23 dicembre 2014

DIPINGERE LA NOTTE

                                                      Vincent van Gogh: Sentiero di notte in Provenza ( 1890)

Da Caravaggio a Van Gogh come dipingere l’oscurità. Alla Basilica Palladiana di Vicenza un singolare percorso tra capolavori antichi e moderni che descrive il rapporto dell’arte con il buio.

Lea Mattarella

La notte

Dipingere la notte. Quella che oscura il paesaggio, ma anche quella dell’anima, delle sue tenebre. Oppure della quiete e del silenzio. La mostra Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento , curata da Marco Goldin e aperta fino al 2 giugno alla Basilica Palladiana di Vicenza, ci conduce attraverso un viaggio tra tramonti e notti stellate, tra natura e sacralità. Goldin affida a circa 120 opere il compito di raccontare quella che Merleau Ponty chiama la “notte senza profili”, che permette di delineare una “spazialità senza cose”, la cui “unità è l’unità mistica del mana”, del soprannaturale, della forza vitale, dell’energia.

Il primo capitolo di questa lunga storia è l’Egitto dove la notte – spiega Goldin – «è intesa in senso figurato, come cammino nell’oscurità di un dopo morte che invece si illumina con la resistenza delle immagini della vita, degli oggetti della vita, le figure, i segni, i simboli».

Si passa poi a una narrazione che raccoglie alcuni capolavori della pittura occidentale come Giorgione, Veronese, Caravaggio, El Greco, Tiziano, Guercino, Annibale Carracci, Tintoretto.

          Michelangelo Merisi da Caravaggio: Marta e Maria Maddalena ( 1598)

L’oscurità avvolge gli episodi della vita di Cristo e dei santi. E, spesso, in mostra si procede per confronti tra dipinti lontani per geografia e per cronologia che, tuttavia, sono capaci di agire come detonatori gli uni degli altri. Guardiamo ad esempio le Crocifissioni: ecco quella dipinta da Veronese alla fine della sua carriera nel 1580, che mostra come anche questo pittore, di solito attento a celebrare la gloria mondana, sia capace di riflessioni intensamente spirituali.

Qui, mentre si compie il sacrificio di Cristo, il cielo si copre di oscurità, di nuvole minacciose e l’unico elemento luminoso è proprio quello che arriva dal corpo straziato del figlio di Dio. Affollata di persone è la messa in scena di Nicolas Poussin. In quest’opera della piena maturità “il pittore filosofo” con quei rossi che squarciano lo spazio tocca vertici di grande drammaticità. Tanto da rifiutarsi di dipingere una successiva Salita al Calvario . «Non ho più abbastanza allegria né salute – scrive al committente – per impegnarmi in soggetti tristi. La Crocifissione mi ha fatto stare male, ho provato molta pena, ma un Cristo portacroce finirebbe con l’uccidermi. Non potrei resistere ai pensieri penosi e seri di cui bisogna riempire lo spirito e il cuore per riuscire in soggetti di per sé così tristi e lugubri. Dunque risparmiatemi, per favore».

       Caspar David Friedrich: Città al chiaro di luna (1817)

Tocca poi a Francis Bacon e al suo Frammenti di Crocifissione del 1950 elevare a dismisura il tasso di immaginazione tragica, tra spazi inafferrabili, urla e carni straziate. E nella sua dichiarazione «ogni volta che vado dal macellaio, mi stupisco sempre del fatto di non trovarmi lì al posto dell’animale» c’è proprio questa idea di un destino che non risparmia nessuno, la consapevolezza di esistere e di potersi “vedere” solo attraverso il sacrificio, il sangue, la sofferenza.

Un’altra storia religiosa che ama il buio è quella di san Francesco in estasi: lo inquadrano con l’angelo Caravaggio e Orazio Gentileschi, mentre El Greco lo ritrae in preghiera, nelle sue forme allungate che emergono da grigi e neri e ne accentuano l’elemento mistico. E Zurbarán ne restituisce un’immagine potente, arcaica, spirituale e immobile costruita con i toni terrosi che sempre predilige.

Nel percorso dell’esposizio ne c’è anche il frammento della notte: quello che giunge dalla finestra. Bellissime le due di Antonio López García, grande artista spagnolo, che sa interpretare la realtà in senso emotivo, capace di cogliere la vita tra le cose. Eccolo, il suo “cielo in una stanza”. E poi c’è il misterioso Doppio ritratto di Giorgione con quell’incrociarsi di sguardi, uno malinconico e l’altro scaltro. Non lontano dal dettaglio dei due pastori affacciati alla finestra della mangiatoia nell’ Adorazione di Savoldo che pare un presepe.

La terza sezione della mostra è dedicata al bianco e nero di due geni del segno inciso: Rembrandt e Piranesi. Il primo maestro nella rappresentazione di scene sacre dominate dal chiaroscuro; l’altro creatore di architetture fantastiche e inquiete.

                 James Abbott McNeill Whistler: notturno, Blu e oro ( 1880)

La notte investe il paesaggio, soprattutto in epoca romantica. L’Ottocento prevale nella parte della mostra intitolata alla luna e alle stelle e al “secolo della natura quando viene sera”. Fa buio tra pescatori, chiari di luna e mari in tempesta, tra Turner e Friedrich in un mondo nordico in cui la natura va contemplata con timore. Per giungere poi davanti al crepuscolo americano di Winslow Homer e a quello abitato da fanciulle che rievocano le ninfe di Camille Corot.

Affascina vedere come gli impressionisti – Monet e Pissarro ad esempio – che avevano eliminato il nero dalla propria tavolozza, abbiano un modo tutto loro, di rosa e azzurri, per interpretare i notturni. E incanta il passaggio cromatico tra il Van Gogh olandese e quello francese, quando il colore si accende e la pennellata diventa febbrile. Procedendo ancora per confronti ecco Venezia inquadrata da Whistler e da Monet, e un bellissimo dialogo tra Andrew Wyeth con i suoi riflessi di luna sugli edifici e un capolavoro di Edward Hopper come Emporio. L’ultima emozione della sezione la regala un paesaggio al tramonto di Piet Mondrian in cui già intravedi quel mondo di verticali e orizzontali, di maschile e femminile che cercano la loro armonia definitiva.

                     Nicolas De Staël: Natura morta su fondo blu (1955)

Nel Novecento la notte è anche quella dello spirito: Nicolas De Staël e Mark Rotkho sono due giganti nel fartene sentire la potenza. E, infine, nell’ultima sala ecco una specie di compendio di tutti questi notturni suonati da strumenti diversi. Ci sono Luca Giordano, Narciso di Caravaggio , Gauguin, Cézanne (con un’opera degli esordi, piena di pathos), Van Gogh. E un Rothko come una restituzione di luce. L’infuocato Arancione e marrone che ci piace immaginare come un’alba.


La Repubblica - 20 dicembre 2014

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