"E'
proprio nei momenti di smarrimento che bisogna sapere usare l'arma
dell'analisi e della critica, delle nostre superstizioni come di quelle
altrui".
Un grande articolo di
Umberto Eco, scritto nel clima di “scontro di civiltà” suscitato
dalla strage delle Torri Gemelle. Sandro Portelli scrisse che questo
articolo, che riusciva a dire cose elementari e difficili insieme, in
conseguenza di un ragionare complesso, andava fatto circolare contro
i veleni ignoranti che venivano all'epoca sparsi.
Credo che quelle
considerazioni valgano ancora oggi e che un articolo siffatto aiuti a
misurare la grandezza eccezionale e tuttora sottovalutata di Umberto
Eco, il più grande illuminista italiano del nostro tempo. (S.L.L.)
Passione e ragione
Umberto Eco
Che qualcuno abbia, nei
giorni scorsi, pronunciato parole inopportune sulla superiorità
della cultura occidentale, sarebbe un fatto secondario. È secondario
che qualcuno dica una cosa che ritiene giusta ma nel momento
sbagliato, ed è secondario che qualcuno creda a una cosa ingiusta o
comunque sbagliata, perché il mondo è pieno di gente che crede a
cose ingiuste e sbagliate, persino un signore che si chiama Bin
Laden, che forse è più ricco del nostro presidente del Consiglio e
ha studiato in migliori università.
Quello che non è
secondario, e che deve preoccupare un poco tutti, politici, leader
religiosi, educatori, è che certe espressioni, o addirittura interi
e appassionati articoli che in qualche modo le hanno legittimate,
diventino materia di discussione generale, occupino la mente dei
giovani, e magari li inducano a conclusioni passionali dettate
dall'emozione del momento. Mi preoccupo dei giovani perché tanto, ai
vecchi, la testa non la si cambia più. Tutte le guerre di religione
che hanno insanguinato il mondo per secoli sono nate da adesioni
passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e gli Altri,
buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura occidentale si è
dimostrata feconda (non solo dall'Illuminismo a oggi ma anche prima,
quando il francescano Ruggero Bacone invitava a imparare le lingue
perché abbiamo qualcosa da apprendere anche dagli infedeli) è anche
perché si è sforzata di "sciogliere", alla luce
dell'indagine e dello spirito critico, le semplificazioni dannose.
Naturalmente non lo ha fatto sempre, perché fanno parte della storia
della cultura occidentale anche Hitler, che bruciava i libri,
condannava l'arte "degenerata", uccideva gli appartenenti
alle razze "inferiori", o il fascismo che mi insegnava a
scuola a recitare "Dio stramaledica gli inglesi" perché
erano "il popolo dei cinque pasti" e dunque dei ghiottoni
inferiori all'italiano parco e spartano.
Ma sono gli aspetti
migliori della nostra cultura quelli che dobbiamo discutere coi
giovani, e di ogni colore, se non vogliamo che crollino nuove torri
anche nei giorni che essi vivranno dopo di noi. Un elemento di
confusione è che spesso non si riesce a cogliere la differenza tra
l'identificazione con le proprie radici, il capire chi ha altre
radici e il giudicare ciò che è bene o male. Quanto a radici, se mi
chiedessero se preferirei passare gli anni della pensione in un
paesino del Monferrato, nella maestosa cornice del parco nazionale
dell'Abruzzo o nelle dolci colline del senese, sceglierei il
Monferrato. Ma ciò non comporta che giudichi altre regioni italiane
inferiori al Piemonte. Quindi se, con le sue parole (pronunciate per
gli occidentali ma cancellate per gli arabi), il presidente del
Consiglio voleva dire che preferisce vivere ad Arcore piuttosto che a
Kabul, e farsi curare in un ospedale milanese piuttosto che in uno di
Bagdad, sarei pronto a sottoscrivere la sua opinione (Arcore a
parte). E questo anche se mi dicessero che a Bagdad hanno istituito
l'ospedale più attrezzato del mondo: a Milano mi troverei più a
casa mia, e questo influirebbe anche sulle mie capacità di ripresa.
