La Rivista diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci dava spazio alle voci più vive della cultura di quegli anni. In questo numero spiccano, fra tutti, i nomi di Danilo Dolci, Carlo Levi, Rocco Scotellaro e Pier Paolo Pasolini. Di quest'ultimo vennero pubblicati alcuni versi delle sue
Le ceneri di Gramsci.
Riproponiamo di seguito due pagine critiche relative a questo testo:
(...) Non credo che la mia poesia si
possa chiamare “civile”, non lo è per definizione in quanto è poesia di
opposizione, continua, quasi aprioristica: mentre la poesia “civile”
come si è intesa e fatta finora, è stata sempre poesia consenziente alle
istituzioni, o in opposizione riformistica. Nei confronti della poesia
del Novecento, la mia poesia è certo diversa: sostituisce il logico
all’analogico, il problema alla grazia (...)
Pier Paolo Pasolini
*
Calvino scrive a Pasolini:
(...) Bravura tecnica da sbalordire. Poi tutta concatenata di pensiero come i Sepolcri.
Così si scrivono le poesie! E quel senso di Gramsci che finisce seppellito a Roma - come mi diceva l’altro giorno Renato Solmi - come l’abitante di un altro pianeta, è bellissimo, e finora nessuno aveva saputo dirlo. Solo che tu tieni per Roma, in fondo; e io per Gramsci. E’ poi molto bello tutto quello che è “paesaggio”. Ma il tema vero e proprio del componimento mi pare debole e non nuovo: il dissidio rivoluzione - passione, rigore logico - vitalità è ormai ben povero dramma, visto che un puritanesimo rivoluzionario non l’abbiamo mai avuto né l’avremo mai e il movimento operaio italiano ha preso un’immagine quanto mai meridional romanesca. E anche la diade: proletariato come protagonista della storia - proletariato come natura è fragilissima. E Gramsci è altro; bisognerebbe questi e altri drammi vederli dentro di lui (...)
Però, la poesia è lo stesso bella e piena di cose. Ma su questi aggettivi “vizioso”, “lurido”, ecc. non ci batti un po’ troppo?
A un certo punto diventa facile appoggiarti tutto sugli aggettivi: o trovi altri giri o finisci nella maniera.
Pier Paolo Pasolini
*
Calvino scrive a Pasolini:
(...) Bravura tecnica da sbalordire. Poi tutta concatenata di pensiero come i Sepolcri.
Così si scrivono le poesie! E quel senso di Gramsci che finisce seppellito a Roma - come mi diceva l’altro giorno Renato Solmi - come l’abitante di un altro pianeta, è bellissimo, e finora nessuno aveva saputo dirlo. Solo che tu tieni per Roma, in fondo; e io per Gramsci. E’ poi molto bello tutto quello che è “paesaggio”. Ma il tema vero e proprio del componimento mi pare debole e non nuovo: il dissidio rivoluzione - passione, rigore logico - vitalità è ormai ben povero dramma, visto che un puritanesimo rivoluzionario non l’abbiamo mai avuto né l’avremo mai e il movimento operaio italiano ha preso un’immagine quanto mai meridional romanesca. E anche la diade: proletariato come protagonista della storia - proletariato come natura è fragilissima. E Gramsci è altro; bisognerebbe questi e altri drammi vederli dentro di lui (...)
Però, la poesia è lo stesso bella e piena di cose. Ma su questi aggettivi “vizioso”, “lurido”, ecc. non ci batti un po’ troppo?
A un certo punto diventa facile appoggiarti tutto sugli aggettivi: o trovi altri giri o finisci nella maniera.
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