Anche se penso che sia meglio ballarlo (sapendolo fare bene!) i non ballerini si possono consolare leggendo questo nuovo trattato su uno dei balli più affascinanti del mondo. fv
Sul tango. L’improvvisazione intima
di Davide Sparti
[Da molti anni il filosofo Davide
Sparti conduce un’originale ricerca sulle tecniche di improvvisazione
nelle arti e nella vita quotidiana. Dopo una serie di studi sul jazz, il
suo nuovo libro, intitolato Sul tango. L’improvvisazione intima,
e in uscita per il Mulino, è dedicato al tango argentino. Presentiamo
un estratto dell’introduzione, in cui l’autore spiega cosa significa
comprendere la danza come «attività incarnata», e quali siano i
significati di questa pratica creativa che trasforma l’identità
attraverso la relazione di coppia. In fondo all’introduzione c’è anche
l’indice del volume].
Non è difficile evocare un’immagine del
tango: due persone, avvolte in un abbraccio viscerale, si muovono in
direzioni opposte. Legata a un’esperienza vissuta in prima persona, o
tratta da una rappresentazione mediatica (talvolta iperbolica), tale
immagine ci riallaccia alla tradizione apparentemente inattuale di chi
si incontrava nelle balere. Nonostante la sua circolazione, pochi hanno
riflettuto analiticamente sul tango come attività e come pratica
simbolica. Una parte cospicua della letteratura sul tango è
manualistica. Avendo lo scopo di mostrare come si balla il tango, è
appiattita sulla dimensione didattica, fornendo consigli e compilando un
insieme di esercizi. Di solito si sottolinea come i lavori dedicati ad
un certo tema siano ormai innumerevoli. Nel caso del tango, in maniera
inversamente proporzionale alla sua diffusione come pratica, accade il
contrario[1].
La produzione scientifica resta ancora emergente, e il sapere sul tango
è organizzato e distribuito attraverso i canali dell’insegnamento.
In questo libro non ho voluto stabilire
cosa sia il vero tango, tanto meno pretendere di ‘svelarne il segreto’
(dietro aI tango non si nasconde alcun enigma). Nemmeno ho voluto
prescrivere cosa bisogna fare per ballarlo bene, né quale sia il modo in
cui i gruppi muscolari di un ballerino debbano interagire per produrre
un determinato movimento. Neppure, infine, ho voluto indicare come
entrare in contatto con la fonte della propria creatività per
accrescerla, per trovare finalmente la propria ‘vera’ voce o per
rivendicare l’inalienabile diritto a esprimersi liberamente.
Subordinata all’ingiunzione pedagogica
(che dispensa ricette e decreta il modo giusto di fare le cose), la
riflessione teorica sul tango è rimasta fatalmente in ritardo. La
prolungata adesione dell’analisi del tango ai modelli pedagogici non ha
infatti permesso di comprendere fino a che punto il tango sollevasse
questioni di più ampio rilievo che trascendono il momento
dell’insegnamento. Per questo, oltre a praticarlo, mi è sembrato
importante domandarsi che cosa sia il tango, e quale siano i suoi
significati. Il presente lavoro si colloca nel solco di questa
interrogazione sull’identità e la portata tanto estetica quanto
socio-antropologica del tango. E si propone di suggerire una serie di
modi di pensarlo, mostrando come il tango sia non solamente una tecnica e
un prodotto della società del loisir, ma pure un dispositivo per
comprendere la fenomenologia dell’interazione.
Pur non coincidendo con una glorificazione apologetica del tango[2],
questo libro nasce da una passione, tardiva ma profonda, per il ballo.
Da tempo desideravo analizzare la danza come sito strategico per
riflettere esteticamente sulle attività incarnate, per fare un’analisi
carnale (come ha detto Wacquant 2002, p. 10) non of the body ma, più radicalmente, from the body,
uno studio a livello del corpo (cfr. anche Crossley 2001). La danza,
soprattutto la danza di improvvisazione (che prescinde da una
coreografia) è l’arte più ‘immediata’, nel senso che – con
un’autoreferenzialità quasi assoluta -, fa affidamento al solo corpo di
chi la pratica. Quando il ballerino lascia il palco non resta nulla (di
materiale, neppure uno strumento o un microfono dismesso appoggiato in
un angolo). Il mezzo (il corpo) coincide con il fine: anche se e quando
esprime qualcosa di ulteriore da sè (delle emozioni ad esempio), il
corpo comunica anzitutto se stesso. Che cosa significhi ballare il tango
è pertanto domanda inseparabile dal cogliere cosa si provi a ballarlo.
