Il quarantennale di Horcynus Orca
Oggi e domani, il 9 e 10 ottobre 2015, quindi proprio oggi e domani, mica per finta, ad Arcinazzo Romano e Trevi nel Lazio festeggiamo il quarantennale del più grande romanzo italiano di mare del Novecento: Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, che lo scrisse in parte (e a lungo, come si sa) tra quelle alture laziali. Al convegno (qui tutte le informazioni) partecipano studiosi, poeti, scrittori, artisti tra i quali Moshe Kahn, autore della prima traduzione del romanzo: uscita quest’anno in Germania per Fischer.
Riprendo dal sito del convegno:
«Quaranta anni fa veniva pubblicato Horcynus Orca, uno dei più grandi romanzi della letteratura europea del Novecento. Stefano D’Arrigo aveva cominciato a scriverlo nell’agosto del 1955, una prima stesura era già pronta alla fine dell’anno successivo, poi un’anticipazione di due capitoli sulla rivista “Il Menabò, diretta da Elio Vittorini. La pubblicazione dell’intera opera veniva annunciata come imminente già nel 1960, ma iniziava allora il lungo e travagliato lavoro di correzione delle bozze, di riscrittura del romanzo e di inserimento di lunghi inserti narrativi che sarebbe proseguito fino agli ultimi giorni del 1974, poche settimane prima della pubblicazione avvenuta nel febbraio del 1975, anche se l’elegante edizione mondadoriana reca la data di gennaio.
Il romanzo, lungo 1257 pagine nella prima edizione, racconta il ritorno del marinaio ‘Ndrja Cambrìa nel suo paese di pescatori sulla sponda siciliana dello Scilla e Cariddi e del suo tentativo fallito di restituire a una comunità devastata materialmente e moralmente dalla guerra la smarrita dignità di vita e di costumi. Il racconto di una “apocalisse culturale” commentò Walter Pedullà, “un cantare” lo definì Gianfranco Contini, un’opera che – notarono ammirati i suoi primi lettori – voleva riassumere e rielaborare tutte le letterature e i generi con l’obiettivo di arrivare al significato ultimo delle cose.
Una odissea della parola, “un’arcalamecca”, una “mille e una notte”, la scoperta di una lingua letteraria e popolare, mitica e concreta nello stesso tempo: classica, appunto. “Un monstrum espressivo”, come scrisse, sgomento, Niccolò Gallo, l’editor che, insieme con Walter Pedullà, ne accompagnò tutte le fasi creative senza riuscire a vederne la luce, per la prematura scomparsa. Un’opera intraducibile, si disse, ed è stato così per quaranta anni, fino a pochi mesi fa, quando il letterato poliglotta Moshe Kahn ha dato alle stampe la sua monumentale traduzione in tedesco, nel giudizio unanime un capolavoro a servizio di un capolavoro.
Il nostro convegno vuole ricordare il Quarantennale di Horcynus che non ha trovato posto nelle agende dei giornali, sempre così dense anche di ricorrenze inessenziali, e in grandi eventi celebrativi. Lo fa chiamando a parlarne alcuni degli studiosi più importanti, quelli che hanno sostenuto la battaglia, di cui Pedullà è stato il leader più autorevole e convinto, per collocare l’Horcynus nell’Olimpo delle grandi opere. Insieme con loro ci saranno Moshe Kahn, il traduttore dell’edizione tedesca (uscita per i prestigiosi tipi della Fischer), scrittori, poeti e musicisti».
{ Per i lettori di Nazione Indiana: un viaggio nell’Horcynus lo intraprese, undici anni fa, su questo sito, Alessandro Garigliano: questo il link al suo ultimo pezzo (il sesto di sei), da cui risalire agli altri. }
Siriana Sgavicchia, che interverrà al convegno, promette:
«Horcynus Orca è un mito moderno, un racconto sulla divina mania della conoscenza. Stefano D’Arrigo, come l’Ulisse dantesco, sfida il limite, forza i confini del romanzo per andare «dentro, più dentro dove il mare è mare», per scoprire il mistero dell’inizio e della fine. Il protagonista del romanzo sale sulla groppa dell’orca, va incontro alle tenebre e si mette nella barca che è bara e arca insieme per raccontare la poesia del «visto con gli occhi della mente». La sperimentazione espressiva non è un ostacolo per il lettore di Horcynus Orca perché si accompagna all’emozione, in una ricerca visionaria e visiva che cambia la prospettiva della percezione come accade nell’innamoramento».Primo Levi scrisse:
«Poi ti imbatti in Horcynus Orca e tutto salta: è un libro esuberante, crudele, viscerale e spagnolesco, dilata un gesto in dieci pagine, spesso va studiato e decodificato come un arcaico, eppure mi piace, non mi stanco di rileggerlo e ogni volta è nuovo. Lo sento internamente coerente, arte e non artificio; non poteva essere scritto che così. Mi fa pensare a una certa galleria che è stata scavata secoli fa, nella roccia, in Val Susa, da un uomo solo in dieci anni; o ad una lente con aberrazioni, ma di portentoso ingrandimento. Mi attira soprattutto perché D’Arrigo come Mann, Belli, Melville, Porta, Babel e Rabelais, ha saputo inventare un linguaggio, suo, non imitabile: uno strumento versatile, innovativo, e adatto al suo scopo».E adesso vi saluto. Vado a nuotare «il nuotare del pesce che nuota nel verso del pelo marino».
Scusi dottor Virga, la mia memoria vacilla e poi questo romanzo credo che in Sicilia lo abbiano letto si e no in tre... se non ricordo male una lunga digressione riguarda i pupi, Carlo Magno...ecc.
RispondiEliminaPderchè , visto che nel convegno non ci sono pupari perchè non lo propone lei a Marineo ? Solo per sapere quanti lo hanno letto mica per .... polemica ?