Le radici possono essere
anche più ampie di quelle regionali o nazionali. Preferirei vivere a
Limoges, tanto per dire, che a Mosca. Ma come, Mosca non è una città
bellissima? Certamente, ma a Limoges capirei la lingua. Insomma,
ciascuno si identifica con la cultura in cui è cresciuto e i casi di
trapianto radicale, che pure ci sono, sono una minoranza. Lawrence
d'Arabia si vestiva addirittura come gli arabi, ma alla fine è
tornato a casa propria.
* * *
Passiamo ora al confronto
di civiltà, perché è questo il punto. L'Occidente, sia pure e
spesso per ragioni di espansione economica, è stato curioso delle
altre civiltà. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i greci
chiamavano barbari, e cioè balbuzienti, coloro che non parlavano la
loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei greci
più maturi come gli stoici (forse perché alcuni di loro erano di
origine fenicia) hanno ben presto avvertito che i barbari usavano
parole diverse da quelle greche, ma si riferivano agli stessi
pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con grande rispetto usi
e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia cristiana medievale
cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici e astrologi
arabi, gli uomini del Rinascimento hanno persino esagerato nel loro
tentativo di ricuperare perdute saggezze orientali, dai Caldei agli
Egizi, Montesquieu ha cercato di capire come un persiano potesse
vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i loro primi
studi sui rapporti dei salesiani, che andavano sì presso i Bororo
per convertirli, se possibile, ma anche per capire quale fosse il
loro modo di pensare e di vivere - forse memori del fatto che
missionari di alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le
civiltà amerindie e ne avevano incoraggiato lo sterminio.
Ho nominato gli
antropologi. Non dico cosa nuova se ricordo che, dalla metà del XIX
secolo in avanti, l'antropologia culturale si è sviluppata come
tentativo di sanare il rimorso dell'Occidente nei confronti degli
Altri, e specialmente di quegli Altri che erano definiti selvaggi,
società senza storia, popoli primitivi. L'Occidente coi selvaggi non
era stato tenero: li aveva "scoperti", aveva tentato di
evangelizzarli, li aveva sfruttati, molti ne aveva ridotto in
schiavitù, tra l'altro con l'aiuto degli arabi, perché le navi
degli schiavi venivano scaricate a New Orleans da raffinati
gentiluomini di origine francese, ma stivate sulle coste africane da
trafficanti musulmani. L'antropologia culturale (che poteva
prosperare grazie all'espansione coloniale) cercava di riparare ai
peccati del colonialismo mostrando che quelle culture "altre"
erano appunto delle culture, con le loro credenze, i loro riti, le
loro abitudini, ragionevolissime del contesto in cui si erano
sviluppate, e assolutamente organiche, vale a dire che si reggevano
su una loro logica interna. Il compito dell'antropologo culturale era
di dimostrare che esistevano delle logiche diverse da quelle
occidentali, e che andavano prese sul serio, non disprezzate e
represse.
Questo non voleva dire
che gli antropologi, una volta spiegata la logica degli Altri,
decidessero di vivere come loro; anzi, tranne pochi casi, finito il
loro pluriennale lavoro oltremare se ne tornavano a consumare una
serena vecchiaia nel Devonshire o in Piccardia. Però leggendo i loro
libri qualcuno potrebbe pensare che l'antropologia culturale sostenga
una posizione relativistica, e affermi che una cultura vale l' altra.
Non mi pare sia così. Al massimo l' antropologo ci diceva che, sino
a che gli Altri se ne stavano a casa propria, bisognava rispettare il
loro modo di vivere.
* * *
La vera lezione che si
deve trarre dall'antropologia culturale è piuttosto che, per dire se
una cultura è superiore a un'altra, bisogna fissare dei parametri.
