E' un piacere e un grande onore per me pubblicare oggi, in anteprima, un' inedito ritratto di Pier Paolo Pasolini scritto di pugno da Domenico Notarangelo, uno dei collaboratori del grande regista-poeta nella preparazione del Vangelo secondo Matteo . Come potete facilmente immaginare si tratta di una testimonianza unica e preziosa e ringrazio di cuore Domenico per avermi fatto questo grande regalo.
Il mio Pasolini
Accadde 40 anni fa, era la notte fra l’1 e il 2 novembre
del 1975. All’Idroscalo di Ostia si consumava l’assassinio di Pier Paolo
Pasolini. Appresi la tragica notizia la mattinata del 2 novembre dai primi
radiogiornali. La prima sensazione che provai fu di incredulità, poi di dolore
e di rabbia, una sorta di impotenza. Ascoltavo e le lacrime mi uscivano come
fiume in piena. In quei primi momenti non pensavo ai particolari di quella
tragedia, ero tutto concentrato sulle
fitte di dolore che la notizia aveva provocato. Sul tavolo di lavoro la
macchina da scrivere cessò di battere. Per l’intera mattinata mi rimase un
groppo alla gola. Solo più tardi ripresi coscienza e cominciai a pensare
all’accaduto. In quelle ore di disperata
solitudine ero tutto preso dai ricordi ancora vivi e palpitanti dei giorni in
cui avevo visto Pasolini operare fra le grotte dei Sassi mentre dirigeva il Vangelo
secondo Matteo. Erano passati dieci anni. Per l’intera mattinata non feci altro
che ripensare ai giorni della nostra amicizia. Tutto ebbe inizio in una
mattinata del giugno 1964, al mio tavolo di lavoro nella Federazione del PCI di
Matera ero intento a scrivere un servizio per l’Unità. Si presentarono due
signori, dissero che erano del Cinema e che venivano da Roma. Erano a Matera
per preparare il set del Vangelo secondo
Matteo che di lì a poco Pier Paolo Pasolini sarebbe ventuto a girare nella
città dei Sassi. Erano Maurizio Lucidi, l’aiuto regista, e Manolo Bolognini,
organizzatore generale del film. Temevano che anche a Matera potessero accadere
tentativi di aggressione da parte di gruppi neofascisti come era già accaduto
in altre città italiane perciò venivano a chiedere ai comunisti locali di
organizzare una qualche vigilanza intorno al Maestro. Toccò a me, che ero
segretario dei giovani comunisti materani, assolvere a tale compito. Qualche
giorno dopo Pasolini volle incontrarmi. “Ho bisogno del suo aiuto” mi disse.
Bisognava cercare una cinquantina di volti che potessero svolgere il ruolo dei
sacerdoti e dei farisei. Mi sentii come investito da un sacro fuoco: Pasolini
mi aveva invitato a collaborare al suo film. Già questo mi riempiva di
orgoglio. Fu quello l’inizio di un’amicizia che doveva lasciare profonde e più
durature tracce nella mia vita. In pochi giorni gli procurai quelle comparse.
Non si trattava di comparse qualunque. “Devono essere, mi spiegò, facce
stronze, fasciste”.
Oggi mi ritrovo a pensare che scegliendo Matera come
set del suo Vangelo, Pasolini abbia risolto due problemi: quello di utilizzare
lo struggente scenario dei Sassi e della Murgia come fossero la Gerusalemme di
duemila anni or sono e l’antica Terrasanta senza nulla modificare o
manomettere; e l’altro delle comparse, perchè nelle grotte e nelle caverne
degli antichi rioni materani trovò il popolo autentico della Palestina e della
Galilea dei tempi di Gesù. Ciò dimostrando come la città dei Sassi fosse
rimasta immobile e immutata di fronte al muoversi della storia. Il popolo
materano accorse con entusiamo.
