Siamo particolarmente lieti stasera di pubblicare l' articolo di un grande fotografo, Domenico Notarangelo, divenuto nostro amico in occasione del 50° anniversario del Vangelo pasoliniano. L'articolo è stato pubblicato ieri da un giornale lucano, ma l'Autore ci ha gentilmente inviato una copia del testo autorizzandoci a pubblicarla su questo blog.
D. Notarangelo, pugliese di nascita, lucano di adozione, ha svolto a Matera per oltre mezzo secolo l’attività di giornalista, di dirigente politico e operatore culturale. Come corrispondente de “l’Unità” si è impegnato in battaglie giornalistiche e politiche per il progresso delle popolazioni meridionali. Coincide con questo periodo la sua scoperta della fotografia per documentare e denunziare le condizioni di arretratezza e di miseria della Lucania. Da subito si impegna a svolgere ruoli importanti nella cinematografia collaborando con numerosi registi, fra cui Luigi Zampa, Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Liliana Cavani, i fratelli Taviani. Per ”Il Vangelo secondo Matteo” assiste il Maestro anche nella scelta di numerose comparse e interpreta la parte del centurione. A lui Pasolini permette di scattare sul set numerose fotografie.
Con Palmiro Togliatti a tu per tu
Domenico Notarangelo
Fino a quel momento avevo visto
Palmiro Togliatti solo in fotografia sui giornali o sui manifesti. Era il capo
amato e indiscusso. Il suo nome rievocava momenti importanti della storia
italiana. Lo vidi per la prima volta nel 1946 a Bari, durante la campagna
elettorale. Il 2 giugno si doveva votare per la Repubblica o per la Monarchia e
per la Costituente. Togliatti parlò in piazza Prefettura stracolma di folla. A
Bari erano accorsi i comunisti da tutta la Puglia, con camion stracarichi di
giovani e di lavoratori, di bandiere rosse e di cartelloni inneggianti al PCI.
Era in corso il tentativo monarchico di salvare il re dopo il disastro del
fascismo e della guerra. Io viaggiai su uno di quei camion. Togliatti quel
giorno fece una discorso di forte denuncia del tentativo di restaurazione
istituzionale e durante tutto il comizio se la prese proprio con un certo
Lucifero, un noto esponente monarchico che doveva fare il comizio subito dopo
nella stassa piazza.
Al ricordo del prestigioso
leader del PCI mi legano numerose altre occasioni. Il 1953 Palmiro Togliatti
capeggiò la lista del PCI nella mia Puglia. La mattina dell’8 giugno,
io ero in vacanza in Lucania.
Era ancora notte quando mi imbarcai sul postale della Gambacorta per andare a
prendere la coincidenza col trenino della Calabro Lucana allo scalo di Montalbano
Jonico. Partivo per andare a votare al mio paese in Puglia. Era il mio primo
voto. Mi esaltava il fatto che avrei potuto dare il mio voto di preferenza a
Palmiro Togliatti. Arrivai al mio paese poco dopo mezzogiorno. Fui uno degli
ultimi a entrare in cabina, mancava pochissimo alla chiusura dei seggi.
Quando aprii la scheda non ebbi
più nessun indugio, avevo dinanzi a me il simbolo del PCI. E ci segnai sopra
una croce. Avevo votato, e avevo segnato la preferenza al numero uno, a Palmiro
Togliatti. Ogni voto era importante in quelle elezioni del 7 giugno 1953. Erano
passati appena cinque anni dalla sonora sconfitta che il Fronte Popolare aveva
subito il 18 aprile 1948, c’era in tutto il popolo comunista una indicibile
voglia di rivincita. La DC aveva fatto approvare dal Parlamento la cosiddetta
legge truffa per consolidare il suo potere. Si trattava di impedire che la DC e
i suoi alleati prendessero il 50 per cento più uno dei voti, per evitare che
scattasse il premio di maggioranza a loro favore. A urne scrutinate,
festeggiammo la vittoria: la legge truffa non era scattata.
Nel 1963 conobbi personalmente
Palmiro Togliatti. Ero già in Lucania a quel tempo, e avevo ruoli dirigeniali nella
federazione materana del PCI. Oltre che corrispondente dell’Unità, ricoprivo la
carica di segretario provinciale della FGCI, la federazione giovanile
comunista. Segretario della federazione era un leccese, Antonio Ventura. Il 28
aprile 1963 si doveva votare per
eleggere la quarta legislatura. Togliatti tornava a Bari per un comizio. Il
compagno Antonio Romeo, segretario regionale pugliese del PCI, telefonò a
Ventura invitandolo a Bari in occasione di quel comizio. Togliatti doveva parlare
in piazza Prefettura, su un grande palco dinanzi al Teatro Piccinni. Noi eravamo
già sul palco quando il mitico Ercoli fece ingresso sulla piazza accolto da un
applauso scrosciante e da incontenibile entusiasmo della folla. Non ricordo per
quale colpo di fortuna, io capitai proprio a fianco di Togliatti e potetti
ascoltare il suo discorso quasi bevendo
le sue parole. Ma la fortuna, quel giorno, era destino che dovesse pendere
proprio dalla mia parte. Infatti dopo che Togliatti ebbe finito di parlare, i
compagni baresi lo condussero a cena in una sala attigua ad un bar all’angolo
di piazza Prefettura. Ricordo che l’entrata del bar si affacciava dirimpetto al
monumento di piazza Massari. Era stata allestita una tavola torno torno alla
sala, io venni sistemato proprio dirimpetto a Togliatti. Lo tenevo a due passi,
lo guardavo emozionato. Togliatti parlava or con questo or con quello. Romeo lo
informava sulla situazione politica in Puglia e sulle prospettive di voto. Avevo
l’impressione che fossimo agli esami di stato, e Togliatti era l’esaminatore.
