In
un'epoca di crisi le masse vogliono essere rassicurate. I leader
autoritari sfruttano queste ansie inventando narrazioni elementari a
cui la gente vuole ad ogni costo credere. Una storia inventata e
semplicistica che promette di risolvere i problemi individuando "il nemico" (ieri i massoni e gli ebrei, oggi i “poteri forti” e i migranti), ha molta più
presa rispetto a un ragionamento e alla complessità degli stessi fatti
concreti. E' questo il segreto della vittoria dei fascismi negli anni
Trenta. Oggi, in un'epoca di nuovo connotata da grandi paure,
l'irrazionale torna ad essere un richiamo vincente. La politica
ridotta a comizio permanente segnala l'avvento di tempi oscuri.
Richard J. Bernstein
La profezia di Hannah
Arendt
Nella prefazione alla
raccolta di saggi del 1968, L’umanità in tempi bui, Hannah
Arendt scrisse: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di
attenderci una qualche illuminazione » . Nei tempi bui di oggi
l’opera di Arendt assume nuova importanza proprio perché è fonte
di illuminazione. Arendt era dotata di notevole perspicacia
nell’analizzare i problemi più gravi, i dubbi più profondi e le
tendenze più pericolose della realtà politica moderna, in molti
casi presenti ancora oggi. Nell’accenno ai « tempi bui » e nel
suo invito a diffidare delle « esortazioni morali o di altro genere
che, con il pretesto di confermare antiche verità, degradano
ciascuna di queste a insignificante banalità » , leggiamo non solo
una critica agli orrori del totalitarismo del XX secolo, ma anche un
monito circa alcune forze largamente presenti oggi a livello politico
negli Stati Uniti e in Europa.
Arendt fu tra i primi
massimi esponenti del pensiero politico a sostenere che la crescita
costante del numero di apolidi e profughi avrebbe continuato a essere
un problema insormontabile. Uno dei suoi primi saggi, Noi
profughi, pubblicato su una rivista nel 1943 e basato sulla sua
personale esperienza di apolide, pone questioni fondamentali. Arendt
offre una vivida descrizione di cosa significhi perdere casa, lingua
e lavoro, e conclude con una riflessione più generale sulle
conseguenze politiche del nuovo fenomeno, ossia la “creazione” di
masse di persone costrette a lasciare le proprie case e il proprio
Paese: «I profughi costretti a muoversi di Paese in Paese
rappresentano l’avanguardia dei loro popoli… Il rispetto
reciproco dei popoli europei è andato in frantumi quando, e perché,
si permise che i membri più deboli fossero esclusi e perseguitati».
Nel momento in cui
scriveva tutto questo, Arendt non poteva sapere quanto le sue
osservazioni sarebbero state calzanti nel 2018. Negli ultimi
cent’anni pressoché tutti gli avvenimenti politici significativi
hanno portato al moltiplicarsi di nuove categorie di profughi, un
fenomeno apparentemente destinato a ripetersi senza fine.
Nel saggio del 1951 dal
titolo Le origini del totalitarismo, Arendt scrive
riferendosi ai profughi: « La disgrazia degli individui senza status
giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della
libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di
fronte alla legge e della libertà di opinione, ma nel non
appartenere più ad alcuna comunità » . La perdita della comunità
comporta l’espulsione dall’umanità stessa. Appellarsi ai diritti
umani in astratto non serve in assenza di istituzioni che
garantiscano efficacemente tali diritti. Il più fondamentale dei
diritti è il “diritto di avere diritti”.
Il saggio Verità e
politica, pubblicato nel 1967, potrebbe essere stato scritto
ieri. L’analisi che Arendt fa della menzogna sistematica e del
pericolo che essa rappresenta per la verità fattuale calza a
pennello. Poiché le verità fattuali sono contingenti e di
conseguenza il loro opposto è possibile, è fin troppo facile
distruggere la verità fattuale sostituendola con “alternative
facts”, ossia realtà alternative. In Verità e
politica scrive: «La libertà di opinione è una farsa a meno
che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi
siano sottratti alla disputa » .
