Sessantotto. La contestazione in parrocchia
don Andrea Gallo
Ricordi vivi e impressioni scolpite nel cuore, propositi, sicurezze e incertezze, sogni... mai illusioni.
Chi
vuole affrontare onestamente il ’68, analisi dopo analisi vedrà
emergere autenticità, unicità, novità senza esaltazioni arbitrarie e
incomprensioni malevoli.
Ho partecipato attivamente nel 2001 al G8 di Genova.
Migliaia
e migliaia di giovani che «camminano domandando». Gioiosamente e
pacificamente ho sfilato lo scorso novembre a Genova. Oltre 60 mila
giovani in marcia. Perché ancora capri espiatori? Dov'è la commissione
parlamentare d'inchiesta sul G8?
A Vicenza col presidio permanente Dal Molin una festa continua di resistenza democratica.
All’inizio
di questo terzo millennio ho vissuto idee, istanze, valori di libertà,
di solidarietà, di responsabilità, di democrazia partecipata nelle
scuole, sul territorio, nella politica. La scoperta dell'autogestione
nei centri sociali, la autodeterminazione, la pace, la lotta per il
lavoro, per l’ambiente.
Ebbene, signori tristi revisionisti, ciechi e cinici, queste tensioni, queste spinte di oggi si sono sprigionate nel’68.
Si è fatto di tutto per metterci una pietra sopra. Il macigno non è risultato inamovibile.
Il
’68 è apertura alle possibilità a venire. Si voleva evitare di
trattenersi nella prigione del presente, che, senza prospettive, si
risolveva nella malinconica memoria di un passato immodificabile.
Era
finita l’epoca dell’impossibilità di darsi un futuro. Il discorso è
stato aperto ed è decisamente attuale. A Porto Alegre nel gennaio 2001
abbiamo gridato: «È possibile un nuovo mondo?».
Ero
un prete quarantenne nel 68. L’età del «matusa», ma per raro privilegio
accolto nell’università, nelle assemblee, nei cortei, nelle prime
«comuni», nelle fabbriche in fermento.
Dal
1965 ero approdato in qualità di viceparroco al «Carmine» a trecento
metri dalla mitica «Balbi» facoltà umanistica di Genova. A cento metri
il liceo classico Colombo, la scuola di De André.
Sono stato miracolato e da sempre mi sono ritenuto orgogliosamente «sessantottino».
“Time”, rivista americana, nel 1988 scrisse: «Il ’68, come il rasoio che separò il passato dal futuro».
Ho visto fiorire originali intuizioni. Avevo vissuto la primavera del Concilio Vaticano II che terminò il 7 dicembre 1965.
Nel
’68, la prima e approfondita interpretazione dei documenti conciliari
della Conferenza episcopale panamericana di Medellin (Colombia), con la
nascita delle comunità di base e della teologia della liberazione.
Opportuna e felice coincidenza per un prete cattolico, confrontarsi con
l’alba di una nuova società, di un nuovo movimento giovanile
studentesco. Sono alla soglia dei miei ottant'anni e sono convinto
d’aver partecipato nel maggio ’68 al più straordinario movimento
giovanile della storia.
Di
fronte a tutto ciò, il mondo politico e parlamentare, la Chiesa, non
seppero dare ai giovani nessuna risposta seria. Anche il Pci espulse
alcuni compagni dal partito. Nascerà presto “il manifesto”. Un vento
gioioso soffiava nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle
strade, nelle piazze di tutto il mondo. Fu una festa di lotta, Mario
Capanna nel 1998 uscì col suo libro Formidabili quegli anni. Bravo
Mario.
L’entusiasmo
spontaneo e il gusto per il corteo, la musica, le occupazioni, il sacco
a pelo, i controcorsi, lo stare insieme, con tutti i limiti e le
difficoltà. Le istanze collettive dilagano globalmente. L’essere «in
sé», la coscienza critica si fa strada.