Un conto è dire che cosa sia una cultura e un conto dire in base a
quali parametri la giudichiamo. Una cultura può essere descritta in
modo passabilmente oggettivo: queste persone si comportano così,
credono negli spiriti o in un'unica divinità che pervade di sé
tutta la natura, si uniscono in clan parentali secondo queste regole,
ritengono che sia bello trafiggersi il naso con degli anelli
(potrebbe essere una descrizione della cultura giovanile in
Occidente), ritengono impura la carne di maiale, si circoncidono,
allevano i cani per metterli in pentola nei dì festivi o, come ancor
dicono gli americani dei francesi, mangiano le rane.
L'antropologo ovviamente
sa che l'obiettività viene sempre messa in crisi da tanti fattori.
L'anno scorso sono stato nei paesi Dogon e ho chiesto a un ragazzino
se fosse musulmano. Lui mi ha risposto, in francese, «no, sono
animista». Ora, credetemi, un animista non si definisce animista se
non ha almeno preso un diploma alla Ecole des Hautes Études
di Parigi, e quindi quel bambino parlava della propria cultura così
come gliela avevano definita gli antropologi. Gli antropologi
africani mi raccontavano che quando arriva un antropologo europeo i
Dogon, ormai scafatissimi, gli raccontano quello che aveva scritto
tanti anni fa un antropologo, Griaule (al quale però, così almeno
asserivano gli amici africani colti, gli informatori indigeni avevano
raccontato cose abbastanza slegate tra loro che poi lui aveva riunito
in un sistema affascinante ma di dubbia autenticità). Tuttavia,
fatta la tara di tutti i malintesi possibili, di una cultura Altra si
può avere una descrizione abbastanza "neutra".
I parametri di giudizio
sono un'altra cosa, dipendono dalle nostre radici, dalle nostre
preferenze, dalle nostre abitudini, dalle nostre passioni, da un
nostro sistema di valori. Facciamo un esempio. Riteniamo noi che il
prolungare la vita media da quaranta a ottant'anni sia un valore? Io
personalmente lo credo, però molti mistici potrebbero dirmi che, tra
un crapulone che campa ottant'anni e san Luigi Gonzaga che ne campa
ventitré, è il secondo che ha avuto una vita più piena. Ma
ammettiamo che l'allungamento della vita sia un valore: se è così
la medicina e la scienza occidentale sono certamente superiori a
molti altri saperi e pratiche mediche. Crediamo che lo sviluppo
tecnologico, l'espansione dei commerci, la rapidità dei trasporti
siano un valore? Moltissimi la pensano così, e hanno diritto di
giudicare superiore la nostra civiltà tecnologica. Ma, proprio
all'interno del mondo occidentale, ci sono coloro che reputano valore
primario una vita in armonia con un ambiente incorrotto, e dunque
sono pronti a rinunciare ad aerei, automobili, frigoriferi, per
intrecciare canestri e muoversi a piedi di villaggio in villaggio,
pur di non avere il buco dell' ozono. E dunque vedete che, per
definire una cultura migliore dell'altra, non basta descriverla (come
fa l' antropologo) ma occorre il richiamo a un sistema di valori a
cui riteniamo di non potere rinunciare. Solo a questo punto possiamo
dire che la nostra cultura, per noi, è migliore.
* * *
In questi giorni si è
assistito a varie difese di culture diverse in base a parametri
discutibili. Proprio l'altro giorno leggevo una lettera a un grande
quotidiano dove si chiedeva sarcasticamente come mai i premi Nobel
vanno solo agli occidentali e non agli orientali. A parte il fatto
che si trattava di un ignorante che non sapeva quanti premi Nobel per
la letteratura sono andati a persone di pelle nera e a grandi
scrittori islamici, a parte che il premio Nobel per la fisica del
1979 è andato a un pakistano che si chiama Abdus Salam, affermare
che riconoscimenti per la scienza vanno naturalmente a chi lavora
nell'ambito della scienza occidentale è scoprire l'acqua calda,
perché nessuno ha mai messo in dubbio che la scienza e la tecnologia
occidentali siano oggi all'avanguardia. All'avanguardia di cosa?
Della scienza e della tecnologia.
