IN SICILIA CULTURA E COMPETENZA NON CONTANO NULLA
Tempio di Segesta (TP)
In Sicilia l'essere esperti sembra contare sempre meno. Intervista a Settis
di Isabella Di Bartoli
Quando parla della Sicilia, Salvatore Settis è combattuto tra rabbia e
amore. La rabbia per una regione che non vuole chiedere aiuto e calpesta
se stessa, l'amore per un'Isola che è tra i luoghi più ricchi di
bellezza nel mondo.
Archeologo e storico dell'arte, Settis è stato direttore della Normale di Pisa dove insegna, del Getty center for the history and art
di Los Angeles e del Consiglio superiore dei Beni culturali; è
componente dell'Istituto tedesco di Archeologia, dell'Accademia dei
Lincei e del Comitato scientifico dell'European research Counsil e
presidente del Consiglio scientifico del Louvre. Ma, soprattutto, è uno
strenuo difensore del patrimonio inteso come parte di un popolo. Davanti
alle denunce, alle immagini, alle segnalazioni di un patrimonio
identitario che, giorno dopo giorno, continua a morire, Settis si
sorprende poco. E addita la colpa di quest'incuria culturale a chi
gestisce la cosa pubblica e non lo fa. Affatto.
«È stata una pessima idea affidare alla Regione siciliana, unica in
Italia, la tutela totale dei beni culturali - afferma il docente - Il
ministero per i Beni culturali conta in tutte le regioni, anche in
quelle a statuto speciale come la Sardegna, eppure in Sicilia non conta
nulla. L'Isola fa storia a sé, non si compara, resta chiusa in se
stessa. Ed è un isolamento a cui ha condotto l'atteggiamento di tanti
politici siciliani che, da assessori o presidenti della Regione o,
ancora, legati alla gestione dei beni culturali, si occupano della
tutela del patrimonio come se la Sicilia fosse uno Stato a sé. Come se
lo stretto di Messina definisse un confine netto, non solo geografico,
con il resto dell'Italia».
La "bizzarria", come la definisce il professore Settis, è che la
devoluzione piena alla Regione dei suoi beni culturali sia avvenuta
nello stesso anno in cui fu istituito il ministero per i Beni culturali.
Il Governo, infatti, ritenne necessario dar vita a un dicastero
preposto alla cultura, all'arte, al patrimonio storico e ambientale e,
appena sei mesi dopo, tolse a se stesso la competenza di tutelare i beni
culturali di una delle regioni con la più alta densità di patrimonio.
Una bizzarria, appunto.
«Questo rivela la povertà politica italiana già nel 1975 - dice
l'archeologo -. Ma commettere un errore non significa tuttavia
continuare a ripeterlo. In Sicilia, la mancanza di comparazione con
altre regioni dà alle amministrazioni una sorta di delirio di
onnipotenza. La Regione siciliana ha così l'illusione di poter fare
tutto con conseguenze negative per il territorio. E' questa condizione
che conduce, ad esempio, a decisioni come quelle di allontanare i
soprintendenti più competenti, come accaduto di recente. E tutto ciò
lascia intendere che la competenza conti sempre meno in Sicilia».
Gestione e politica, poi, significa soldi. E quando si parla di beni
culturali in Sicilia e denaro lo scenario è quello di sprechi e
occasioni perdute. Ma Settis dice di più.
«In situazione dominata da questo delirio di onnipotenza da parte della
Regione - afferma il docente - e dall'illusione di essere al riparo
dalle critiche, l'investimento delle risorse economiche a disposizione
del territorio spesso viene indirizzato sulla base della simpatia
politica o di decisioni extra-tecniche. Credo che il caso del Teatro
greco di Siracusa che si sbriciola sia un caso di scuola: i nostri
monumenti perdono pezzi per mancanza di manutenzione. Invece è proprio
l'attenzione costante, l'intervento programmato che Giovanni Urbani ha
sempre raccomandato, la priorità. Se ciò manca, tutto crolla. I beni
culturali, in fondo, sono come il nostro corpo: bisogna curarlo
costantemente. Lo sbriciolarsi del Teatro greco di Siracusa è, appunto,
il sintomo di una malattia: sono sicuro che metteranno a posto le pietre
fratturate, ma bisogna curare le ragioni della malattia».