Io mi sentivo piccolo piccolo, l’ultima ruota del carro e non immaginavo che
Togliatti potesse rivolgermi la parola. Lo guardavo con gli omeri incassati sul
busto, la testa quasi rigida, gli occhi mobili appena visibili dietro le
palpebre socchiuse e le lenti molto spesse. Ricordo le sue inflessioni quasi
torinesi, ma il suo italiano era perfetto, mostruosamente perfetto.
A un certo punto Togliatti,
fissandomi negli occhi, mi rivolse la parola. Il compagno Romeo gli aveva detto
qual era il mio ruolo nel partito e che io venivo dalla Lucania. Ed era la
Lucania che intrigava Togliatti, doveva sapere tutto o molto della Lucania. Non
erano poi passati neppure molti anni da quando, il primo aprile 1948, pronunciò
a Matera il famoso discorso in cui denunciò la vergogna nazionale dei Sassi. Il
tono era fra il gioviale e l’inquisitorio, e mi apparve subito chiaro che non
potevo raccontare cose banali e propagandistiche. Era come stare dinanzi al
confessore e bisognava dire la verità. Ricordo che gli feci un quadro preciso
della realtà giovanile della Lucania. In quegli anni la Lucania era all’esordio
della rivoluzione industriale in seguito al rinvenimento di vasti giacimenti di
metano nella Valle del Basento, la DC stava tentando di imbrigliare il partito
comunista e il movimento sindacale con la promessa di posti di lavoro nelle
fabbriche. Togliatti volle sapere come avevano reagito i giovani lucani di
fronte a questo rischio. Io gli feci un quadro realistico della situazione. Chi
stava cedendo al ricatto democristiano non erano i giovani, ma le generazioni
degli adulti, almeno consistenti frange di braccianti e manovali che da tempo
erano disoccupati. I giovani avevano invece assunto un atteggiamento più
spavaldo e si predisponevano alla lotta per imporre il loro diritto al lavoro
in fabbrica. Togliatti ascoltava attento senza mai interrompermi. E fu solo un
aspetto del lungo interrogatorio di quella sera. Quanto tempo parlai? Ricordo
che il piatto di pastasciutta dinanzi a me, si era raffreddato mentre Togliatti
e gli altri commensali avevano ripulito il proprio. Ma ne era valsa la pena.
L’anno successivo, a fine
agosto, seguivo con trepidazione le cronache di Giuseppe Boffa sull’Unità sulle
condizioni di salute di Togliatti che a
Yalta, ad Artek, era stato colpito da ictus. Eravamo tutti in apprensione per
la sua vita. Con dolore appresi che l’amato capo del PCI era morto.
Immediatamente misi in moto la macchina organizzativa. A Roma dovevamo portare
non meno di venti pullman organizzando la partecipazione soprattutto di giovani
e donne. Con altri compagni approntammo il piano logistico e finalmente, la
notte del 24 agosto, il giorno prima del funerale, lungo l’autostrada per Roma
sfilarono più di venti pullman stracolmi di comunisti materani.
Provvidenzialmente avevo portato con me la macchina fotografica e la cinepresa
super 8 con cui filmai il corteo funebre per le vie di Roma gremite
all’inverosimile di gente commossa che si portava il fazzoletto agli occhi per
asciugarsi le lacrime. Ho tenuto quel filmino nel mio archivio per molti anni e
solo di recente riuscii a farlo digitalizzare. Poi la grande occasione. Un
regista romano, Giuseppe Papasso, era venuto a Melfi a girare un film, Un giorno della vita, con Maria Grazia Cucinotta.
Il film era imperniato appunto sulla storia dei funerali di Togliatti. Gli
organizzatori del film avevano saputo che io ne possedevo un filmino e mi chiesero di poterlo utilizzare.
Fu miele per il regista che lo
utilizzò sul grande schermo nella parte conclusiva del film. Quando il film
venne presentato a Matera in anteprima nazionale, io fui invitato alla
proiezione nel cinema Duni. C’era anche Maria Grazia Cucinotta. Come descrivere
la mia emozione quando, quasi a termine del film, sullo schermo cominciarono a
scorrere le immagine tratte dal mio filmato? L’effetto fu straordinario. Mi
resi conto di aver realizzato, nel 1964, un documento irripetibile. In quel
filmato c’era un pezzo della storia d’Italia. A termine della proiezione
Papasso e la Cucinotta vennero ad abbracciarmi.
Domenico
Notarangelo
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