Purtroppo una delle
tecniche più fortunate per sfumare la differenza tra verità e
falsità è spacciare qualsiasi verità come una semplice opinione:
quello che avviene più o meno quotidianamente a opera
dell’amministrazione Trump. Oggi i leader politici seguono con
grande successo una prassi eclatante dei regimi totalitari di un
tempo, creano cioè un mondo fittizio di realtà alternative.
Arendt individua un
rischio ancora peggiore: « Il risultato di una coerente e totale
sostituzione di menzogne alla verità non è che ora le menzogne
saranno accettate come verità e che la verità sarà denigrata come
menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo nel mondo —
e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi
mentali che servono a tal fine — viene distrutto».
Le possibilità di
mentire diventano illimitate e spesso incontrano scarsa resistenza.
Molti progressisti restano sconcertati dall’indifferenza del
pubblico di fronte alle bugie smascherate in base alla verifica dei
fatti. Ma Arendt aveva capito come funziona davvero la propaganda. Le
masse « si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti
inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema che promette di
abbracciarle come una sua parte».
Gli individui che si
sentono negletti e dimenticati anelano a una narrazione — anche
fittizia — che dia un senso all’ansia che provano e prometta una
sorta di redenzione. I leader autoritari traggono enormi vantaggi
sfruttando queste ansie e inventando una storia a cui la gente vuole
credere. Una storia inventata che promette di risolvere i problemi di
ciascuno ha molta più presa rispetto ai fatti e alle tesi
“razionali”.
Arendt non era una
Cassandra. Non si è limitata a denunciare i rischi politici, ma ha
elaborato un concetto preciso della dignità della politica. Grazie
alla nostra capacità di agire, siamo sempre in grado di dare vita a
un rinnovamento.
Il fulcro del pensiero di
Arendt è proprio la necessità di assumersi la responsabilità della
nostra vita politica. La sua difesa della dignità della politica
rappresenta un metro di giudizio importantissimo per molti di noi a
fronte della situazione odierna, che vede diminuite le opportunità
di partecipazione, di agire di concerto e di impegnarsi in un
dibattito autentico tra pari.
Dobbiamo resistere alla
tentazione di tirarci fuori dalla politica pensando che non si possa
fare nulla contro le brutture, gli inganni e la corruzione di oggi.
Per tutta la vita Arendt si è proposta di affrontare e comprendere
davvero il buio dei nostri tempi, senza perdere di vista la
possibilità di trascendenza e di illuminazione. Noi dovremmo avere
lo stesso proposito.
Traduzione di Emilia
Benghi
Articolo ripreso da La Repubblica – 25
giugno 2016
In
un'epoca di crisi le masse vogliono essere rassicurate. I leader
autoritari sfruttano queste ansie inventando narrazioni elementari a
cui la gente vuole ad ogni costo credere. Una storia inventata e
semplicistica che promette di risolvere i problemi individuando "il nemico" (ieri i massoni e gli ebrei, oggi i “poteri forti” e i migranti), ha molta più
presa rispetto a un ragionamento e alla complessità degli stessi fatti
concreti. E' questo il segreto della vittoria dei fascismi negli anni
Trenta. Oggi, in un'epoca di nuovo connotata da grandi paure,
l'irrazionale torna ad essere un richiamo vincente. La politica
ridotta a comizio permanente segnala l'avvento di tempi oscuri.
Richard J. Bernstein
La profezia di Hannah
Arendt
Nella prefazione alla
raccolta di saggi del 1968, L’umanità in tempi bui, Hannah
Arendt scrisse: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di
attenderci una qualche illuminazione » . Nei tempi bui di oggi
l’opera di Arendt assume nuova importanza proprio perché è fonte
di illuminazione. Arendt era dotata di notevole perspicacia
nell’analizzare i problemi più gravi, i dubbi più profondi e le
tendenze più pericolose della realtà politica moderna, in molti
casi presenti ancora oggi. Nell’accenno ai « tempi bui » e nel
suo invito a diffidare delle « esortazioni morali o di altro genere
che, con il pretesto di confermare antiche verità, degradano
ciascuna di queste a insignificante banalità » , leggiamo non solo
una critica agli orrori del totalitarismo del XX secolo, ma anche un
monito circa alcune forze largamente presenti oggi a livello politico
negli Stati Uniti e in Europa.
