17 ottobre 2015

M. DE UNAMUNO E L. PIRANDELLO








La Finzione nella letteratura in Pirandello e Unamuno

La più grande differenza tra realtà e fantasia è che la fantasia deve essere credibile
Mark Twain
La figura dell’autore in un’opera artistica e letteraria è tanto scontato quanto essenziale: ogni lavoro presuppone un autore materiale (o più di uno) e non esiste altra divisione tra l’arte e l’artista oltre finzione e realtà. Ma l’autore può comparire all’interno della sua stessa opera comprendendosi intenzionalmente nel suo capolavoro: alcuni esempi celebri sono gli autoritratti (di Rembrandt, di Michelangelo, etc.) in opere sacre e profane dai contesti assolutamente occasionali; o anche la firma stilistica (Bach usava come temi per le sue fughe il suo cognome). Qualche scrittore, giocando con gli anagrammi si crea un corrispondente immaginario, o si introduce sotto le spoglie di un personaggio (come non pensare a Dante nel suo viaggio fantastico) come “avatar”. Ma le opere d’arte possono riprodurre la realtà? Riprodurla certamente, copiarla, ma si discosteranno lentamente da questa nello sfasamento temporale che diventerà incolmabile: dal momento della creazione (nella sua precisa e delimitata epoca storica) pian piano se ne separa trasformandosi in altro da essa, conquistando l’autonomia dell’arte, perché se la realtà cambia, l’arte, della quale è una copia fissa e immutabile, continuerà ad essere eternamente la stessa imperitura espressione di un sentimento. Sempre la stessa combinazione cromatica, la stessa combinazione di suoni, gli stessi versi poetici, che (con buona pace dell’interpretazione) porteranno all’umanità un frammento del mondo interiore di chi li pensò. Nel momento in cui l’artista li fissa diventano, quindi, qualcos’altro. Non più realtà: verità (giacché la verità non è che un continuo e perfetto mutare se stessa) o invenzione, una falsità, una finzione. Il fruitore di un’opera artistica è a conoscenza di questo avviso e vi si accosterà consapevole che le persone non sanno volare, che i prati non sono rossi, e che una poltrona non può parlare. La rottura delle comuni leggi della natura e della logica indurrebbero il lettore a dubitare di quell’opera come non veritiera, irrealistica; allora la questione nasce dall’atteggiamento con cui ci si approccia ad analizzare un’opera. Come ci si comporterà quando l’opera e l’arte invade la realtà? È quello che accade con gli effetti di trompe-l’oeil di alcuni madonnari, che letteralmente ingannano i nostri occhi con effetti di realistiche (ma ingannatrici) proiezioni prospettiche. Nella letteratura è racchiuso tutto nella manifestazione dell’onnipotenza creatrice dell’autore. Gli esempi più emblematici sono l’anticommedia “Sei personaggi in cerca d’autore” di L. Pirandello e il romanzo filosofico (o nivola) “Niebla” di M. de Unamuno. Emblematici perché opere uniche, nuove e originali per il panorama culturale europeo dell’anteguerra. Questi esempi svelano l’origine della nascita nella mente dell’autore di personaggi che manifestano ansie e crisi interiori che riecheggiano il clima storico del periodo nel quale sono state composte (del 1907 la nivola¹ e del 1922 la prima rappresentazione dei Sei personaggi). Questi personaggi (parliamo di Pirandello) rifiutati dalle scene, vagano senza posa nella realtà, in cerca della loro soluzione teatrale (che sarebbe l’esibizione scenica). Eppure vivono come effimere ombre la loro precaria situazione di personaggi (si badi bene: personaggi, non attori!) tragici, con le loro passioni, il loro dramma e i loro paradossi. Affrontarli in una rappresentazione teatrale comporta l’uso necessario di attori, vestiti nei panni dei sei personaggi, a recitare una parte che «difficilmente potrà essere com’io sono realmente» (cit. Padre) e che all’interno della finzione teatrale che racchiude questa entrata, magica, inattesa per gli attori che stavano provando “Il giuoco delle parti”, sarà velatamente messa in luce e criticata la pretesa di realismo a cui aspirava il teatro naturalista e verista prima di allora. Il gioco di relazioni interne al teatro aumentano