06 ottobre 2015

L' INSULTO SOSTITUISCE GLI ARGOMENTI




Lo scadimento della politica è sotto gli occhi di tutti. E non si tratta solo di corruzione, ma soprattutto dell'uso anche ai vertici di un linguaggio sempre più grossolano e semplicistico che spesso diventa insulto.

Massimo Recalcati

Tramontate le ideologie resta la cecità delle pulsioni
Il Novecento ha insegnato che il consenso nella vita politica non si raccoglie grazie alle argomentazioni persuasive, ma alla potenza seduttiva e carismatica del leader. Il fondo oscuro che ha aggregato l’adesione delle masse alla politica delirante dei vari totalitarismi — come Freud aveva visionariamente anticipato — non deriva da una condivisione razionale delle tesi del leader, ma da una identificazione cieca alla sua figura che assume i toni di una vera e propria ipnosi. E che cancella ogni pensiero critico.

Nel nostro tempo la parola esaltata del leader carismatico che si elegge a interprete unico e indiscutibile della Causa (la Storia, la Razza, la lotta di classe) non ha più luogo. Il tramonto della figura simbolica del Padre patriarcale porta con sé anche la fine dell’epoca delle conflittualità ideologiche: lo sguardo magnetico e invasato del Führer ha lasciato il posto a modesti tribuni che non parlano più in nome della Causa universale, ma della affermazione narcisistica di se stessi o del proprio movimento.

Nell’agone politico contemporaneo anche quando vengono impugnati ragioni apparentemente ideologiche — razziste, nazionaliste, classiste — al centro resta sempre l’interesse di bottega, l’accumulo di consenso personale. La tragedia della storia ha lasciato il posto alla farsa della cronaca.

In questo nuovo contesto l’insulto sembra essere un’arma irresistibile per fare crescere i propri meriti agli occhi degli elettori. Esiste un fondo pulsionale, acefalo — letteralmente “senza testa” — della lotta politica che prevale sulla dimensione socratica del confronto aperto e del dialogo critico. L’insulto ha lo stesso statuto dell’allucinazione psicotica; “verme”, “negro”, “troia”, “ladro”, “frocio” tagliano corto, fratturando ogni possibile dialettica critica.

Come l’allucinazione si impone al soggetto nella forma di una certezza che non permette alcun giudizio, allo stesso modo l’insulto interrompe la legge simbolica della parola. Ma non si deve confondere questo statuto dell’insulto con quello che imperava nel Novecento. Quest’ultimo aveva uno statuto ontologico: l’ebreo, il comunista, il capitalista erano incarnazioni reali del Male. La lotta politica assumeva un carattere apocalittico: il Bene assoluto contro il Male assoluto.

L’insulto politico che oggi invade pervasivamente i media non è ontologicamente fondato, ma solo tatticamente astuto. In questo senso il trionfo dell’insulto mostra il declino antipolitico della politica. Perché vi sarebbero certamente altri modi per tenere conto del fondo pulsionale che inevitabilmente accompagna l’azione politica.

La parola “desiderio”, per esempio, è una parola che la politica farebbe bene a considerare in tutta la sua forza per non accontentarsi di una gestione burocratica dell’esistente. Fare prevalere una mentalità aridamente ragionieristica che elimina il sogno dalla politica è solo il rovescio dell’ingiuria che prepara, in realtà, il terreno per il suo successo. Per questa ragione, l’insulto e la burocrazia algida della politica ridotta ad amministrazione sono due facce di una stessa medaglia.


La Repubblica – 30 settembre 2015

Nessun commento:

Posta un commento