di gatto, un calligramma in cui lo accusa di ipocrisia, di finto amore, di malafede ideologica:
La rosa è la forma delle beatitudini.
Beata l’angoscia in forma di rosa.
Beato il disordine e la libidine sanguinosa
la passione di sé invereconda gli eccessi di velocità e
le orge funebri
il nero rifiuto dello sposalizio le bandiere dell’oltran-
za le corazze dell’ignoranza
i vari equivoci dell’egoismo le mascherate degli
stracci
le carità pretestuose le immondizie deificate
i pregiudizi di casta l’alibi storicistico
le complicità attuali, l’adorazione ai padri farisei, la
paura della castrazione
il candido tradimento il pianto vantone
la corda sentimentale e la spada della ragione
beate le secrezioni i visceri della letteratura l’oratorio
la mistificazione
quando finalmente s’aprono in forma di rosa!
Il ragazzo che si intende protagonista del mondo
(protagonista anche se bandito, anzi di più perché bandito …
starà sempre beato al centro della rosa.
E lui beato ignorerà gli altri peccatori al bando della rosa
e al bando di se stessi
non protagonisti del mondo
non leggenda di se stessi
soli senza nessun addio. Agonie senza nessun pianto
e nessuna rosa.
Il gatto che non crepa[vi]
Beata l’angoscia in forma di rosa.
Beato il disordine e la libidine sanguinosa
la passione di sé invereconda gli eccessi di velocità e
le orge funebri
il nero rifiuto dello sposalizio le bandiere dell’oltran-
za le corazze dell’ignoranza
i vari equivoci dell’egoismo le mascherate degli
stracci
le carità pretestuose le immondizie deificate
i pregiudizi di casta l’alibi storicistico
le complicità attuali, l’adorazione ai padri farisei, la
paura della castrazione
il candido tradimento il pianto vantone
la corda sentimentale e la spada della ragione
beate le secrezioni i visceri della letteratura l’oratorio
la mistificazione
quando finalmente s’aprono in forma di rosa!
Il ragazzo che si intende protagonista del mondo
(protagonista anche se bandito, anzi di più perché bandito …
starà sempre beato al centro della rosa.
E lui beato ignorerà gli altri peccatori al bando della rosa
e al bando di se stessi
non protagonisti del mondo
non leggenda di se stessi
soli senza nessun addio. Agonie senza nessun pianto
e nessuna rosa.
Il gatto che non crepa[vi]
Non sono accuse da poco. Sostanzialmente Elsa accusa Pasolini proprio di
falso amore verso il sottoproletariato, di narcisismo e protagonismo. A ciò si
aggiungerà uno screzio ancora più grande: quando l’Arco Film si rifiuta di
pagare due attori amici di Elsa che avevano partecipato al Vangelo
secondo Matteo, e Pasolini non fa niente contro la casa di produzione
cinematografica, scriverà all’amico:
“E’ chiaro che aspettarsi un simile rispetto da parte di quegli immondi
stronzi dell’Arco Film era utopistico, per non dire cretino, giacché loro non
rispettano che la merda (cioè proprio quelle poche miserabili lire che tu
dici). Almeno avrei voluto che tu, con la tua autorità, gli facessi almeno
mettere il muso nella merda loro, almeno per un momento, e che si vergognassero
almeno (loro stessi per la loro parte in quanto persone) della loro merda ecc.
ecc. […] E tu sai benissimo che il pagare di tua tasca (o io di mia tasca) qui
non significa niente […]. Perciò anche se tu fossi miliardario (e purtroppo non
lo sei) non potrei accettare i tuoi soldi […]. L’ombra che tu dici sulla nostra
amicizia lo sai benissimo non è il debito tuo, che fra l’altro non esiste; ma
‹‹l’adorazione ai Padri Farisei›› come ti avevo già scritto nella poesia. Ma
non è vero che questa è la prima volta che c’è quest’ombra”.[vii]
Elsa, dunque, gli rimprovera una
complicità con i padroni, l’incapacità di opporsi alla forza capitalistica;
accusa durissima per un poeta civile che tutto voleva mostrare di essere tranne
che un borghese omologato e consumista come gli altri. L’immagine che Elsa si
era costruita di Pier Paolo continuerà a sgretolarsi col tempo. Intanto, siamo
arrivati alla metà degli anni Sessanta e, nonostante queste polemiche tra i
due, si può affermare che è il periodo di maggiore vicinanza ideologica.
