16 dicembre 2014

I CINICI IERI E OGGI





Nell'età di Socrate, il filosofo Antistene diede vita a un movimento che si perpetuò in tutto lo sviluppo della cultura antica. Erano i “cinici”, ed è incerto se questo nome derivi dal ginnasio di Cinosarge dove si riunivano i seguaci di Antistene, dei quali il più celebre fu Diogene di Sinope detto il Cinico, o – ipotesi più suggestiva – dal loro stile di vita naturale e animalesco a “imitazione del cane” (kunismòs). I cinici teorizzavano l'autosufficienza dello spirito e consideravano ogni bene esterno come indifferente: ne derivava un'apatia che nulla poteva smuovere, neppure i piaceri o la fatica, e una conseguente libertà di vita e di giudizio. Questo ostentato disprezzo verso le leggi morali, i costumi, le convenienze e gli ideali ha assunto con il tempo l'accezione di un comportamento riprovevole.
Ambrose Bierce, nel suo “Dizionario del diavolo” dice – Il cinico è un mascalzone la cui vista difettosa vede le cose come sono, non come dovrebbero essere.
Più tagliente e raffinato Oscar Wilde, che - ne “Il ventaglio di Lady Windermere” - fa affermare ad un personaggio – Cos'è un cinico? Uno che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna.
Indro Montanelli, nell’”Italia giacobina e carbonara”, li fotografa invece così – I cinici sono tutti moralisti, e spietati per giunta.
Il critico Aldo Grasso vede la debolezza del lato negativo – Il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze.
Giovanni Soriano, in “Finché c'è vita non c'è speranza” – Cinismo è dare alle cose il disprezzo che meritano.
E poi Lillian Hellman in “Le piccole volpi”, dice – Il cinismo è un modo spiacevole di dire la verità.
E ancora, Jean Genet – Il cinismo è il riuscito tentativo di vedere il mondo com'è realmente.
Un maestro del disinganno, Emil Cioran, così lo definisce in “La provincia dell'uomo" – Non aspettatevi da alcuno nulla più di quanto noi stessi siamo.''


(Da una nota dell'amica Catalina Franco pubblicata su facebook)

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