Nel
2007 si sono messi in luce per le loro interpretazioni del ’68 il
presidente Sarkozy e il ministro Amato. Si continua a screditare... I
pregiudizi son duri a morire: «Sessantotto uguale violenza». È
esattamente al contrario! Si arriva addirittura ad accreditare
l’equazione: «Sessantotto, padre del terrorismo».
C’è
una semplice verità: mai, nel biennio ’68-69, i movimenti si sono
organizzati per uccidere qualcuno, mentre sono state numerose le vittime
tra le loro file, ancora prima della strage di piazza Fontana (dicembre
’69).
Ci
furono fatti con significati profondi, con una progettualità ancora
inespressa, perché boicottati, repressi e rimasti perciò in buona parte
irrealizzati.
Come
«sessantottino» mi sento molto onorato di essere offeso da tanti
politicanti di una classe politica mediocre, incapaci di una
rivisitazione obiettiva.
Mi
pare di ricordare le parole che scrisse il mio amico padre Balducci nel
'68: «Sul piano culturale è avvenuto qualcosa di definitivo, è avvenuto
il denudamento delle istituzioni in quanto funzioni del potere. È da
allora che il potere va in giro nudo».
Le istituzioni autoritarie e ingiuste: la scuola, i partiti politici, la famiglia, la Chiesa in piena restaurazione.
Da
allora la violenza, la crociata dei valori, la guerra preventiva,
l'attacco alla laicità sono venuti a sostituire il pensiero, la ragione,
la democrazia, i diritti civili.
Mi chiedo: con quale legittimazione tanta arroganza e ingerenza?
Dove sono oggi le «ragioni ideali» di chi ha ripreso in mano la situazione, dopo quella contestazione totale al sistema?
Fra un’assemblea e un corteo c’era sempre un libro a portata di mano, caro ministro Amato.
Di diverso, ed è una differenza fondamentale, c'era il modo di leggerlo e di finalizzare l’apprendimento.
Induceva
a dare il meglio di se stessi; ci si prendeva sul serio. Non si
sceglievano facili scorciatoie. Tutto ciò generava ed estendeva un
contagio positivo.
Durante
una mia omelia al Carmine, sottolineavo che non era molto evangelico
lanciare bombe al napalm sui vietnamiti. E mentre mi accingevo a
condannare i carri armati sovietici, un fedele, dalla navata mi gridò:
«Comunista». Lo invitai a parlare al mio microfono in Chiesa. Quel
signore si allontanò velocemente molto contrariato.
In
udienza il mio cardinale arcivescovo Giuseppe Siri, scherzando mi
chiede: «Tu che vai spesso in processione...». «Scusi Eminenza,
veramente...». «Sì, sì lo so quando vai ai cortei, sento che invocate il
vostro santo protettore. Sono cardinale, ma non mi risulta nel
martirologio cattolico». «Eminenza», dissi, «a chi allude?» «Mi vuoi
dire, continuò l’arcivescovo, chi è questo Ho Chi Minh?».
Nel giugno del ’70 fui designato quale arciprete dell'isola di Capraia. Compresi subito: «Promoveatur ut amoveatur».
Rinuncia:
«Domine non sum dignus». Mi volevano allontanare dai giovani. Gli
avvenimenti incalzavano, nell’aprile ’68 viene ucciso Martin Luther
King.
Già dal ’64 i campus americani insorgevano: «Won’t go», non voglio partire, per la guerra del Vietnam.
Il
10-11 maggio ’68, a Parigi, nel quartiere latino scoppiano gravi
incidenti tra la polizia e gli studenti di Nanterre e della Sorbona.
Il 13 maggio sfilano 800 mila persone a Parigi.
È l’apice del maggio francese.
Dalla
Francia all’Italia, alla Germania federale, all’Europa, fino alla
primavera di Praga (’68) col simbolico sacrificio del giovane Jan
Palach.