Entrambi sono in disarmonia con il mondo, ma, mentre Pasolini sembra spinto a
scrivere e produrre sempre di più come se si trattasse di una competizione
contro la società del Potere, Elsa se ne sta da parte facendosi scudo con il
suo ammaliante umorismo. Mentre Pasolini accusa e respinge quella società che
continuamente lo esclude, Elsa ama chi la odia e non chiede niente in cambio,
come amano le madri. Mentre Pasolini cerca di rinnegare la sua appartenenza
piccolo-borghese con lo strumento della rimozione, Elsa usa quello della
parodia innamorata.
Dopo il 1969 i contrasti subiscono una chiusura comunicativa e cessano di essere dispute produttive e stimolanti per entrambi. La Morante si sente sostanzialmente delusa. Pasolini non si è rivelato essere quell’uomo che lei aveva dipinto, quel geniale Rimbaud forte della sua maledizione. Pasolini era diventato insopportabile nella sua angoscia di sentirsi sempre messo sotto accusa. Si sentiva escluso e condannato anche quando non lo era, e avvertiva il bisogno di difendersi continuamente. Si ripiegava sempre più su se stesso, e aveva abiurato per sempre quella vena poetica così pura delle poesie friulane e delle Ceneri. Alla Morante sembrava che egli perdesse tempo inutilmente. D’altra parte, lui si sentiva chiuso nel rimorso di non essere stato all’altezza di quella figura che lei aveva creato di lui. Si sentiva sopravvalutato da Elsa, e ciò gli provocava il vergognoso rimorso di non essere riuscito a soddisfare le sue aspettative.
Dopo il 1969 i contrasti subiscono una chiusura comunicativa e cessano di essere dispute produttive e stimolanti per entrambi. La Morante si sente sostanzialmente delusa. Pasolini non si è rivelato essere quell’uomo che lei aveva dipinto, quel geniale Rimbaud forte della sua maledizione. Pasolini era diventato insopportabile nella sua angoscia di sentirsi sempre messo sotto accusa. Si sentiva escluso e condannato anche quando non lo era, e avvertiva il bisogno di difendersi continuamente. Si ripiegava sempre più su se stesso, e aveva abiurato per sempre quella vena poetica così pura delle poesie friulane e delle Ceneri. Alla Morante sembrava che egli perdesse tempo inutilmente. D’altra parte, lui si sentiva chiuso nel rimorso di non essere stato all’altezza di quella figura che lei aveva creato di lui. Si sentiva sopravvalutato da Elsa, e ciò gli provocava il vergognoso rimorso di non essere riuscito a soddisfare le sue aspettative.
Nel 1971, dopo l’uscita di Trasumanar e organizzar, Elsa
scriverà una lettera per cercare di sottrarsi al ruolo di “Regina Esigente” che
Pasolini le aveva attribuito:
Si sa che ogni spiegazione è inutile.
Tanto l’altro spiega la nostra spiegazione
con la sua spiegazione. E così l’equivoco
gira in eterno. Ma questo è bene in fondo
come in fondo tutto è bene […].
A ogni modo (anche se NON ‹‹a scanso di equivoci››)
io qui m’affanno a comunicarti
quello che tu vuoi negare: insomma che
non rimprovero NIENTE A NESSUNO
e tanto meno a te.
[…] Io rimprovero solo ME, per una cosa
e anche me, per quella sola (ti avverto
che se credi d’averla indovinata ti sbagli).
È la sola cosa che non c’è nel tuo libro
che pure è un libro disperato.
Disperato ma beato
perché quella cosa non c’è
(e se credi d’indovinarla ti sbagli).
Il tuo libro è disperato-beato perché sì. Dentro
c’è Pier Paolo
e Ninetto e Maria e pure Elsa
(benché solo l’Elsa che tu vuoi conoscere
e cioè dico la pura la
inconcussa Oh Dio
essa è concussa e invece impura
ecc. ecc.
Ma tu beato vuoi che gli appartenenti
a Pier Paolo
siano come Pier Paolo li vuole
e hai ragione. BADA! HAI RAGIONE!!
Forse il solo modo di farli esistere (gli altri)
è questo: il tuo).
A ogni modo, nel tuo libro c’è Pier Paolo
e basta.[viii]
Tanto l’altro spiega la nostra spiegazione
con la sua spiegazione. E così l’equivoco
gira in eterno. Ma questo è bene in fondo
come in fondo tutto è bene […].
A ogni modo (anche se NON ‹‹a scanso di equivoci››)
io qui m’affanno a comunicarti
quello che tu vuoi negare: insomma che
non rimprovero NIENTE A NESSUNO
e tanto meno a te.
