Poco più di cinque anni fa moriva Franca Rame. Non credo che siano stati in molti a ricordarla. Ha giocato contro di lei una congiuntura politica sfortunatissima: l'alleanza con la Lega del fascistoide Salvini del movimento 5 Stelle, che Dario Fo, il Nobel che gli fu compagno di vita, sosteneva, spinge a dimenticare non solo i meriti di Dario (che furono grandi), ma anche quelli di Franca che per alcuni aspetti lo furono anche di più.
Se è vero, che – come
dice il sociologo Roberto Rovelli, uno dei miei compagni di
università che più stimo, – la libertà delle donne è il lascito
più importante che – un po' paradossalmente – il Sessantotto ci
ha lasciato, Franca ha dato alla cosa un contributo rilevante, oserei
dire decisivo, almeno in Italia, pagando un prezzo altissimo.
Il testo che qui riprendo
– sobrio e sugoso - introduceva, nella prima pagina, un numero di
“alias – il manifesto” dedicato in ampia parte a Franca Rame, a
pochi giorni dalla scomparsa. (S.L.L.)
Censuratissima, sfrontata, capocomica della rivoluzione
Gianni Manzella
Ha dato calore
al movimento
che un tempo c'era,
impossibile
non vederlo,
ancora oggi,
sullo sfondo
Non ricorderemo Franca
Rame solo come la moglie di Dario Fo, anche se quella «coppia
aperta, quasi spalancata» è stata in teatro una delle più longeve
delle nostre scene, da quei lontani anni 50 del loro incontro subito
teatrale.
E quanto teatro hanno
traversato insieme, dagli anni anarchici e grotteschi di quelle
bellissime farse dai titoli indimenticabili, metti Chi ruba un
piede è fortunato in amore o Settimo, ruba un po' meno,
lei bellissima e spiritosa, lui con quella faccia un po' così, da
svitato, entrambi non a caso censuratissimi nella televisione
democristiana; a quelli solo apparentemente più politici di Nuova
scena e della Comune, quando ogni spettacolo diventava un po' un
happening. Girando fra Case del popolo e palazzetti dello sport
sempre pienissimi di ragazzi e non solo, quelli che qualche anno dopo
avrebbe raccontato benissimo Nanni Moretti, autarchici e già un po'
disillusi. E con quanto divertimento, mica le tetraggini del
cosiddetto teatro politico.
E si pagava volentieri il
prezzo dell'immancabile sottoscrizione, di qualche causa da
finanziare, dei bicchieri da comprare per sostenere una fabbrica
occupata. Perché non erano soli, e questo contava. Si sentiva
nell'aria. C'era il Living di Beck e Malina che spingeva il pubblico
a uscire dai teatri e lo
portava per le piazze e i
luoghi dell'istituzione negata. E Carmelo Bene che buttava via il
monologo di Amleto. E Leo e Perla che se ne scendevano a Marigliano
per vedere cosa succedeva a mettere insieme Shakespeare e
sceneggiata.
È che non c'era distanza
fra la Franca e Franco Basaglia, voglio dire che si percepiva un
sentimento non di contiguità ma di continuità. Era la stessa lotta,
lo stesso tentativo di dare compimento a quel che appunto era
nell'aria. Lo spirito del '68, del maggio francese dei teatri
occupati, fra rivolta e rivoluzione, ma da noi bisognava tornare
indietro di qualche anno se si voleva capire qualcosa, a quell'estate
del '60 quando altri ragazzi avevano cancellato per sempre (sembrava)
certe tentazioni autoritarie. Ma Franca in teatro c'era nata e fino
all'ultimo ne ha sentito la nostalgia. E così noi di lei, di quella
sua sfrontata leggerezza che sapeva di attori girovaghi, di un teatro
fatto all'impronta, capace di meditata improvvisazione.
Capocomica per imprinting
familiare, se è vero che venivano giù dai comici dell'arte: e Fo
sarebbe stato buon erede, con quel Mistero buffo che si è
visto chissà quante volte e sembrava sempre diverso, forse lo era.
Poi, certo, c'è stata la donna impegnata nelle lotte delle donne e
per una società meno diseguale, capace di raccontare a tutti cos'è
uno stupro.
A un certo punto persino
senatrice della Repubblica. Anche lì capace a un certo punto di dire
no, per non essere complice del finanziamento di missioni belliche di
cui troppi hanno finto di non vedere la contraddizione violenta con
quel ripudio della guerra che pure è uno dei cardini della nostra
Costituzione.
Ecco, in un momento in
cui è vera emergenza la difesa della nostra Costituzione
democratica, piace
ricordarla anche così.
“Alias”, Supplemento
settimanale de «il manifesto», sabato 1 giugno 2013
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