Come spiega David Lewis (2004, p. 78), nessun pacchetto di informazioni,
per quanto accurate e impartite con chiarezza, possono supplire a tale
esperienza estetica. La parola “sapere” copre due forme molto diverse di
conoscenza: il sapere-che ed il sapere-come, e quest’ultima, ossia
l’abilità di ballare il tango, è una abilità che non può essere
guadagnata da chi non ne fa esperienza (idem, p. 99-100). Se i movimenti
della danza possono essere videoregistrati, la sensazione del contatto,
di un invito a muoversi in una certa direzione, non possono esserlo
(sono già difficili da verbalizzare). Ciò solleva un problema
epistemologico: quali discipline sono in grado di occuparsi della
relazione somaestetica? Si può, in altre parole, dire qualcosa sul tango
come pratica?[3]
Una delle mie preoccupazioni di partenza
era la seguente: come posizionarsi in rapporto a questo particolare
campo? Se ogni testo ha a che fare con la biografia con chi scrive, la
circostanza di ballare il tango – la mia familiarità con la pratica e la
mia simpatia nei suoi confronti – ha condizionato la mia esperienza del
tango quale campo di azione, nonché il mio accesso al mondo dei
danzatori di tango, facendo sì che potessi muovermi non solo fra le loro
dichiarazioni ma pure fra i loro passi. Grazie a mia madre, ballerina,
coreografa ed insegnante di danza, disponevo di un piccolo capitale
ritmico-motorio di partenza, un capitale che si sarebbe rivelato
indispensabile per affrontare il tango. A questa conoscenza di sfondo si
sono aggiunti gli anni di partecipazione osservante: ho osservato,
appreso, riprodotto e avvertito il modo in cui i ballerini di tango
usavano i propri corpi, ed ho ascoltato il modo in cui descrivevano e
giustificavano ciò che facevano (fra una tanda[4]
e l’altra i ballerini si scambiano il partner come anche piccole storie
e alcune lamentele), in molte milonghe, soprattutto a Berlino, Parigi e
Firenze. Tale partecipazione osservante, a sua volta, oltre a portarmi
il più possibile in prossimità degli aspetti decisivi del tango, mi ha
dotato delle risorse necessarie per stabilire rapporti di fiducia con
altri membri della comunità del tango e, più fondamentalmente, di
cogliere in esso aspetti nascosti ai non iniziati (così come agli
iniziati meno ossessionati dalla dimensione riflessiva). In virtù della
mia identità di compartecipante (in quanto ballerino) i miei
interlocutori avvertivano che ero ‘uno di loro’.
Questo libro prende dunque le mosse da
un’esperienza, e lo fa sotto tre punti di vista. Anzitutto esperienza
nel senso del rapporto con uno specifico ambiente o campo, quello delle
milonghe, i luoghi dove si balla il tango argentino. Il mio campo, però,
più che la milonga come luogo è una pratica in cui il contatto fra due
persone in movimento – nonché fra queste e le altre coppie (a loro volta
in movimento) – si intensifica e genera un peculiare ambito, dinamico
ed intimo al tempo stesso.
In secondo luogo, esperienza nel senso
di un bagaglio di competenze apprese. Il lettore vedrà che
all’apprendimento di specifici modi di muoversi ho dedicato non poco
spazio, studiando, per dirla con Marcel Mauss, un habitus[5]
e una precisa tecnica del corpo, ossia studiando una delle maniere in
cui le pratiche culturali si articolano attraverso gli individui,
imponendo un determinato uso del corpo (cfr. Agamben 1992).
Infine, esperienza nell’accezione di un
vissuto che segna, al punto da incidere sulla propria definizione di sé.
Non esperienza come il fluire di eventi cui siamo esposti, ma come un’esperienza,
come evento in cui il presente si carica di presenza generando un
effetto significativo su di noi. In quest’ultimo caso, l’esperienza si
distingue per la sua intensità o per il suo impatto formativo e
trasformativo[6].