[…] Io rimprovero solo ME, per una cosa
e anche me, per quella sola (ti avverto
che se credi d’averla indovinata ti sbagli).
È la sola cosa che non c’è nel tuo libro
che pure è un libro disperato.
Disperato ma beato
perché quella cosa non c’è
(e se credi d’indovinarla ti sbagli).
Il tuo libro è disperato-beato perché sì. Dentro
c’è Pier Paolo
e Ninetto e Maria e pure Elsa
(benché solo l’Elsa che tu vuoi conoscere
e cioè dico la pura la
inconcussa Oh Dio
essa è concussa e invece impura
ecc. ecc.
Ma tu beato vuoi che gli appartenenti
a Pier Paolo
siano come Pier Paolo li vuole
e hai ragione. BADA! HAI RAGIONE!!
Forse il solo modo di farli esistere (gli altri)
è questo: il tuo).
A ogni modo, nel tuo libro c’è Pier Paolo
e basta.[viii]
La Morante testimonia dunque l’impossibilità di un dialogo con Pasolini,
perché quest’ultimo non riesce più ad ascoltare gli altri e a instaurare un
confronto. Nelle sue poesie c’è solo lui, solo il suo narcisismo, e non c’è
posto per gli altri. Al massimo vi si sente l’eco di altre persone a lui care e
vicine, ma la loro immagine risulta sempre filtrata e deformata dalla presenza
di un Ego assoluto e totalizzante, padrone incontrastato della scena. Così Elsa
gli rivela anche di non essere la pura e inconcussa che egli credeva, né
tantomeno colei che crede di avere l’autorità di rimproverare qualcuno.
Poi, nel 1971 Ninetto decide di sposarsi. È questo l’anno della crisi definitiva con la Morante. Pasolini si sente abbandonato, tradito dall’amico, e lo accusa di aver voluto seguire la propria natura allontanandosi da un “dovere” che aveva nei suoi confronti. Ad agosto scrive a Volponi:
Poi, nel 1971 Ninetto decide di sposarsi. È questo l’anno della crisi definitiva con la Morante. Pasolini si sente abbandonato, tradito dall’amico, e lo accusa di aver voluto seguire la propria natura allontanandosi da un “dovere” che aveva nei suoi confronti. Ad agosto scrive a Volponi:
“Dopo quasi nove anni Ninetto non c’è più. Ho perso il senso della vita.
Penso soltanto a morire o a cose simili. Tutto mi è crollato intorno: Ninetto
con la sua ragazza, disposto a tutto, anche a tornare a fare il falegname
(senza battere ciglio) pur di stare con lei; e io incapace di accettare questa
orrenda realtà, che non solo mi rovina il presente, ma getta una luce di dolore
anche in tutti questi anni che io ho creduto di gioia, almeno per la presenza
lieta, inalterabile di lui. Ti prego, non parlarne con persona al mondo. Non
voglio che si parli di questa cosa. Tu e Elsa siete i soli (con Nico) che lo
sanno. Può darsi che io riesca a vivere ancora”.[ix]
Elsa sta dalla parte di Ninetto, sostiene il suo diritto a innamorarsi di
una donna, e dice a Pasolini che amare vuol dire desiderare il bene di chi si
ama, senza chiedere niente in cambio. Chi gli aveva finora dato sostegno e
garantito forza vitale se ne va, lasciandolo solo. Egli non sopporta di restare
solo con la propria diversità. Così, proietta sulla Morante il fantasma della
“Madre Consolatrice”. Sa che la verità della Morante, della Madre, è superiore,
ma proprio come un bambino non vuole accettarla.
Il ritratto che Pasolini ci offre di Elsa in Petrolio dimostra come l’amica sia stata un centro focale fino agli ultimi anni, e quanto la sofferenza provocata dal suo abbandono abbia inciso anche nelle scelte formali della sua ultima produzione. Viene detto subito di lei che aveva “il viso di giovane gatta”[x], e anche i caratteri psicologici le appartengono inequivocabilmente (“padrona del proprio pensare, per quanto il suo fondo potesse essere passionale, viscerale e tempestoso”[xi]). Tutta impegnata nella sua opera di carità nei confronti di un ragazzino alquanto bruttino, ma che a lei doveva sembrare bellissimo, non sta ad ascoltare l’amico. Lei non sta mai a sentirlo, per tutta la durata della loro amicizia; questo è quello che Pasolini, da figlio, le rimprovera. Lui ha un segreto di incalcolabile valore storico che vorrebbe donarle, perché è stata lei stessa a porsi nel mondo come una che non ha nulla da perdere. Ma lei rifiuta lo scambio, rifiuta di prendersi questo peso. Pasolini le rimprovera anche di non essersi mai schierata al suo fianco nelle battaglie sostenute contro le istituzioni e la politica, di essere sempre stata passiva.