Questa mia collaborazione doveva poi subire altri
risvolti. Che furono fortunati e decisivi. Infatti a distanza di pochi giorni
Pasolini mi mandò a chiamare di nuovo e mi propose di fare una “comparsa
speciale”, mi disse, dovevo vestire i panni del centurione romano. Accettai e
il giorno dopo ero sul set a seguir da presso il Cristo sotto la croce. Per tre
giorni, sotto un sole canicolare, coperto di sudore e di stanchezza, seguii
Gesù lungo le stradine e i vicinati degli antichi rioni materani e sulle
impervie balze della murgia verso il Golgota. E fu una fortunata circostanza,
perchè ebbi l’intuizione che quella poteva essere l’occasione, stando sul set,
per fotografare Pasolini. E così fu. Quando non ero di scena, tiravo fuori le
fotocamere e fotografavo Pasolini preoccupandomi soprattutto di ritrarlo nel
contesto dei Sassi. Era quello, in fondo, lo scopo che mi ero prefisso. Riuscii
a eseguire numerosi.
Ma il nostro fu un raporto anche di amicizia. Pasolini
sapeva della mia militanza comunista e spesso mi impegnava in lunghe discussioni
politiche.
In uno dei nostri frequenti incontri mi chiese cosa
pensassimo noi comunisti della situazione degli antichi rioni dei Sassi che a
quell’epoca erano interessati a gravi dissesti e a preccupante degrado. Da
comunista ortodosso io cercai di spiegargli che, grazie anche alla lotta delle
sinistre e dei sindacati, si stava compiendo un’opera di giustizia e di civiltà
per eliminare quella che Palmiro Togliatti qualche anno prima aveva definito
come una vergogna nazionale. Pasolini ebbe come un moto di insofferenza e,
quasi rimproverandomi, mi redarguì: “Anche voi comunisti vi state rendendo
responsabili dell’assassinio del mondo contadino”. Non ebbi coraggio di
replicare, ma avvertivo che egli in fondo non aveva torto. Anzi, con la sua
consueta chiaroveggenza vedeva quel che poi, a distanza di alcuni anni, tutta
la sinistra italiana doveva riconoscere come un grave errore consumato nei
Sassi in nome della demagogia elettoralistica.
Oggi, a distanza di mezzo secolo, ricordo e rivedo
Pasolini nei giorni in cui dirigeva il film nei Sassi di Matera e sulle rocce
brulle della Murgia. Lo ricordo concentrato nel lavoro, mai distratto, quasi
circonfuso da un’atmosfera di massima penetrazione. A distanza di tempo riesco
a rivivere quell’atmosfera come fosse oggi, tutti noi immersi in una calura
spietata e in un silenzio assordante, e intorno a noi la storia millenaria di
caverne dove fino a pochi anni prima c’era stata la vita, dove una volta si
avvertivano i rumori e i ragli degli asini, dove si percepiva l’odore del pane
fatto in casa e l’umore forte delle vinacce e il tanfo violento dei letamai e
delle muffe, gli strilli dei mocciosi e i lamenti delle nonne. La presenza di
Pasolini faceva tutt’uno con le scalinate infestate di erbacce e le pareti di
tufo invecchiato, e le comparse che si muovevano con grazia spontanea sulla
scena come se fossero i naturali e coevi abitatori della Palestina o di
Gerusalemme; o con i tratturi impervi e le rocce brulle e arroventate della
Murgia Timone sulla quale svettavano le tre croci del Golgota come tre bracci
di alberi di mandorlo secchi d’atavica arsura. Già costruendo quei paesaggi e
quegli attori Pasolini aveva creato un autentico poema epico, sposando sulla
scena l’eternità dei millenni: Palestina e Murgia, Matera e Gerusalemme, Terra
Santa e Sassi, braccianti e palestinesi, ebrei di ieri ed ebrei di oggi e di
sempre, e su tutto e su tutti lo stesso sole e lo stesso vento e la stessa
sorte.
Ancora oggi mi chiedo come mai Pasolini abbia scelto
Matera per il suo film. Una risposta, anche se indiretta, la forniva lo stesso
regista dopo il sopralluogo in Palestina dove non esistevano più le condizioni
di due millenni prima. Bisognava cercare quei luoghi e quella antichità epica
in altri siti, dove possibilmente la mano del tempo non avesse apportato
mutamenti, dove tutt o si fosse fermata nella immobilità della storia. Dove,
insomma, non fosse necessario trasportare il passato e dove il passato fosse
ancora presente e drammaticamente vivo e attuale, conservato più genuinamente.