Per poter offrire il resoconto di una
pratica è bene partire dalla sua grammatica concettuale, definendo il
tipo di pratica (di ballo) di cui stiamo parlando. Più della musica, e
pure più del teatro, la danza è un’arte performativa radicata nella
dimensione cinestesica (nella percezione del movimento) oltre che in
quella visiva e uditiva. A differenza dell’ascolto della musica, che ha
molto in comune con il leggere, il ballo è, in senso lato, un’arte sia
visiva che temporale, un modo, se si vuole, di collocare la musica al
centro del nostro corpo – quel corpo in movimento attraverso il quale la
musica si materializza. La danza è un sistema di azioni specializzate,
una successione di movimenti somatici prodotti intenzionalmente e
allacciati in sequenze significative, spesso eseguiti sincronizzandosi
sulla base di stimoli ritmici, talvolta in sintonia con altri corpi. In
termini figurati, ballare significa tessere immagini nello spazio
attraverso il movimento. Ma quale è la differenza fra la danza e quello
che potremmo semplicemente denominare spostare il corpo qua e là? Ogni
cultura produce e riproduce una serie di codici relativi a gesti e
movimenti. In questo senso, la danza è un insieme di sequenze culturalmente schematizzate, di movimenti corporei ritmati dotati di valore
agli occhi di coloro di fronte ai quali chi balla si esibisce (il ballo
è insomma movimento fisico cui viene ascritto una connotazione
estetico-espressiva).
La danza, soprattutto la danza di
coppia, più del suo correlato (la musica), appare una tematica ancora
insufficientemente nobile per essere presa in considerazione dalla
comunità scientifica[7].
Il riconoscimento del fatto che la danza sia una pratica culturale
significativa e non triviale o frivola è ancora a venire, circostanza
che spinge alcuni a reputarla oggetto non pertinente per la riflessione
analitica. Persino i lavori sul corpo sono spesso studi sulla sua
immagine o sulla sua produzione discorsiva piuttosto che sulla
dimensione incarnata e cinestesica. Il fatto che la danza sia concepita
come passatempo o intrattenimento, e che sia ritenuta attività femminile[8], ha altresì contributo alla marginalità degli studi scientifici sulla danza.
Il tango argentino è a sua volta un
ballo le cui qualità – nel senso aristotelico di modalità specifiche di
essere – restano da esplorare. Il tango ha uno stretto rapporto con la
dimensione emotiva, assicura il senso comune. Il tango, continua il
senso comune, manifesta un inconfondibile tocco latino (benché meno
visibile di quello espresso nel samba o nella salsa), soprattutto nelle
assunzioni concernenti le relazioni di genere. Forse. Ma tali
affermazioni restano tutte da definire. Al pari di altre pratiche
culturali, l’immaginario del tango è caratterizzato sia da una serie di
mitologie da problematizzare, sia da una serie di importanti questioni
irrisolte che costituiscono l’oggetto privilegiato di questo libro: che
tipo di sapere permette al nostro corpo di assuefarsi ai requisiti del
tango (questione dell’habitus)? Come indurre il nuovo nel corso della
danza, generando combinazioni non programmate e facendo sì che ogni
tango risulti diverso da quello precedente (questione
dell’improvvisazione)? Come chiarire il potere di attrazione – l’urgenza
di partecipazione e immersione nel metacorpo collettivo della milonga –
esercitato dal tango (questione del desiderio)?
La filosofia vede arretrare il suo
posto, nella vita e negli scaffali, a vantaggio di quei libri che
prosperano sul mercato della felicità. Anche il tango viene fatto
talvolta rientrare in questa zona incerta fra salute, intrattenimento e
spiritualità. Oscillando tra pedagogia e fascinazione, gli aspetti
fondamentali del tango vengono elusi, e quelli citati non hanno dignità
teorica. Il tango diventa allora avventura pedagogica per soggetti
metropolitani situati a uno stadio avanzato di nevrosi culturale, che
cedono al fascino di un’alterità in gran parte immaginata: un viaggio
nel vortice della passione per una donna in cerca di ispirazione (come
nel film The tango lesson) o per un uomo di mezz’età alle prese con i postumi di un divorzio (come in Tango, no me dejes nunca). Uscendo dall’egemonia di questa prospettiva e rilanciando la prospettiva filosofica[9]
(elaborando domande e producendo concetti) il tema noiosissimo della
passione o dello sviluppo personale emerge finalmente dalla sua banalità
e diventa rilevante: che genere di sapere è quello di chi balla? Che
tipo di trasformazione del corpo presuppone e induce? Come si genera
l’attaccamento al tango?