ancora e si complicano quando i personaggi chiamano alla ribalta un ulteriore personaggio, necessario allo svolgersi del dramma, realizzando così, sotto l’accondiscendente (o meravigliato) sguardo del pubblico il mistero della creazione di Madama Pace. Nella finzione teatrale è come se gli attori che stavano provando vivessero l’inspiegabile esperienza della materializzazione davanti ai loro occhi del fantastico, ovvero di quello che prima non esisteva, ma tutto questo non viene vissuto nella stessa maniera dal pubblico in sala, giacché ha accettato pagando il biglietto la finzione (il cosiddetto patto narrativo implicito), ma è allo stesso tempo conscia della situazione e critico verso ogni scena proposta: dalla volontaria sospensione del dubbio, al deus ex machina. Finzione, però, che cessa non appena si riaccendono le luci in sala. Si può allora immaginare il motivo per cui le opere di Pirandello abbiano suscitato tanto scandalo. Viene cercato lo stridore che crea il violento impatto tra finzione e realtà, per esempio, è famoso uno scambio di battute tra il Padre e il Capocomico:
«P: – Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata da caratteri suoi, per cui è sempre «qualcuno». Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo così in genere, può non esser «nessuno».
C: – Già! Ma lei lo domanda a me, che sono il Direttore! Il Capocomico! Ha capito?
P: – […] se noi oltre l’illusione, non abbiamo altra realtà, è bene che lei diffidi della realtà sua, di questa che lei oggi respira e tocca in sé, perché – come quella di jeri – è destinata a scoprirlesi illusione domani.»
Non ci sta forse mettendo in guardia l’attore che interpreta il personaggio del ‘Capocomico’, e non sta mettendo ancora più in guardia noi? Dove finisce la realtà e dove comincia il teatro? Dove finisce la farsa e dove inizia la vita? Realtà e fantasia allora si scontrano tragicamente nella scena e tutto il teatro, gli spettatori, e tutto il mondo sono coinvolti nella finzione. A ben ragione quest’opera è un capolavoro della letteratura universale, che apre uno spiraglio al nostro telo quotidiano per farci scoprire più personaggi in maschera di quanto non crediamo. Il mondo, e le sue rappresentazioni, sono messe in dubbio e lo spettatore è costretto a reagire, a ragionare, confrontarsi con se stesso (non per caso Pirandello è stato definito scrittore ‘filosofico’). L’opera d’arte è, sotto certi aspetti, come il vetro di una finestra: l’osservatore vede se stesso e il suo mondo riflesso nel vetro, ma attraverso di questo vede quello che c’è oltre, l’aldilà, un mondo più vasto e complesso. Questo eterno dualismo tra reale e irreale, questa “opposizione irriducibile” per Todorov (La letteratura fantastica, 1977) è la “quintessenza della letteratura”. La discussione del limite tra realtà e fantasia, quindi, è stata forse una delle prime questioni implicitamente affrontate dalla poesia e dalle mitologie. Ma, ancora una volta, i limiti si possono rompere e l’invasione della fantasia nella realtà, o viceversa, è da accettare come in un sogno. L’Arte ha sempre cercato di creare artificialmente quello che ogni notte i sogni ci fanno apparire naturale. Così in “Niebla” di Unamuno assistiamo nella fine del romanzo solo dopo che il suo protagonista, Augusto Pérez, cade vittima di disavventure sentimentali e amorose, alla decisione di consultare il parere di Unamuno stesso sulla sua intenzione di suicidarsi. Quello che ad un lettore superficiale può apparire inizialmente come un giochetto letterario, si trasforma presto in un acceso dibattito filosofico ed esistenziale che trascende qualsiasi particolare autoriferimento. La questione vitale per Augusto, oltre a scoprirsi come puro ente di finzione (il primo caso nella storia della letteratura?) è la sua conseguente negazione della libertà decisionale: tutto quello che ha fatto o deciso ( o che ha creduto di fare e di decidere) gli veniva imposto da un potere superiore e sconosciuto, quasi divino, che coincideva, a volte, con la sua stessa coscienza.