Professore, perché è così difficile in Sicilia coniugare la salvaguardia del patrimonio con lo sviluppo del territorio?
«La difficoltà nasce da una carenza di cultura istituzionale. Un
assessore regionale dovrebbe sapere che nelle Soprintendenze e nei musei
debbano lavorare figure di altissima competenza e questo, invece,
accade in alcune istituzioni e in altre no. Di certo, la maggioranza
degli assessori regionali non ha mostrato attenzione alla vera
competenza; piuttosto molti sono stati attenti al fatto che
soprintendenti e direttori di musei fossero ubbidienti più che
preparati. Una vera cultura istituzionale è quella capace di dare alla
competenza il suo valore. Ancora, sul difficile connubio tra tutela e
sviluppo conta la concezione stessa del patrimonio: anche in Sicilia
vale la Costituzione della Repubblica, almeno così dovrebbe essere.
L'art. 9 è chiaro: dice che il paesaggio e il patrimonio appartengono ai
cittadini e fanno parte dell'identità nazionale e del possesso a titolo
di sovranità, allora questo deve essere il punto dominante. Non la
rincorsa ai turisti che, certo, hanno diritto ad ammirare e godere la
bellezza dei luoghi. Ma il patrimonio è di chi vive in questi luoghi.
Non si può trasformare una città d'arte e cultura in una Disneyland per
turisti ma la prima cosa, quella fondamentale, è custodire il patrimonio
per i cittadini che ne sono i proprietari legittimi. E questo senso
istituzionale che manca e non solo in Sicilia. L'art. 9 dice che il
livello di tutela e i criteri di valorizzazione del patrimonio debbono
essere identici in tutto il territorio italiano: non è così. E il caso
massimo è proprio la Sicilia che non viene più comparata al resto
d'Italia».
Salvatore Settis ricorda, a tale proposito, che quando era presidente
del Consiglio superiore dei Beni culturali chiese notizie del patrimonio
siciliano senza, tuttavia, ottenere notizie. Gli uffici del ministero,
infatti, non sapevano alcunché della Sicilia e dei suoi beni. La
situazione non è cambiata oggi perché il ministero non conosce nemmeno
le statistiche, i numeri di musei e luoghi d'arte e cultura siciliani.
«E allora - dice Settis - se la situazione è questa, come si può sperare
di essere riconosciuti per quello che si è: uno dei più grandi fiori
all'occhiello del patrimonio italiano? Forse nessuna regione della
Penisola può competere con la Sicilia per bellezza».
La gestione di monumenti e musei è spesso legata anche al loro
ritorno economico. Un piccolo gioiello-museo come quello di Lentini, per
esempio, è fanalino di coda in Italia e mantenere luoghi che non
offrono prospettive di introito è spesso al centro del problema
gestionale siciliano. Qual è il suo commento?
«Lo affido, ancora, al principio dell'art. 9 della Costituzione che
asserisce come il valore culturale dei beni sia al di sopra di qualsiasi
significato economico. Non possiamo accettare il fatto che, se un museo
non ha incassi sufficienti a coprire i costi del suo mantenimento,
debba chiudere. Se questo è il criterio, allora chiudiamo tutte le
scuole elementari e medie d'Italia perché certamente non portano
guadagni. Musei, teatri, luoghi d'arte sono aspetti della cultura vitali
per la salute mentale dei cittadini tutti, per la creatività di un
popolo e per le nuove generazioni a cui si potranno assicurare le
condizioni della creatività che poi, a loro volta, dedicheranno al
futuro in ogni settore e professione. Se parliamo di ragioni meschine,
quando si parla di cultura, allora stiamo commettendo suicidio. Anzi,
stiamo per premere il grilletto».
Cosa pensa dei prestiti delle opere d'arte e delle grandi mostre che la Sicilia non allestisce?