Avvenne così che si pensò a cercare un luogo che fosse il passato, e questo
luogo fu Matera e altri luoghi del Sud, la Calabria, Massafra, le cantine di
Barile, i castelli federiciani di Puglia e Lucania, le falde dell’Etna. Matera
in modo particolare, dove avrebbe girato le scene salienti del suo Vangelo:
Gerusalemme, la Via Crucis, il Golgota e la crocifissione, il Sepolcro. A
quell’epoca a Matera non si erano ancora fatti sentire i frutti del miracolo
economico, i contadini e i braccianti erano povera gente come cento o mille
anni prima, il popolo dei Sassi portava addosso i panni della miseria, sulle
facce della gente erano evidenti i solchi delle rughe e dei patimenti. E c’era
la disoccupazione di massa. Quel popolo si offriva alla perfezione a rigenerare
le folle che seguivano Gesù nell’osanna e nella passione. A quel popolo
Pasolini non concesse benefici economici, poiché misero era il compenso, ma
diede lustro e identità, mostrandolo agli occhi del mondo nella nudità della
sua condizione di vergogna nazionale e di custodi della dignità umana e della
perennità della storia. Con quel film Pasolini ha dato molto a Matera, ora
Matera deve pensare a restituire qualcosa a Pasolini, riconoscendo che se la
città è diventata Capitale della Cultura Europea 2019, lo si deve anche a lui
in grande misura. E finalmente quel momento è arrivato. Infatti nella
ricorrenza del suo assassinio, il due novembre, il sindaco di Matera è
intenzionato a intitolare il cinema comunale al nome di Pasolini. E’ un primo
atto dovuto a risarcimento di quanto l’illustre regista ha fatto per la città
dei Sassi. Ora bisogna pensare ad altri risarcimenti affinchè il nome e la
memoria di Pasolini vengano compiutamene
e opportunamente recuparati alla storia di Matera.
Domenico
Notarangelo
Una prima lettura della straordinaria testimonianza di Domenico Notarangelo l'ho fatta con le lacrime agli occhi. Superata l'emozione iniziale mi sono soffermato in un passo che mi ha colpito particolarmente:
RispondiElimina"In uno dei nostri frequenti incontri mi chiese cosa pensassimo noi comunisti della situazione degli antichi rioni dei Sassi che a quell’epoca erano interessati a gravi dissesti e a preccupante degrado. Da comunista ortodosso io cercai di spiegargli che, grazie anche alla lotta delle sinistre e dei sindacati, si stava compiendo un’opera di giustizia e di civiltà per eliminare quella che Palmiro Togliatti qualche anno prima aveva definito come una vergogna nazionale. Pasolini ebbe come un moto di insofferenza e, quasi rimproverandomi, mi redarguì: “Anche voi comunisti vi state rendendo responsabili dell’assassinio del mondo contadino”. Non ebbi coraggio di replicare, ma avvertivo che egli in fondo non aveva torto. Anzi, con la sua consueta chiaroveggenza vedeva quel che poi, a distanza di alcuni anni, tutta la sinistra italiana doveva riconoscere come un grave errore consumato nei Sassi in nome della demagogia elettoralistica."
Questa autocritica fa onore a Domenico che ritorno a ringraziare.
Ricordo ancora quel giorno di 1964 in cui Pier Paolo e io eravamo andati alla sede del PCI di Matera per chiedere se ci potevano aiutare a trovare dei farisei per le riprese del Vangelo secondo Matteo. E lì trovammo Domenico Notarangelo, che ci aiutò anche lui e poi fece di centurione nel film. Fu così come scattò delle foto, con la camera nascosta sotto la tunica. E un altro giorno andammo io e Pier Paolo alla sede del PCI a comprare dei libri che non si trovavano in Spagna, e fu il secondo giorno che trovammo Domenico. Due giorni soltanto, peccato, ma che hanno prodotto tutta una storia. Quarantatré anni dopo, Domenico venne a intervistarmi a Barile, e finalmente ho avuto il piacere di andare a pranzo a casa sua nel 2011 e nel 2015, in nome dei vecchi tempi. Insomma, un gentile rapporto distribuito in più di mezzo secolo.
RispondiEliminaUn abbraccio, Domenico.
Enrique Irazoqui