Quanto è assoluto il
parametro dello sviluppo tecnologico? Il Pakistan ha la bomba atomica
e l' Italia no. Dunque noi siamo una civiltà inferiore? Meglio
vivere a Islamabad che ad Arcore? I sostenitori del dialogo ci
richiamano al rispetto del mondo islamico ricordando che ha dato
uomini come Avicenna (che tra l'altro è nato a Buchara, non molto
lontano dall'Afghanistan) e Averroè - ed è un peccato che si citino
sempre questi due, come fossero gli unici, e non si parli di Al
Kindi, Avenpace, Avicebron, Ibn Tufayl, o di quel grande storico del
XIV secolo che fu Ibn Khaldun, che l'Occidente considera addirittura
l'iniziatore delle scienze sociali. Ci ricordano che gli arabi di
Spagna coltivavano geografia, astronomia, matematica o medicina
quando nel mondo cristiano si era molto più indietro.
Tutte cose verissime, ma
questi non sono argomenti, perché a ragionare così si dovrebbe dire
che Vinci, nobile comune toscano, è superiore a New York, perché a
Vinci nasceva Leonardo quando a Manhattan quattro indiani stavano
seduti per terra ad aspettare per più di centocinquant'anni che
arrivassero gli olandesi a comperargli l'intera penisola per
ventiquattro dollari. E invece no, senza offesa per nessuno, oggi il
centro del mondo è New York e non Vinci.
Le cose cambiano. Non
serve ricordare che gli arabi di Spagna erano assai tolleranti con
cristiani ed ebrei mentre da noi si assalivano i ghetti, o che il
Saladino, quando ha riconquistato Gerusalemme, è stato più
misericordioso coi cristiani di quanto non fossero stati i cristiani
con i saraceni quando Gerusalemme l'avevano conquistata. Tutte cose
esatte, ma nel mondo islamico ci sono oggi regimi fondamentalisti e
teocratici che i cristiani non li tollerano e Bin Laden non è stato
misericordioso con New York. La Battriana è stato un incrocio di
grandi civiltà, ma oggi i talebani prendono a cannonate i Buddha. Di
converso, i francesi hanno fatto il massacro della Notte di San
Bartolomeo, ma questo non autorizza nessuno a dire che oggi siano dei
barbari.
Non andiamo a scomodare
la storia perché è un'arma a doppio taglio. I turchi impalavano (ed
è male) ma i bizantini ortodossi cavavano gli occhi ai parenti
pericolosi e i cattolici bruciavano Giordano Bruno; i pirati saraceni
ne facevano di cotte e di crude, ma i corsari di sua maestà
britannica, con tanto di patente, mettevano a fuoco le colonie
spagnole nei carabi; Bin Laden e Saddam Hussein sono nemici feroci
della civiltà occidentale, ma all'interno della civiltà occidentale
abbiamo avuto signori che si chiamavano Hitler o Stalin (Stalin era
così cattivo che è sempre stato definito come orientale, anche se
aveva studiato in seminario e letto Marx). No, il problema dei
parametri non si pone in chiave storica, bensì in chiave
contemporanea. Ora, una delle cose lodevoli delle culture occidentali
(libere e pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo
irrinunciabili) è che si sono accorte da gran tempo che la stessa
persona può essere portata a manovrare parametri diversi, e
mutuamente contraddittori, su questioni differenti.
Per esempio si reputa un
bene l'allungamento della vita e un male l'inquinamento atmosferico,
ma avvertiamo benissimo che forse, per avere i grandi laboratori in
cui si studia l'allungamento della vita, occorre avere un sistema di
comunicazioni e rifornimento energetico che poi, dal canto proprio,
produce l'inquinamento. La cultura occidentale ha elaborato la
capacità di mettere liberamente a nudo le sue proprie
contraddizioni. Magari non le risolve, ma sa che ci sono, e lo dice.