Arendt fu tra i primi
massimi esponenti del pensiero politico a sostenere che la crescita
costante del numero di apolidi e profughi avrebbe continuato a essere
un problema insormontabile. Uno dei suoi primi saggi, Noi
profughi, pubblicato su una rivista nel 1943 e basato sulla sua
personale esperienza di apolide, pone questioni fondamentali. Arendt
offre una vivida descrizione di cosa significhi perdere casa, lingua
e lavoro, e conclude con una riflessione più generale sulle
conseguenze politiche del nuovo fenomeno, ossia la “creazione” di
masse di persone costrette a lasciare le proprie case e il proprio
Paese: «I profughi costretti a muoversi di Paese in Paese
rappresentano l’avanguardia dei loro popoli… Il rispetto
reciproco dei popoli europei è andato in frantumi quando, e perché,
si permise che i membri più deboli fossero esclusi e perseguitati».
Nel momento in cui
scriveva tutto questo, Arendt non poteva sapere quanto le sue
osservazioni sarebbero state calzanti nel 2018. Negli ultimi
cent’anni pressoché tutti gli avvenimenti politici significativi
hanno portato al moltiplicarsi di nuove categorie di profughi, un
fenomeno apparentemente destinato a ripetersi senza fine.
Nel saggio del 1951 dal
titolo Le origini del totalitarismo, Arendt scrive
riferendosi ai profughi: « La disgrazia degli individui senza status
giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della
libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di
fronte alla legge e della libertà di opinione, ma nel non
appartenere più ad alcuna comunità » . La perdita della comunità
comporta l’espulsione dall’umanità stessa. Appellarsi ai diritti
umani in astratto non serve in assenza di istituzioni che
garantiscano efficacemente tali diritti. Il più fondamentale dei
diritti è il “diritto di avere diritti”.
Il saggio Verità e
politica, pubblicato nel 1967, potrebbe essere stato scritto
ieri. L’analisi che Arendt fa della menzogna sistematica e del
pericolo che essa rappresenta per la verità fattuale calza a
pennello. Poiché le verità fattuali sono contingenti e di
conseguenza il loro opposto è possibile, è fin troppo facile
distruggere la verità fattuale sostituendola con “alternative
facts”, ossia realtà alternative. In Verità e
politica scrive: «La libertà di opinione è una farsa a meno
che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi
siano sottratti alla disputa » .
Purtroppo una delle
tecniche più fortunate per sfumare la differenza tra verità e
falsità è spacciare qualsiasi verità come una semplice opinione:
quello che avviene più o meno quotidianamente a opera
dell’amministrazione Trump. Oggi i leader politici seguono con
grande successo una prassi eclatante dei regimi totalitari di un
tempo, creano cioè un mondo fittizio di realtà alternative.
Arendt individua un
rischio ancora peggiore: « Il risultato di una coerente e totale
sostituzione di menzogne alla verità non è che ora le menzogne
saranno accettate come verità e che la verità sarà denigrata come
menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo nel mondo —
e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi
mentali che servono a tal fine — viene distrutto».
Le possibilità di
mentire diventano illimitate e spesso incontrano scarsa resistenza.
Molti progressisti restano sconcertati dall’indifferenza del
pubblico di fronte alle bugie smascherate in base alla verifica dei
fatti. Ma Arendt aveva capito come funziona davvero la propaganda. Le
masse « si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti
inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema che promette di
abbracciarle come una sua parte».