Nel misurarmi con tali interrogativi, ho
scelto di evitare tanto lo sguardo panoramico quanto il tentativo di
abbordare il tango frontalmente, parendomi più utile ricorrere a una
posizione obliqua, che intreccia diversi saperi per cercare di approdare
a delle conclusioni valide sia per il tango sia pure per altri domini
di ricerca legati alla performatività[10].
La mia speranza è che il percorso scelto, mettendo in contatto
discipline diverse (e tentando di farle dialogare), si riveli capace di
fare chiarezza concettuale e di aprire muove prospettive sull’universo
del tango.
Si potrebbe rilevare che il pubblico del
tango pensa poco e legge ancora meno. Balla certo, ponendosi però poche
domande sulla pratica in cui è impegnato. Ne discenderebbe che la
percentuale di costoro disposta a confrontarsi con i riferimenti teorici
di questo lavoro è esigua. Come se questo libro poco avesse a che fare
con il tango effettivamente praticato, arenandosi in una dimensione
autoreferenziale. Come se, essendo il tango un ballo popolare d’accesso
apparentemente più istintivo che cerebrale, non sopportasse teorie, se
non al rischio di trasformarsi in qualcosa di fantasmatico e del tutto
distaccato dalla dimensione materiale o fisica del tango vissuto da chi
lo balla, forse ‘sporco’ ma di grande intensità emotiva. Si profilerebbe
così un’incompatibilità tra vie d’approccio diverse: quella di un
pubblico largo, spontaneamente attratto dalla danza come si è
tradizionalmente configurata, e il bisogno di pochi di interrogarsi sui
significati di quella danza.
Non credo che questa preoccupazione sia
fondata. Anch’io sono ballerino avido che ha risposto all’appello del
tango con incursioni notturne in molteplici milonghe. Arrivo, mi cambio
le scarpe, getto un occhio alla sala, ricerco un contatto umano, lascio
che la musica mi disponga in uno stato di improvvisazione, e poi ballo.
Ho avvertito però presto l’impellente esigenza di riconnettere il tango
praticato di notte con la mia vita di pensiero diurna, come se ciò che
muoveva i corpi di notte ritornasse sotto forma di movimento del
pensiero di giorno (cfr. anche zur Lippe 2011). Chi decide di vivere
l’avventura del tango non è necessariamente consapevole dello spessore
culturale di cui il tango è impregnato. Praticandolo quotidianamente, il
tango diventa qualcosa di troppo noto e comune, di troppo vicino, per
consentire la distanza necessaria all’elaborazione teorica. Proprio per
questo ritengo che quanti conoscono il tango da milongueri e milonguere,
senza doversi trasformarsi in tangologi, possano accogliere il presente
lavoro, per uscire dal proprio quadro di riferimento, per ripensare
alle abitudini sulle quali riposa (e si riposa) la pratica nella quale
si riversano nel tempo libero.
Che cosa è il tango argentino? Una forma musicale e coreutica[11]
emersa nel periodo di transizione fra il XIX e il XX secolo all’interno
di una popolazione, in prevalenza maschile, costituita soprattutto da
migranti provenienti dal sud dell’Europa. Questa risposta semplice ad
una domanda troppo diretta e quasi indiscreta nel pretendere di
tracciare in due parole il senso di una attività, è complicata dalla
circostanza che, pur essendo il tango emerso in un contesto specifico – e
in parte marginale e marginalizzato -, esso è ormai fenomeno globale,
componente diffusa dell’odierno mondo dell’intrattenimento[12].
Il tango si riproduce oggi non solo nello spazio urbano attraverso una
moltitudine di milonghe, ma pure nel contesto di festival, e persino di
crociere e vacanze. La domanda sull’identità del tango, più che la sua
genesi storica, investe il suo statuto: sport o svago? Universo
culturale o spettacolo? Avanguardia o mascherata kitsch? Una forma
d’arte atletica o uno sport artistico[13]?
Anche il campione di pallacanestro o il saltatore con l’asta possono
dispiegare eleganza, ma ciò è strumentale rispetto al vero fine, che è
fare punti o saltare più in alto degli altri. Nel caso del tango invece
(come nel pattinaggio artistico o della ginnastica) la dimensione
estetica prevale.