A giugno Robert Kennedy viene assassinato. Era candidato alla Casa Bianca.
Nell’ottobre del ’68 c’è il massacro di Tlateloco a Città del Messico: l’esercito spara con le mitragliatrici sugli studenti.
Il
Giappone si sveglia, America Latina esalta Che Guevara e don Camillo
Torres. Ad Avola si spara sui braccianti e si muore. Il 7 dicembre
contestata la prima della Scala con lancio di pomodori.
I movimenti furono attaccati, aggrediti sistematicamente dalle forze di repressione.
Nessuno nei movimenti esita di ammettere gli errori. Al contrario le mozioni d'ordine sono incandescenti.
Ma il mutamento profondo delle coscienze avanzava, maturava
Una
vera «metanoia». Montanelli ci definiva «disertori». No ! i studenti
hanno fatto il loro dovere insieme ai lavoratori e al popolo. Tanta
musica, tante chitarre, tanta felicità.
Si “osava la speranza”. Come nasce l'8 dicembre del '70 la Comunità di san Benedetto al Porto?
Dopo
la mia defenestrazione, nessun parroco mi voleva come aiuto pastorale.
Il 1° luglio occupazione della chiesa del Carmine, il 2 luglio
occupazione della piazza con migliaia di persone. Dopo cinque mesi di
dissoccupazione ecclesiastica finalmente il santo parroco, don Rebora,
ci accolse l'8 dicembre 70 e nasceva la comunità ecclesiale di base
cattolica, cristiana, umana con le porte aperte a tutti, ripartendo
dagli ultimi.
Uno di quei sessantottini, il professor Giorgio Passerone, è direttore del Dipartimento dell Università di Lille (Francia).
La
colonna sonora prevalente della Comunità non poteva essere che la
poesia e la musica dell'amico Fabrizio De André e gli immancabili canti
partigiani-
Nel
1968 venne alla luce Tutti morimmo a stento come una sferzata di vento
gelido sul mellifluo e lusinghiero panorama musicale italiano. Scopriamo
il Cantico dei drogati (’68). Pochi anni prima cantavamo la Guerra di
Piero e la ballata La canzone di Marinella.
Una
poesia ribelle, una testimonianza evangelica postconciliare, l’umana
solidarietà lo stiletto dell'ironia di Faber, veri affreschi musicali.
Con Dario Fo e Franca Rame ci si divertiva immensamente con gli sberleffi al potere.
Il 68 con De André, il suo nodo cruciale, la gestione del potere.
Un appello alla solidarietà in Tutti morimmo a stento - una riflessione sullo scarto che esiste fra l'uomo e il divino nella Buona novella, l’abbattimento di qualsivoglia potere in Storia di un impiegato.
Una profonda inquietudine e il 68 con l’aspirazione alla libertà.
Vorrei ricordare il 15 ottobre ’68 all’arena di Milano gremita di
metalmeccanici. Quando entrarono 10 mila studenti furono applauditi
fragorosamente. Il rapporto fra i movimenti si salda.
11
68 traccia la nostra avventura benedettina che annovera perdenti-non
sconfitti, ma assolutamente non «reduci». Abbiamo sempre chiesto
democrazia, il primato della coscienza personale. È dottrina certa per i
cattolici. Ci hanno sempre risposto con la strategia delle stragi, col
proibizionismo, col precariato, col diritto della forza.
Lo
spirito del 68 non ci ha abbandonato. È il nostro «detonatore» per
continuare a camminare con forza repubblicana, democratica, laica,
antifascista.
Il
volto sorridente di Faber campeggia nella nostra piccola casa madre
vicino a un manifesto degli studenti della scuola d arte di Parigi del
maggio francese: «Je partecipe — tu partecipes — il participe — nous
participons - vous participez - ils profitent!».
In Sessantotto: mito e realtà, supplemento a “Micromega”, 2008, n.1
Nessun commento:
Posta un commento