Gli individui che si
sentono negletti e dimenticati anelano a una narrazione — anche
fittizia — che dia un senso all’ansia che provano e prometta una
sorta di redenzione. I leader autoritari traggono enormi vantaggi
sfruttando queste ansie e inventando una storia a cui la gente vuole
credere. Una storia inventata che promette di risolvere i problemi di
ciascuno ha molta più presa rispetto ai fatti e alle tesi
“razionali”.
Arendt non era una
Cassandra. Non si è limitata a denunciare i rischi politici, ma ha
elaborato un concetto preciso della dignità della politica. Grazie
alla nostra capacità di agire, siamo sempre in grado di dare vita a
un rinnovamento.
Il fulcro del pensiero di
Arendt è proprio la necessità di assumersi la responsabilità della
nostra vita politica. La sua difesa della dignità della politica
rappresenta un metro di giudizio importantissimo per molti di noi a
fronte della situazione odierna, che vede diminuite le opportunità
di partecipazione, di agire di concerto e di impegnarsi in un
dibattito autentico tra pari.
Dobbiamo resistere alla
tentazione di tirarci fuori dalla politica pensando che non si possa
fare nulla contro le brutture, gli inganni e la corruzione di oggi.
Per tutta la vita Arendt si è proposta di affrontare e comprendere
davvero il buio dei nostri tempi, senza perdere di vista la
possibilità di trascendenza e di illuminazione. Noi dovremmo avere
lo stesso proposito.
Traduzione di Emilia
Benghi
La Repubblica – 25
giugno 2016
In
un'epoca di crisi le masse vogliono essere rassicurate. I leader
autoritari sfruttano queste ansie inventando narrazioni elementari a
cui la gente vuole ad ogni costo credere. Una storia inventata e
semplicistica che promette di risolvere i problemi individuando "il nemico" (ieri i massoni e gli ebrei, oggi i “poteri forti” e i migranti), ha molta più
presa rispetto a un ragionamento e alla complessità degli stessi fatti
concreti. E' questo il segreto della vittoria dei fascismi negli anni
Trenta. Oggi, in un'epoca di nuovo connotata da grandi paure,
l'irrazionale torna ad essere un richiamo vincente. La politica
ridotta a comizio permanente segnala l'avvento di tempi oscuri.
Richard J. Bernstein
La profezia di Hannah
Arendt
Nella prefazione alla
raccolta di saggi del 1968, L’umanità in tempi bui, Hannah
Arendt scrisse: «Anche nei tempi più bui abbiamo diritto di
attenderci una qualche illuminazione » . Nei tempi bui di oggi
l’opera di Arendt assume nuova importanza proprio perché è fonte
di illuminazione. Arendt era dotata di notevole perspicacia
nell’analizzare i problemi più gravi, i dubbi più profondi e le
tendenze più pericolose della realtà politica moderna, in molti
casi presenti ancora oggi. Nell’accenno ai « tempi bui » e nel
suo invito a diffidare delle « esortazioni morali o di altro genere
che, con il pretesto di confermare antiche verità, degradano
ciascuna di queste a insignificante banalità » , leggiamo non solo
una critica agli orrori del totalitarismo del XX secolo, ma anche un
monito circa alcune forze largamente presenti oggi a livello politico
negli Stati Uniti e in Europa.
Arendt fu tra i primi
massimi esponenti del pensiero politico a sostenere che la crescita
costante del numero di apolidi e profughi avrebbe continuato a essere
un problema insormontabile. Uno dei suoi primi saggi, Noi
profughi, pubblicato su una rivista nel 1943 e basato sulla sua
personale esperienza di apolide, pone questioni fondamentali. Arendt
offre una vivida descrizione di cosa significhi perdere casa, lingua
e lavoro, e conclude con una riflessione più generale sulle
conseguenze politiche del nuovo fenomeno, ossia la “creazione” di
masse di persone costrette a lasciare le proprie case e il proprio
Paese: «I profughi costretti a muoversi di Paese in Paese
rappresentano l’avanguardia dei loro popoli… Il rispetto
reciproco dei popoli europei è andato in frantumi quando, e perché,
si permise che i membri più deboli fossero esclusi e perseguitati».