Benché per uno spettatore la danza sia
anche qualcosa di astratto, che prescinde o si stacca dai corpi,
configurando quella sorta di puro flusso che Mallarmé e Valery
chiamavano scrittura del corpo, il tango implica una specifica forma di
produzione ed espressione di identità incorporate. A rigore esso non è
danza d’arte, come il balletto (il tango rigetta anzi le gerarchia
tradizionale fra arte dotta e attività fisica, fra coreografo e
ballerino). Certamente spettacolare, il tango non è tuttavia una danza
di rappresentazione radicata nella scena del teatro e negli altri luoghi
del circuito di diffusione dell’arte. Più che un ballo da ribalta,
rivolto verso l’esterno, si tratta di un ballo sociale rivolto verso
l’altro (l’interno). Se il tango è pratica non teatrale che avviene
perlopiù nel contesto informale della milonga, esso resta pratica
altamente comunicativa, che si realizza in maniera tale da coinvolgere
sia i partecipanti sia gli osservatori. In fondo, oltre ai due ballerini
(chi propone e chi risponde, o resiste) vi è un terzo elemento: lo
sguardo di chi osserva, uno sguardo che contribuisce a costituire lo
spettacolo di questo duetto rituale (Savigliano 1995, p. 74). Solo che
tali osservatori, pur seduti a bordo pista a monitorare i corpi danzanti
in termini di abilità e di stile, non sono esterni o periferici ma –
almeno nel contesto abituale della milonga – possono in ciascun momento
diventare attori. Si tratta così di un pubblico coinvolto in una pratica
partecipatoria, priva di una netta distinzione fra spettatore e
spettacolo. Non solo. Nel caso del tango la sensazione di interagire con
altre persone (una funzione associata ai balli di società) prevale
sulla sensazione di essere impegnati in qualcosa di significativo da
guardare (funzione solitamente assegnata all’arte). Chi balla non sono
artisti o professionisti di scena, ma persone qualunque, persone come
noi, amatori coinvolti in una pratica sociale. Da questo punto di vista,
senza negare l’attuale distanza del tango da un ballo di strada, esso
resta un baile popular, o una folk art come direbbero gli inglesi.
Sembra dunque più sensato iscrivere il
tango fra le danze sociali, avendo però l’accortezza di notare la sua
peculiarità di danza di coppia centrata sull’improvvisazione[14].
Il tango è una forma di conduzione reciproca, una collaborazione che è
una co-elaborazione (una improvvisazione a due). Esso non si sviluppa
attraverso coreografie[15]
che predefniscono quello che deve succedere ma nasce momento dopo
momento grazie a due persone le quali, sullo sfondo della musica,
conducono un’interazione attraverso un punto di contatto mobile che
unisce i loro corpi in movimento. Abbiamo così una particolare relazione
di coppia, basata sulla valorizzazione del momento di creazione
congiunta o interplay (cfr. Manning 2009). I ballerini non si limitano a
eseguire catene di passi prefissati ma lavorano sulle varianti,
‘rispondendosi’ reciprocamente in termini di movimento. Sotto questo
profilo il tango rimanda a una specifica forma di agency, grazie alla
quale individui che non si sono mai incontrati possano cooperare,
impegnandosi in una conversazione somatica dall’esito aperto. Il tango è
precisamente un’interazione sociale fondata sulla vicinanza, e permette
a due esseri umani di toccarsi nel corso di un incontro né agonistico
né sessuale. Due persone – di solito, ma non necessariamente, un uomo e
una donna – a stretto contatto l’una con l’altra si muovono insieme
seguendo modelli più o meno riconoscibili, e diventano, almeno per la
durata di una tanda, un accoppiamento ambulante e un’unità coreografica.
L’abbraccio, figura della congiunzione, rappresenta la maniera
specifica in cui due ballerini si mettono in relazione l’uno con
l’altro, il primo contatto, il modo in cui ci si unisce nel corso della
danza.
Note
[1] Almeno per quello che riguarda le analisi del tango. Non mancano i manuali, i testi storici e le biografie.
[2]
Nonostante il piacere intimo che posso ricavare dal coinvolgimento nel
tango, non ritengo che il tango debba essere difeso. La sua esistenza
basta a se stessa, ed a noi resta il compito di capire cosa implichi
questa esistenza.
