LETTURE PER LA FINE DELL' ANNO
di Francesca Matteoni
Il paesaggio si è raggelato e qua, sulle colline, gli alberi si sono finalmente bruniti del tutto – è caduta perfino un po’ di neve, poi lavata via dalle piogge. Quindi benvenuto inverno che spingi i gatti dentro le case e lontano dalle loro mappe campestri, che fai proliferare le tazze di tè e cioccolate calde e sognare stufe antiche, ciocchi di legno nel caminetto, mondi polari di silenzio e occhi selvatici. Benvenuti libri di favole crudeli, Natali stregati, leggende del nord.
Per
quest’anno che volge alla fine ne ho tre, letti e ancora sul comodino,
pubblicati dalla casa editrice Iperborea specializzata in testi
letterari scandinavi, baltici e nederlandesi.
Si comincia con le Fiabe lapponi, primo volume di una serie di fiabe scandinave a cura di Bruno Berni. Le
storie qui raccolte ne riecheggiano altre della tradizione letteraria
europea, riplasmata dalle atmosfere settentrionali: come spiega molto
bene Berni stesso nella postfazione, i temi e i personaggi che
conosciamo, per esempio, da I cigni selvatici di Andersen o I sette corvi dei Grimm, o ancora da Il gatto con gli stivali
di Perrault o dalle molte storie di amori impossibili fra esseri umani e
coloro che abitano isole fatate o il fondo del mare, ritornano ne La fanciulla che cercava i suoi fratelli, Il ragazzo povero e la volpe, Il giovane pescatore e la donna del mare,
ma la voce che le racconta ne muta le forme e perfino il sentimento.
Sono queste le fiabe approdate attraverso libri, narrazioni,
improvvisazioni di ignoti cantastorie presso un popolo estremo la cui
storia scritta è giovane: il primo libro in lingua sami, Vita del lappone,
uscì infatti all’inizio del Novecento a firma di Johan Turi per
illustrare gli usi e i costumi di una nazione nomade, priva di confini
politici e che pure così profondamente sapeva della terra e delle sue
stagioni. La magia si mescola all’ineluttabilità del destino, come nella
storia in apertura, La zampa d’orso, dove la natura animale ha
il sopravvento su quella umana e il capofamiglia, mutatosi in orso
all’arrivo dell’autunno, verrà ucciso per errore dai figli. Possibile
non pensare, leggendo, a uno scenario nel quale l’uomo è un’esistenza
come un’altra, segnata dai ritmi dell’anno tra foreste che si diradano a
rocce e acquitrini investiti dalle aurore boreali nelle lunghe notti
invernali?
Incontriamo poi le creature del folklore sami: lo Stallo, un orco sciocco che però può avere la meglio su un’intera sida (l’accampamento
lappone); la perfida Acceš-ædne e la vecchia Gieddegæš-galggo, piena di
buoni consigli. Non meno importante è la commistione di tradizioni autoctone
e influenze cristiane, che rimanda ai disegni sui tamburi sami, dove la
chiesa è una delle tante presenze magiche fra uomini-renna e spiriti.
Le storie sono accompagnate dalle incisioni di John Andreas Savio,
artista norvegese di origine sami, che rappresentò la vita quotidiana
dei lapponi, con i tricorni e gli abiti tradizionali, i cani e le
slitte, la vastità di un mondo in dispersione attorno a gruppi sparuti
di tende.
Gli altri due libri provengono invece dall’estro della grande scrittrice svedese Selma Lagerlöf.
Sono testi composti da fiabe morali e piccoli racconti, in cui
l’elemento fantastico si traduce in figure, credenze e superstizioni
cristiane che ruotano attorno al Natale. Il libro di Natale,
tradotto e curato da Maria Cristina Lombardi, inizia con il ricordo dei
doni la sera della vigilia e l’attesa, da parte della bambina, del
regalo più desiderato ovvero un libro. Il lettore si rivedrà forse, da
ragazzo o bambina, circondato dalle carte scintillanti e le coccarde e
poi immerso nel fitto delle pagine in un pomeriggio eterno di luci
dell’albero e di candele, mentre il tempo sta per finire e cominciare di
nuovo. Seguono la leggenda di Santa Lucia, santa siracusana trasformata
in colei che porta i regali nel mondo scandinavo; episodi tratti dalla
Bibbia ridetti davanti al focolare di una fattoria svedese; avventure di
redenzione personale attraverso oggetti semplici caricati di
significati allegorici; presagi dall’infanzia di Gesù; e le due che
preferisco, le traversie del pettirosso che ottiene infine la ragione
del suo nome pungendosi con una spina della corona del Cristo e Il capodanno degli animali
in cui una fata silvana decide le sorti degli animali domestici e fra
loro chi finirà preda delle belve feroci. È nella vicenda del
pettirosso, dispiegata dalle origini del creato fino alla morte del
Cristo sulla croce, che mi sembra di riconoscere il nucleo del libro,
una sorta di religiosità o fede popolare per cui incantesimi e sacrifici
tendono non tanto alla liberazione da una colpa o da un peccato, ma
alla conquista tutta umana e tutta ancora da compiere dell’atto
compassionevole.
La leggenda della rosa di Natale
introduce e dà il titolo all’altro libro (tradotto da Maria Svendsen
Bianchi) e ci riporta appieno in una fiaba antica, perigliosa eppure
rischiarata da ciò che i suoi protagonisti riescono a comprendere. Nella
leggenda il lettore di fiabe rivedrà la foresta ostile che circonda la
dimora della Bestia e penserà al fiore fatato del suo destino – una
rosa. Non un principe stregato in un aspetto bestiale, ma una famiglia
di briganti vive in questi luoghi e, costretti all’isolamento dal resto
degli umani, sono anche gli unici che ogni Natale vedono accadere un
miracolo: come uno spirito della primavera il Bambino che nasce fa
sbocciare nella notte fiori e piante luminose dove erano spini, rami
secchi, rovi e sterpi. Ma perché sia vero occorre crederci senza alcuna
riserva. Si muovono nelle storie violinisti insuperbiti cui una
passeggiata presso un torrente e il timor panico restituiscono l’umiltà e
la memoria, e altri violinisti dagli abiti rattoppati ma dall’archetto
portentoso; una giovane sposa che deve svegliarsi dal sogno per
affrontare la morte in mare del marito e dunque tornare a vivere;
imperatrici e re che apprendono cosa sia un tesoro dalle aspettative e
dalle difficoltà del popolo. E anche una vecchia sola che conosce il
valore della condivisione perfino quando diviene un dialogo con le anime
dei morti intrappolate in un purgatorio di monti e ghiacci.
Con
questi racconti attraversiamo l’inverno e non ci chiediamo troppo del
lieto fine: accediamo piuttosto una lanterna nel freddo, un lumino
diverso sull’albero – un gesto di fede, che è un altro modo per dire
immaginazione.
——————-
Immagini di John Andreas Savio
Testo tratto da http://www.nazioneindiana.com/
Nessun commento:
Posta un commento