L'UTOPIA DI LUDOVICO CORRAO
Gibellina è la cittadina siciliana in cui Ludovico Corrao viveva, alla quale dedicò molti dei suoi sforzi e dove è stato tragicamente ucciso. L’origine araba del suo nome (Gebel, montagna, e Zghir, piccola) e il progetto che Corrao mise in campo in quel luogo dopo il terremoto del Belice del gennaio 1968 rappresentano due metafore dell’idea del Mediterraneo come luogo di incontro tra diverse civiltà, luogo di bellezza creatività, arte e nuova umanità.
L’idea che illuminava Ludovico Corrao era quella di “umanizzare” la sua terra, la Sicilia del massacro di Portella della Ginestra, del patriarcato, della mafia, facendola vivere, difendendo la sua bellezza naturale e aggiungendovi la bellezza dell’arte
Dopo il terremoto del Belice Corrao si mobilitò chiamando nella sua città artisti di fama mondiale come Pietro Consagra e Alberto Burri che riempirono Gibellina di opere d'arte. All'appello risposero, anche, Mario Schifano, Andrea Cascella, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Franco Angeli, Leonardo Sciascia. La città fu ricostruita a 20 chilometri da quella distrutta, sui terreni espropriati alla mafia e divenne subito un immenso laboratorio di creazione artistica, in cui si tentò di non limitarsi alla mera ricostruzione degli edifici ma a far nascere da quel disastro un frutto originale e fecondo.
In breve tempo Gibellina divenne un vero e proprio museo a cielo aperto, tra i primissimi di questo tipo nell’Italia degli anni ’70. Non si trattò solo di installazioni e sculture, ma anche dell’inizio di un’intensa stagione di opere teatrali messe in scena sull’enorme Cretto di cemento creato da Alberto Burri ad opera di registi di fama internazionale. I meravigliosi cavalli lignei immersi nella montagna di sale di Mimmo Paladino nacquero a Gibellina per la scenografia de La sposa di Messina reinventata da Elio De Capitani (come ricorda Gianfranco Capitta nel suo articolo, Ludovico Corrao, l'arte della convivenza, pubblicato sul Manifesto del 9/8/2011).
Da tale esperienza derivò quindi la nascita della fondazione Orestiadi e del Museo delle Trame Mediterranee, all’interno del restaurato Baglio di Stefano, sulle colline di Gibellina, che ospita tuttora una ricca collezione di reperti archeologici e opere contemporanee, e l’inizio di un appuntamento periodico con l’arte, la cultura, il teatro civile. Alcuni giornalisti oggi criticano “l’utopia” di Corrao, sottolineando che di quell’esperimento è rimasto ben poco; ma è piuttosto ingeneroso attribuire a Corrao il fatto che a quell’esperimento non seguirono da parte del Governo e della Regione siciliana interventi più incisivi di carattere strutturale.
Gibellina che riviveva tra le opere d’arte era dunque la metafora del mondo che Corrao sognava:
“E’ una ricerca che ho condotto dall’inizio della mia vita, è la mia ricerca di vita, se vogliamo la mia ragione di vita. E’ una rilettura della Storia più vera e profonda della Sicilia. E’ il tentativo di un percorso di fratellanza, a partire dai segni plurimi e comuni dei vari popoli del Mediterraneo”
(dall’intervista di Baldo Crollo)
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