In fin dei conti tutto il dibattito su globale-sì e globale-no sta
qui, tranne che per le tute nere spaccatutto: come è sopportabile
una quota di globalizzazione positiva evitando i rischi e le
ingiustizie della globalizzazione perversa, come si può allungare la
vita anche ai milioni di africani che muoiono di Aids (e nel contempo
allungare anche la nostra) senza accettare una economia planetaria
che fa morire di fame gli ammalati di Aids e fa ingoiare cibi
inquinati a noi? Ma proprio questa critica dei parametri, che
l'Occidente persegue e incoraggia, ci fa capire come la questione dei
parametri sia delicata.
E' giusto e civile
proteggere il segreto bancario? Moltissimi ritengono di sì. Ma se
questa segretezza permette ai terroristi di tenere i loro soldi nella
City di Londra? Allora, la difesa della cosiddetta privacy è un
valore positivo o dubbio? Noi mettiamo continuamente in discussione i
nostri parametri. Il mondo occidentale lo fa a tal punto che consente
ai propri cittadini di rifiutare come positivo il parametro dello
sviluppo tecnologico e di diventare buddisti o di andare a vivere in
comunità dove non si usano i pneumatici, neppure per i carretti a
cavalli. La scuola deve insegnare ad analizzare e discutere i
parametri su cui si reggono le nostre affermazioni passionali.
* * *
Il problema che l'
antropologia culturale non ha risolto è cosa si fa quando il membro
di una cultura, i cui principi abbiamo magari imparato a rispettare,
viene a vivere in casa nostra. In realtà la maggior parte delle
reazioni razziste in Occidente non è dovuta al fatto che degli
animisti vivano nel Mali (basta che se ne stiano a casa propria, dice
infatti la Lega), ma che gli animisti vengano a vivere da noi. E
passi per gli animisti, o per chi vuole pregare in direzione della
Mecca, ma se vogliono portare il chador, se vogliono infibulare le
loro ragazze, se (come accade per certe sette occidentali) rifiutano
le trasfusioni di sangue ai loro bambini ammalati, se l'ultimo
mangiatore d'uomini della Nuova Guinea (ammesso che ci sia ancora)
vuole emigrare da noi e farsi arrosto un giovanotto almeno ogni
domenica?
Sul mangiatore d'uomini
siamo tutti d'accordo, lo si mette in galera (ma specialmente perché
non sono un miliardo), sulle ragazze che vanno a scuola col chador
non vedo perché fare tragedie se a loro piace così, sulla
infibulazione il dibattito è invece aperto (c'è persino chi è
stato così tollerante da suggerire di farle gestire dalle unità
sanitarie locali, così l'igiene è salva), ma cosa facciamo per
esempio con la richiesta che le donne musulmane possano essere
fotografate sul passaporto col velo? Abbiamo delle leggi, uguali per
tutti, che stabiliscono dei criteri di identificazione dei cittadini,
e non credo si possa deflettervi. Io quando ho visitato una moschea
mi sono tolto le scarpe, perché rispettavo le leggi e le usanze del
paese ospite. Come la mettiamo con la foto velata? Credo che in
questi casi si possa negoziare. In fondo le foto dei passaporti sono
sempre infedeli e servono a quel che servono, si studino delle
tessere magnetiche che reagiscono all' impronta del pollice, chi
vuole questo trattamento privilegiato ne paghi l' eventuale
sovrapprezzo. E se poi queste donne frequenteranno le nostre scuole
potrebbero anche venire a conoscenza di diritti che non credevano di
avere, così come molti occidentali sono andati alle scuole coraniche
e hanno deciso liberamente di farsi musulmani. Riflettere sui nostri
parametri significa anche decidere che siamo pronti a tollerare
tutto, ma che certe cose sono per noi intollerabili.