Credo sia possibile che il recupero dell’opera di Rimbaud nell’ultimo Pasolini, di cui ho già parlato nel saggio Una lunga stagione in inferno: Rimbaud nell’opera di Pasolini, edito in “Studi pasoliniani” (n. 3, 2009), sia dovuto alla volontà del figlio-Pasolini di dimostrare alla madre-Elsa che l’immagine che lei aveva sempre dipinto di lui era vera. Come un bambino che voglia dimostrare alla madre il suo amore. La nega, la accusa, ma nello stesso tempo le ubbidisce. Tutto come nel più comune dei rapporti madre-figlio. Questa è la motivazione che abbiamo intravisto nel recupero di Rimbaud da parte di Pasolini, perché non è da sottovalutare l’importanza della figura della Morante in tutta la vita di Pasolini. È lei la donna più importante della sua vita, dopo la madre; e ai suoi pensieri, accuse o lodi, dedicherà sempre un’attenzione particolare.
Ne Lo scialle andaluso si racconta di un bambino che desidera diventare santo, e ci rinuncia per amore della madre. I due vivono una vita mediocre, con lei “convinta che lui sia destinato a qualcosa di grande”[xii]. Sembra che già in questo racconto giovanile lei sia stata capace di prefigurare quell’amicizia che nacque e si sviluppò con Pasolini alcuni anni dopo. Forse sentiva che sarebbe arrivato un “figlio” che avrebbe incrociato il suo cammino, che l’avrebbe riempita di gioie e di dispiaceri, che avrebbe tentato di intervenire nel mondo con la sua parola e di scongiurare l’ecatombe borghese come lei non era riuscita a fare. Forse era proprio lei che cercava questo nuovo Rimbaud, e lo aveva espresso già in questo racconto. Pasolini all’inizio fu in grado di assolvere questo compito, ma poi si rivelò troppo preso da sé e dalle sue angosce.
Si tratta solo di uno spunto di lettura, che rivela ancora una volta quanto sia divertente fare critica letteraria.
Il ritratto che Pasolini ci offre di Elsa in Petrolio dimostra come l’amica sia stata un centro focale fino agli ultimi anni, e quanto la sofferenza provocata dal suo abbandono abbia inciso anche nelle scelte formali della sua ultima produzione. Viene detto subito di lei che aveva “il viso di giovane gatta”[x], e anche i caratteri psicologici le appartengono inequivocabilmente (“padrona del proprio pensare, per quanto il suo fondo potesse essere passionale, viscerale e tempestoso”[xi]). Tutta impegnata nella sua opera di carità nei confronti di un ragazzino alquanto bruttino, ma che a lei doveva sembrare bellissimo, non sta ad ascoltare l’amico. Lei non sta mai a sentirlo, per tutta la durata della loro amicizia; questo è quello che Pasolini, da figlio, le rimprovera. Lui ha un segreto di incalcolabile valore storico che vorrebbe donarle, perché è stata lei stessa a porsi nel mondo come una che non ha nulla da perdere. Ma lei rifiuta lo scambio, rifiuta di prendersi questo peso. Pasolini le rimprovera anche di non essersi mai schierata al suo fianco nelle battaglie sostenute contro le istituzioni e la politica, di essere sempre stata passiva.
Credo sia possibile che il recupero dell’opera di Rimbaud nell’ultimo Pasolini, di cui ho già parlato nel saggio Una lunga stagione in inferno: Rimbaud nell’opera di Pasolini, edito in “Studi pasoliniani” (n. 3, 2009), sia dovuto alla volontà del figlio-Pasolini di dimostrare alla madre-Elsa che l’immagine che lei aveva sempre dipinto di lui era vera. Come un bambino che voglia dimostrare alla madre il suo amore. La nega, la accusa, ma nello stesso tempo le ubbidisce. Tutto come nel più comune dei rapporti madre-figlio. Questa è la motivazione che abbiamo intravisto nel recupero di Rimbaud da parte di Pasolini, perché non è da sottovalutare l’importanza della figura della Morante in tutta la vita di Pasolini. È lei la donna più importante della sua vita, dopo la madre; e ai suoi pensieri, accuse o lodi, dedicherà sempre un’attenzione particolare.