Nel momento in cui
scriveva tutto questo, Arendt non poteva sapere quanto le sue
osservazioni sarebbero state calzanti nel 2018. Negli ultimi
cent’anni pressoché tutti gli avvenimenti politici significativi
hanno portato al moltiplicarsi di nuove categorie di profughi, un
fenomeno apparentemente destinato a ripetersi senza fine.
Nel saggio del 1951 dal
titolo Le origini del totalitarismo, Arendt scrive
riferendosi ai profughi: « La disgrazia degli individui senza status
giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della
libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di
fronte alla legge e della libertà di opinione, ma nel non
appartenere più ad alcuna comunità » . La perdita della comunità
comporta l’espulsione dall’umanità stessa. Appellarsi ai diritti
umani in astratto non serve in assenza di istituzioni che
garantiscano efficacemente tali diritti. Il più fondamentale dei
diritti è il “diritto di avere diritti”.
Il saggio Verità e
politica, pubblicato nel 1967, potrebbe essere stato scritto
ieri. L’analisi che Arendt fa della menzogna sistematica e del
pericolo che essa rappresenta per la verità fattuale calza a
pennello. Poiché le verità fattuali sono contingenti e di
conseguenza il loro opposto è possibile, è fin troppo facile
distruggere la verità fattuale sostituendola con “alternative
facts”, ossia realtà alternative. In Verità e
politica scrive: «La libertà di opinione è una farsa a meno
che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi
siano sottratti alla disputa » .
Purtroppo una delle
tecniche più fortunate per sfumare la differenza tra verità e
falsità è spacciare qualsiasi verità come una semplice opinione:
quello che avviene più o meno quotidianamente a opera
dell’amministrazione Trump. Oggi i leader politici seguono con
grande successo una prassi eclatante dei regimi totalitari di un
tempo, creano cioè un mondo fittizio di realtà alternative.
Arendt individua un
rischio ancora peggiore: « Il risultato di una coerente e totale
sostituzione di menzogne alla verità non è che ora le menzogne
saranno accettate come verità e che la verità sarà denigrata come
menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo nel mondo —
e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi
mentali che servono a tal fine — viene distrutto».
Le possibilità di
mentire diventano illimitate e spesso incontrano scarsa resistenza.
Molti progressisti restano sconcertati dall’indifferenza del
pubblico di fronte alle bugie smascherate in base alla verifica dei
fatti. Ma Arendt aveva capito come funziona davvero la propaganda. Le
masse « si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti
inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema che promette di
abbracciarle come una sua parte».
Gli individui che si
sentono negletti e dimenticati anelano a una narrazione — anche
fittizia — che dia un senso all’ansia che provano e prometta una
sorta di redenzione. I leader autoritari traggono enormi vantaggi
sfruttando queste ansie e inventando una storia a cui la gente vuole
credere. Una storia inventata che promette di risolvere i problemi di
ciascuno ha molta più presa rispetto ai fatti e alle tesi
“razionali”.
Arendt non era una
Cassandra. Non si è limitata a denunciare i rischi politici, ma ha
elaborato un concetto preciso della dignità della politica. Grazie
alla nostra capacità di agire, siamo sempre in grado di dare vita a
un rinnovamento.
Il fulcro del pensiero di
Arendt è proprio la necessità di assumersi la responsabilità della
nostra vita politica. La sua difesa della dignità della politica
rappresenta un metro di giudizio importantissimo per molti di noi a
fronte della situazione odierna, che vede diminuite le opportunità
di partecipazione, di agire di concerto e di impegnarsi in un
dibattito autentico tra pari.
Dobbiamo resistere alla
tentazione di tirarci fuori dalla politica pensando che non si possa
fare nulla contro le brutture, gli inganni e la corruzione di oggi.
Per tutta la vita Arendt si è proposta di affrontare e comprendere
davvero il buio dei nostri tempi, senza perdere di vista la
possibilità di trascendenza e di illuminazione. Noi dovremmo avere
lo stesso proposito.
Traduzione di Emilia
Benghi
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