* * *
L' Occidente ha dedicato
fondi ed energie a studiare usi e costumi degli Altri, ma nessuno ha
mai veramente consentito agli Altri di studiare usi e costumi dell'
Occidente, se non nelle scuole tenute oltremare dai bianchi, o
consentendo agli Altri più ricchi di andare a studiare a Oxford o a
Parigi - e poi si vede cosa succede, studiano in Occidente e poi
tornano a casa a organizzare movimenti fondamentalisti, perché si
sentono legati ai loro compatrioti che quegli studi non li possono
fare (la storia è peraltro vecchia, e per l' indipendenza dell'
India si sono battuti intellettuali che avevano studiato con gli
inglesi). Antichi viaggiatori arabi e cinesi avevano studiato
qualcosa dei paesi dove tramonta il sole, ma sono cose di cui
sappiamo abbastanza poco. Quanti antropologi africani o cinesi sono
venuti a studiare l' Occidente per raccontarlo non solo ai propri
concittadini, ma anche a noi, dico raccontare a noi come loro ci
vedono? Esiste da alcuni anni una organizzazione internazionale
chiamata Transcultura che si batte per una "antropologia
alternativa". Ha condotto studiosi africani che non erano mai
stati in Occidente a descrivere la provincia francese e la società
bolognese, e vi assicuro che quando noi europei abbiamo letto che due
delle osservazioni più stupite riguardavano il fatto che gli europei
portano a passeggio i loro cani e che in riva al mare si mettono nudi
- beh, dico, lo sguardo reciproco ha incominciato a funzionare da
ambo le parti, e ne sono nate discussioni interessanti. In questo
momento, in vista di un convegno finale che si svolgerà a Bruxelles
a novembre, tre cinesi, un filosofo, un antropologo e un artista,
stanno terminando il loro viaggio di Marco Polo alla rovescia, salvo
che anziché limitarsi a scrivere il loro Milione registrano e
filmano. Alla fine non so cosa le loro osservazioni potranno spiegare
ai cinesi, ma so che cosa potranno spiegare anche a noi. Immaginate
che fondamentalisti musulmani vengano invitati a condurre studi sul
fondamentalismo cristiano (questa volta non c' entrano i cattolici,
sono protestanti americani, più fanatici di un ayatollah, che
cercano di espungere dalle scuole ogni riferimento a Darwin). Bene,
io credo che lo studio antropologico del fondamentalismo altrui possa
servire a capire meglio la natura del proprio. Vengano a studiare il
nostro concetto di guerra santa (potrei consigliare loro molti
scritti interessanti, anche recenti) e forse vedrebbero con occhio
più critico l' idea di guerra santa in casa loro. In fondo noi
occidentali abbiamo riflettuto sui limiti del nostro modo di pensare
proprio descrivendo la pensée sauvage.
* * *
Uno dei valori di cui la
civiltà occidentale parla molto è l'accettazione delle differenze.
Teoricamente siamo tutti d' accordo, è politically correct
dire in pubblico di qualcuno che è gay, ma poi a casa si dice
ridacchiando che è un frocio. Come si fa a insegnare l' accettazione
della differenza? L'Academie Universelle des Cultures ha messo
in linea un sito dove si stanno elaborando materiali su temi diversi
(colore, religione, usi e costumi e così via) per gli educatori di
qualsiasi paese che vogliano insegnare ai loro scolari come si
accettano coloro che sono diversi da loro. Anzitutto si è deciso di
non dire bugie ai bambini, affermando che tutti siamo uguali. I
bambini si accorgono benissimo che alcuni vicini di casa o compagni
di scuola non sono uguali a loro, hanno una pelle di colore diverso,
gli occhi tagliati a mandorla, i capelli più ricci o più lisci,
mangiano cose strane, non fanno la prima comunione. Né basta dirgli
che sono tutti figli di Dio, perché anche gli animali sono figli di
Dio, eppure i ragazzi non hanno mai visto una capra in cattedra a
insegnargli l' ortografia. Dunque bisogna dire ai bambini che gli
esseri umani sono molto diversi tra loro, e spiegare bene in che cosa
sono diversi, per poi mostrare che queste diversità possono essere