[3]
La danza coreutica è di solito affrontata in termini storico-filologici
(o, alternativamente, come figlia minore del teatro). Parimenti, le
danze popolari sono spesso ricondotte alla loro funzione sociale e
rituale, a discapito della dimensione fenomenologica della danza quale
pratica motoria.
[4]
La tanda è un gruppo di tre o quattro tanghi ritmicamente o
stilisticamente omogenei, e rappresenta di regola l’unità di tempo non
interrotto in cui si balla con un singolo partner determinato. L’ultimo
capitolo del libro racconta il mondo parallelo della milonga da un punto
di vista situato, simile a quello dell’etnografo, anche se non si
tratta di un’etnografia vera e propria, non avendo lo scopo di
trasportare il lettore nel mondo della milonga attraverso le voci delle
persone che la popolano. “Milonga” è a sua volta parola dai significati
poliedrici indicando sia un sottotipo del tango, sia il luogo dove il
tango si riversa diventando pratica sociale. Benchè si possa ballare per
conto proprio a casa, il tango ha per vocazione il prolungamento nel
contesto della milonga, ed appare vuoto e un pò spettrale ballato da
soli. Nel contesto di questo libro si farà esclusivo riferimento al
cosiddetto tango argentino, motivo per cui non si è ritenuto necessario
ripetere costantemente la qualifica ‘argentino’.
[5] In prima approssimazione habitus,
concetto impiegato, oltre che da da Mauss (nel primo capitolo del suo
libro sulle techniche del corpo), anche da Norbert Elias (2010) e da
Pierre Bourdieu (2003), può essere definito come un insieme di
predisposizioni assimilate che inclinano chi agisce a percepire,
muoversi e valutare in certi modi (cfr. anche Doane 2006 e Potter 2008).
[6] Benchè il presente libro sia riconducibile all’orizzonte di un’esperienza personale, non si tratta di un detour
biografico fine a se stesso. Il passaggio per il tango si è rivelato
necessario per permettermi di ritornare sul tema dell’improvvisazione in
un ambito differente da quello del jazz. E’ proprio passando attraverso
questa esteriorità che ho potuto sondare più a fondo una logica
dell’agire creativo terza rispetto alla produzione industriale e alla
progettazione di una coreografia compiuta e fissata.
[7]
E’ ad esempio un peccato che autori quali Nelson Goodman o Arthur Danto
abbiamo scritto poco sulla danza (cfr. però Badiou 1998) e abbiano
scritto ancora meno sull’improvvisazione. D’altra parte, bisogna
ricordare che la determinazione di quali attività siano degne di essere
oggetto di indagine scientifica è essa stessa soggetto
dell’epistemologia delle scienze umane. Giova ricordare che di danza si
interessano Mallarmé e Valéry (vicini per collocazione geografica e per
reciproca frequentazione (di Valéry cfr. Degas, danza, disegno, ma anche nella conferenza del 1936 intitolata Philosophie de la danse, cfr.
Valéry 1957), come pure Cocteau e soprattutto Céline, che sposò ed ebbe
due relazioni con ballerine. Céline frequentava le music halls, ballava
egli stesso, scriverà cinque balletti (messi in scena solo dopo la sua
morte), e sottolineerà come il senso del ritmo incorporato nella propria
scrittura derivi dalla danza.
[8]
La distinzione tra attività motorie alte e basse si interseca con le
gerarchie simboliche di genere, configurando spesso un’opposizione fra
sport (dominato da aggressività e rivalità, ‘dunque’ maschile) e, ad
esempio, danza (leggiadra, graziosa…’dunque’ femminile). Cfr. Young
1990.
[9] Non è questa la sede per domandarsi se la danza sia solo oggetto
della filosofia o se possa essa stessa diventare una sorta di filosofia
(del corpo), nel medesimo senso in cui per Merleau-Ponty la pittura era
una forma di pensiero.
[10]
Non tutto quello che dico nel corso del libro è specifico ed esclusivo
del tango. Il tango manifesta tratti comuni ad altre pratiche
(artistiche ma anche sportive) che forse rispondono a esigenze simili.
Cfr. Davis 2011.