Ne Lo scialle andaluso si racconta di un bambino che desidera diventare santo, e ci rinuncia per amore della madre. I due vivono una vita mediocre, con lei “convinta che lui sia destinato a qualcosa di grande”[xii]. Sembra che già in questo racconto giovanile lei sia stata capace di prefigurare quell’amicizia che nacque e si sviluppò con Pasolini alcuni anni dopo. Forse sentiva che sarebbe arrivato un “figlio” che avrebbe incrociato il suo cammino, che l’avrebbe riempita di gioie e di dispiaceri, che avrebbe tentato di intervenire nel mondo con la sua parola e di scongiurare l’ecatombe borghese come lei non era riuscita a fare. Forse era proprio lei che cercava questo nuovo Rimbaud, e lo aveva espresso già in questo racconto. Pasolini all’inizio fu in grado di assolvere questo compito, ma poi si rivelò troppo preso da sé e dalle sue angosce.
Si tratta solo di uno spunto di lettura, che rivela ancora una volta quanto sia divertente fare critica letteraria.
www.mastereditoria.it – Università di Pavia
Note
[i]P. P. Pasolini, L’odore
dell’India; in P. P. Pasolini, Romanzi e racconti , a cura
di W. Siti e S. De Laude, Meridiani Mondadori, Milano 1998, vol. I (1946-1961),
pag. 1233.
[ii]W. Siti, Elsa Morante nell’opera di Pier Paolo Pasolini, in Vent’anni dopo La Storia. Omaggio a Elsa Morante, a cura di C. D’Angeli e G. Magrini, Studi Novecenteschi, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, pag. 134.
[iii]M. Fusillo, ‹‹Credo nelle chiacchiere dei barbari››. Il tema della barbarie in Elsa Morante e in Pier Paolo Pasolini, in Vent’anni dopo La Storia. Omaggio a Elsa Morante, cit., pagg. 97-129.
[iv]P. P. Pasolini, Il pianto della scavatrice; in P. P. Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, Meridiani Mondadori, Milano 2003, vol. I, pag. 833.
[v]E. Morante, Alibi; in E. Morante, Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, Meridiani Mondadori, Milano 1988, vol. I, pag. 1392.
[vi]Il testo è pubblicato da N. Naldini in P. P. Pasolini, Lettere 1955-1975, Einaudi, Torino 1988, pagg. LXXXIX-XC.
[vii] Ibidem, pag. CLXXIII.
[viii] Ibidem, pagg. CXXXVI-CXXXVII.
[ix] Ibidem, pag. 707.
[x]P. P. Pasolini, Petrolio, a cura di Silvia De Laude, Oscar Mondadori, Milano 2005, pag. 27.
[xi] Ibidem, pag. 27.
[xii]E. Morante, Lo scialle andaluso; in E. Morante, Opere, cit., vol. I, pag. 1578
[ii]W. Siti, Elsa Morante nell’opera di Pier Paolo Pasolini, in Vent’anni dopo La Storia. Omaggio a Elsa Morante, a cura di C. D’Angeli e G. Magrini, Studi Novecenteschi, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, pag. 134.
[iii]M. Fusillo, ‹‹Credo nelle chiacchiere dei barbari››. Il tema della barbarie in Elsa Morante e in Pier Paolo Pasolini, in Vent’anni dopo La Storia. Omaggio a Elsa Morante, cit., pagg. 97-129.
[iv]P. P. Pasolini, Il pianto della scavatrice; in P. P. Pasolini, Tutte le poesie, a cura di W. Siti, Meridiani Mondadori, Milano 2003, vol. I, pag. 833.
[v]E. Morante, Alibi; in E. Morante, Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, Meridiani Mondadori, Milano 1988, vol. I, pag. 1392.
[vi]Il testo è pubblicato da N. Naldini in P. P. Pasolini, Lettere 1955-1975, Einaudi, Torino 1988, pagg. LXXXIX-XC.
[vii] Ibidem, pag. CLXXIII.
[viii] Ibidem, pagg. CXXXVI-CXXXVII.
[ix] Ibidem, pag. 707.
[x]P. P. Pasolini, Petrolio, a cura di Silvia De Laude, Oscar Mondadori, Milano 2005, pag. 27.
[xi] Ibidem, pag. 27.
[xii]E. Morante, Lo scialle andaluso; in E. Morante, Opere, cit., vol. I, pag. 1578
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