«Il business delle mostre va rivisto seppur non radicalmente. Non sono
affatto convinto che si facciano troppe mostre in Italia ma il punto
dev'essere "cosa si fa". Una mostra, rispetto alle collezioni
permanenti, è un'occasione per pensare e ha senso quando riesce ad
accostare oggetti che di solito si trovano in musei diversi, in chiese
diverse. Ad esempio, le mostre di Raffaello al Prado o al Louvre che
consentono di vedere, insieme, opere di uno stesso autore, di uno stesso
periodo. E questa è un'occasione unica. Oggi invece prevale l'idea di
mostre del tutto pretestuose in cui o si chiede in prestito un pezzo,
come i frontoni del Partenone all'Hermitage o il quadro "La ragazza con
l'orecchino di perla" a Bologna che diventa un'icona. Noi invece non
abbiamo bisogno di icone da adorare ma di arte che ci faccia pensare. Le
opere prestate dalla Sicilia, come il Satiro di Mazara, se comparato
con altre statue, in un contesto, ha senso. Se invece si prende un
oggetto, unico ed iconico, no. E a dimostrazione di ciò vi è il fatto
che far circolare le opere siciliane nel mondo non fa, poi, arrivare
turisti in Sicilia. L'assenza quasi totale, l'incapacità di produrre
grandi mostre in Sicilia è molto chiara a differenza di regioni simili,
per bellezza e patrimonio, come la Toscana che, invece, allestisce
eventi nel segno della grande arte. Spero che non sia sempre così».
Come può allora la Sicilia salvare il suo patrimonio e guardare al futuro?
«Ci vuole umiltà. E vorrei ricordare che l'articolo 9 della Costituzione
venne proposto da un siciliano, il catanese Concetto Marchesi, che era
un grande latinista e rettore dell'Università di Padova, poi senatore
della Repubblica. Fu proprio lui ad evidenziare come fosse necessario
evitare che le regioni, a cominciare dalla Sicilia, tenessero per sé il
patrimonio e la sua gestione facendone strazio. Con Aldo Moro, propose
di evitare la regionalizzazione dei beni culturali. Se oggi Marchese
fosse vivo, direbbe: quanto avevo ragione».
Itervista pubblicata su
Patrimoniosos.it, 10 dicembre 2014, ripresa da http://www.eddyburg.it
Appena pubblicata questa intervista, su facebook sono arrivati i primi commenti. Eccoli:
RispondiEliminaSilvana Gay: Mica solo in Sicilia! Non contano nulla da nessuna parte... In questo non c'è differenza fra Nord e Sud
Francesco Virga: Cara Silvana, penso proprio che tu abbia ragione. D'altra parte uno scrittore che mi è caro, Leonardo Sciascia, si era accorto già da tempo che "la linea della palma" aveva raggiunto la pianura padana!
Silvana Gay: Non c'è campo in cui la mediocrità non avanzi. Un sistema mafioso ben radicato nella mentalità, consolidatosi negli ultimi famigerati decenni. Con danni in gran parte irreparabili. Difficile tenere in piedi un edificio con le fondamenta marce... Specie quando di cambiamenti positivi non si vede l'ombra, se non in microscala... Tanti cervelli, tante risorse sprecate. Purtroppo non è pessimismo ma puro e semplice realismo.
Concorderei in massima parte con Voi. Dove c'è un tessuto industriale diffuso la competenza ha un suo legittimo valore. Poi l'Italia e la struttura statale, sopratutto, hanno fiumi di sangue blu, anche trasfuso e si sa nella classe aristocratica il lavoro é aborrito e conta la posizione ...
RispondiEliminaFrancesco Mollame
Altri commenti pervenuti, tramite FB:
RispondiEliminaSanto Lombino: Da quanto ne capisco io, Settis ha proprio ragione. Chi lavora nei Beni culturali dovrebbe essere cosciente di quello che fa ed essere valutato in rapporto al resto d'Italia e del mondo!
Salvatore Lisciandrello: I vari responsabili dei beni culturali della regione Sicilia hanno considerato il settore come bacino di voti. Basta girare nei vari musei per rendersi conto di chi ci lavora,di quanti addetti ci sono e della loro professionalità.