[11] Musicale, coreutica e
letteraria. Non bisogna infatti dimenticare la messa in discorso del
tango, ossia il suo versante poetico, legato agli autori di testi di
tango, da Homero Manzi a Horacio Ferrer. Il tango non è solo musica e
danza; è pure un insieme di concezioni, discorsi, commenti,
interpretazioni e analisi – nonchè film, documentari, fotografie,
rappresentazioni. Tutto ciò ha contribuito ad alimentare l’immaginario
tango, nonchè ad uno specifico campo del sapere che si separa dai corpi
di chi balla.
[12]
Nel tango la mercificazione è meno “invadente” rispetto alle danze
latino-americane anche se – soprattutto da un punto di vista femminile –
il circuito dell’abbigliamento tanghero non è da sottovalutare, poichè
nutre l’industria della moda, della cosmesi e della dietologia.
[13]
Nella nostra cultura, a torto o a ragione, lo sport, a prescindere
dalla sua sofisticazione, non è considerato arte, ma passatempo
popolare, attività agonistica o requisito pedagogico (attività a cui
ciascuno deve essere esposto, fin da bambino, sotto forma di educazione
fisica).
[14]
Vi sono molte danze di improvvisazione, ad esempio la break-dance e la
tap dance percussiva di matrice afro-americana, il flamenco (cfr.
Maduell & Wing 2007), l’hip-hop, la salsa, il butoh, la contact
improvisation. Avrei voluto rimarcare ulteriormente le peculiarità del
tango, facendo un maggior numero di accenni alla relazione fra
improvvisazione nel tango e in altri tipi di ballo (chi pratica e/o si
occupa di altre danze si troverà più volte a esclamare “ma anche noi
facciamo questo!”). I limiti di spazio e di competenza non me lo hanno
permesso.
[15] A differenza del tango de espectàculo o tango escenario, che sono invece costruiti su coreografie.
Indice del libro
Apertura
Come descrivere una pratica incarnata?
Statuto del tango
Incontro con l’altro
Apertura
Come descrivere una pratica incarnata?
Statuto del tango
Incontro con l’altro
I Origini ibride e fantasmi del passato: breve storia del tango argentino
Preistoria del tango
Matrici africane
Ibridazione
Migrazioni e sviluppo demografico
Sradicamento
Il ruolo di Parigi
Preistoria del tango
Matrici africane
Ibridazione
Migrazioni e sviluppo demografico
Sradicamento
Il ruolo di Parigi
II Movimento tangibile: l’iniziazione al tango
Habitus
A scuola di ballo
Apprendimento e supervisione
Postura, tecnica, vocabolario
Centro, coppia e flusso
Identità e immaginario
Habitus
A scuola di ballo
Apprendimento e supervisione
Postura, tecnica, vocabolario
Centro, coppia e flusso
Identità e immaginario
III Improvvisa azione: il lato creativo del tango
Il tango fra improvvisazione e coreografia
La fondazione mistica dell’improvvisazione
I vincoli e la ricerca dell’inatteso
Fra noto ed ignoto
Due forme di improvvisazione
Ars combinatoria o arte creativa?
Improvvisazione e temporalità
La natura dialogica del tango
Tango e contact improvisation: un cenno comparativo
Il tango fra improvvisazione e coreografia
La fondazione mistica dell’improvvisazione
I vincoli e la ricerca dell’inatteso
Fra noto ed ignoto
Due forme di improvvisazione
Ars combinatoria o arte creativa?
Improvvisazione e temporalità
La natura dialogica del tango
Tango e contact improvisation: un cenno comparativo
IV Minuscoli secondi d’eternità: alla ricerca del tango perduto
Dalla trasformazione di sé alla scoperta della sintonia
Voglia di socialità
Il circolo del desiderio
L’originarietà dell’essere-con e la fenomenologia dell’azione congiunta
L’apertura infinita
Dalla trasformazione di sé alla scoperta della sintonia
Voglia di socialità
Il circolo del desiderio
L’originarietà dell’essere-con e la fenomenologia dell’azione congiunta
L’apertura infinita
V Etnografia di una milonga
La milonga come ambito di socialità
Il codice della milonga e la gestione della processualità
Invito e rotazione delle coppie
Questioni di genere
Il lato oscuro del tango
La milonga come ambito di socialità
Il codice della milonga e la gestione della processualità
Invito e rotazione delle coppie
Questioni di genere
Il lato oscuro del tango
Chiusura: la riabilitazione del possibile
Bibliografia
Testo
Nessun commento:
Posta un commento