una fonte di ricchezza. Il maestro di una città italiana dovrebbe
aiutare i suoi bambini italiani a capire perché altri ragazzi
pregano una divinità diversa, o suonano una musica che non sembra il
rock. Naturalmente lo stesso deve fare un educatore cinese con
bambini cinesi che vivono accanto a una comunità cristiana. Il passo
successivo sarà mostrare che c' è qualcosa in comune tra la nostra
e la loro musica, e che anche il loro Dio raccomanda alcune cose
buone. Obiezione possibile: noi lo faremo a Firenze, ma poi lo
faranno anche a Kabul? Bene, questa obiezione è quanto di più
lontano possa esserci dai valori della civiltà occidentale. Noi
siamo una civiltà pluralistica perché consentiamo che a casa nostra
vengano erette delle moschee, e non possiamo rinunciarvi solo perché
a Kabul mettono in prigione i propagandisti cristiani. Se lo
facessimo diventeremmo talebani anche noi. Il parametro della
tolleranza della diversità è certamente uno dei più forti e dei
meno discutibili, e noi giudichiamo matura la nostra cultura perché
sa tollerare la diversità, e barbari quegli stessi appartenenti alla
nostra cultura che non la tollerano. Punto e basta. Altrimenti
sarebbe come se decidessimo che, se in una certa area del globo ci
sono ancora cannibali, noi andiamo a mangiarli così imparano. Noi
speriamo che, visto che permettiamo le moschee a casa nostra, un
giorno ci siano chiese cristiane o non si bombardino i Buddha a casa
loro. Questo se crediamo nella bontà dei nostri parametri.
* * *
Molta è la confusione
sotto il cielo. Di questi tempi avvengono cose molto curiose. Pare
che difesa dei valori dell' Occidente sia diventata una bandiera
della destra, mentre la sinistra è come al solito filo islamica.
Ora, a parte il fatto che c' è una destra e c' è un cattolicesimo
integrista decisamente terzomondista, filoarabo e via dicendo, non si
tiene conto di un fenomeno storico che sta sotto gli occhi di tutti.
La difesa dei valori della scienza, dello sviluppo tecnologico e
della cultura occidentale moderna in genere è stata sempre una
caratteristica delle ali laiche e progressiste. Non solo, ma a una
ideologia del progresso tecnologico e scientifico si sono richiamati
tutti i regimi comunisti. Il Manifesto del 1848 si apre con un elogio
spassionato dell' espansione borghese; Marx non dice che bisogna
invertire la rotta e passare al modo di produzione asiatico, dice
solo che questi di questi valori e di questi successi si debbono
impadronire i proletari. Di converso è sempre stato il pensiero
reazionario (nel senso più nobile del termine), almeno a cominciare
col rifiuto della rivoluzione francese, che si è opposto all'ideologia laica del progresso affermando che si deve tornare ai
valori della Tradizione. Solo alcuni gruppi neonazisti si rifanno a
una idea mitica dell'Occidente e sarebbero pronti a sgozzare tutti i
musulmani a Stonehenge. I più seri tra i pensatori della Tradizione
(tra cui anche molti che votano Alleanza Nazionale) si sono sempre
rivolti, oltre che a riti e miti dei popoli primitivi, o alla lezione
buddista, proprio all'Islam, come fonte ancora attuale di
spiritualità alternativa. Sono sempre stati lì a ricordarci che noi
non siamo superiori, bensì inariditi dall'ideologia del progresso,
e che la verità dobbiamo andarla a cercare tra i mistici Sufi o tra
i dervisci danzanti. E queste cose non le dico io, le hanno sempre
dette loro. Basta andare in una libreria e cercare negli scaffali
giusti. In questo senso a destra si sta aprendo ora una curiosa
spaccatura. Ma forse è solo segno che nei momenti di grande
smarrimento (e certamente viviamo uno di questi) nessuno sa più da
che parte sta. Però è proprio nei momenti di smarrimento che
bisogna sapere usare l'arma dell'analisi e della critica, delle
nostre superstizioni come di quelle altrui. Spero che di queste cose
si discuta nelle scuole, e non solo nelle conferenze stampa.
“la Repubblica”, 5 ottobre 2001
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