«- ¿Cómo que no estoy vivo? ¿Es que he muerto? – y empezó, sin darse clara cuenta de lo que hacía, a palparse a sí mismo. […] – Pues bien: la verdad es, querido Augusto – le dije con la más dulce de mis voces -, que no puedes matarte porque no estás vivo, nì tampoco muerto, porque no existes…»
Il suo creatore-autore gli appare davanti costringendolo ad aprire gli occhi sulla sua natura di personaggio all’interno di un mondo fittizio e inventato. Certo gli interventi degli autori nella narrativa non erano nuovi, ma sono sempre stati limitati al ruolo marginale di narratore (al più onnisciente ed extradiegetico). In quest’opera originale lo scrittore, dall’alto della sua onnipotenza creatrice si include nei protagonisti, creando, però, una personaggio a sé che (come semplice emanazione dimostrativa) ovviamente non corrisponderà mai con l’autore reale che realmente l’ha pensato e fissato su carta. Qui si palesa, allora, il velo sottile che separa la realtà dalla fantasia, la differenza tra il mondo fisico e il mondo ideale, che è evanescente quanto indistruttibile (il nostro vetro). Ma torniamo ad Augusto, che si riteneva dotato di libero arbitrio, e che invece tutto (compresa la decisione di consultare Unamuno) era predisposto dal principio: la sua morte, infatti, è già scritta al finale del romanzo e l’autore non può, o non vuole, cambiarlo.
«- […] No quiere usted dejarme ser yo, salir de la niebla, vivir, vivir,vivir, verme, oírme, tocarme, sentirme, dolerme, serme. ¿Conque no lo quiere? ¿Conque he de morir ente de ficción? Pues bien, mi señor creador don Miguel, también usted se morirá, también usted, y se volverá a la nada de que salió… ¡Dios dejará de soñarle! ¡Se morirá usted, sí, se morirá, aunque no lo quiera; se morirá usted y se morirán todos los que lean mi historia, todos, todos, sin quedar uno! ¡Entes de ficción como yo; lo mismo que yo! Se morirán todos, todos, todos. Os lo digo yo, Augusto Pérez, ente ficticio como vosotros, nivolesco, lo mismo que vosotros. Porque usted, mi creador, mi don Miguel, no es usted más que otro ente nivolesco, y entes nivolescos sus lectores, lo mismo que yo, que Augusto Pérez, que su víctima…
– ¿Víctima? – exclamé.
– ¡Víctima, sí! ¡Crearme para dejarme morir! ¡Usted también se morirá! El que crea se crea y el que se crea se muere. ¡Morirá usted, don Miguel; morirá usted y morirán todos los que me piensen! ¡A morir, pues!»
Sarà l’ultima ed estrema ribellione di Augusto prima di morire, forse veramente suicida (avverando la profetica morte) o forse ucciso, come stabilito, dal suo creatore. Tragica fatalità degli Enigmi, che è la stessa governata del Destino. Questa è la condizione umana che traspare da tutta l’opera di Unamuno: uomini dispersi, isolati e confusi, che vivono una vita prestabilita da altri e che sono sorvegliati da un Dio che prima o poi smetterà di sognarli.
Fingere in latino significa “formare”, “creare”, ed è dalla suprema creazione artistica che l’artista, qualunque sia la sua arte, esprime il suo talento e la sua fantasia (attinta da fonti extra-fenomeniche, o noumeniche). La finzione, in definitiva, è un atteggiamento critico con il quale l’autore favorisce, attraverso le più diverse tecniche, un approccio alla comprensione dell’opera in maniera cosciente, rigettando ogni romanticismo e non occultando le tecniche narrative che utilizza, ma anzi mostrando le caratteristiche propriamente metaletterarie e metateatrali, al fine non solo di stupire, ma anche di far riflettere il lettore/spettatore su se stesso e sul mondo che lo circonda. Borges scrisse: «Perché ci inquieta il fatto che la mappa sia compresa nella mappa e le mille e una notte nel libro delle Mille e una notte? Perché ci inquieta che don Chisciotte sia lettore del Don Chisciotte, e Amleto, spettatore dell’Amleto? Credo di aver trovato la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi.» (Da Altre inquisizioni, Magie parziali del “Don Chisciotte”, 1960)

¹ Come intendeva lo stesso autore, la forma del romanzo (novela in spagnolo) si confonde con il contenuto nebbioso e incerto di Niebla (“Nebbia”), diventando di conseguenza non più novela, ma nivola.

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