Di formazione marxista
e politicamente attivo sin dalla giovinezza, Bauman aveva
sperimentato sulla propria vita le durezze del regime comunista
polacco tanto da dover vivere da esule a Londra dopo aver perso la
cattedra all'Università di Varsavia. Ciò non gli impedì di
continuare a credere nella possibilità che un mondo diverso fosse
pensabile. Castelvecchi pubblica ora le sue riflessioni del 1976 su utopia e socialismo.
Permettetemi, nell'occasione, un ricordo personale: nel febbraio 1976 mi trovavo a lavorare nel Centro di Formazione di Trappeto di Danilo Dolci. Proprio in quel mese del '76 si svolse nel Centro - che Danilo amava chiamare "Borgo di Dio"- uno degli ultimi grandi Seminari organizzati dal sociologo triestino. Vi parteciparono, tra gli altri, il pedagogista brasiliano Paolo Freire; l'allievo di Jean Piaget, Jacques Voneche; il grande psicologo palermitano Gastone Canziani; il pedagogista marxista polacco Bogdan Suchodolskij. Quest'ultimo parlava perfettamente la lingua italiana e mi sono trattenuto più volte, nelle pause dei lavori seminariali, a dialogare con lui. E' stata la persona che, per prima, mi ha aperto gli occhi sul "socialismo reale" e sulla realtà dei cosiddetti Paesi dell'Est. Della sua Polonia diceva che era un Paese più cattolico dell'Italia e, dal momento che considerava assai poco socialisti quei paesi, un giorno mi confidò: "Caro Franco, devi sapere che è più facile essere marxisti in Italia che in Polonia. E, così come è stato necessario un giorno far passare il socialismo dall'utopia alla scienza, oggi è urgente tornare all' utopia!" . (fv)
Piero Bevilacqua
La speranza di un
altro mondo oltre il muro del socialismo reale
Ciò che innanzi tutto
stupisce il lettore un po’ informato sulla vita di Zygmunt Bauman,
nel leggere questo Socialismo utopia attiva, tradotto ora per la
prima volta in Italia (Castelvecchi, pp.181, euro 17.50 ), è
l’intatta passione ideale che l’ispira. L’autore, ebreo
polacco, scrisse questo testo nel 1976, quando ormai viveva da 5 anni
nel Regno Unito, dopo aver perso la cattedra all’Università di
Varsavia. Di formazione marxista e politicamente attivo sin dalla
giovinezza, egli aveva sperimentato sulla propria vita le durezze del
regime comunista polacco.
E tuttavia, nulla della
propria scomoda vicenda biografica – come accade solo ai grandi
pensatori – fa ombra al nitore della riflessione teorica sulla
necessità dell’utopia socialista. D’altra parte egli possiede
tutti gli strumenti, sia teorici che storici, per comprendere i
limiti giganteschi entro cui dovette muoversi la Rivoluzione
d’Ottobre, e che il socialismo realizzato del suo paese e del
blocco sovietico dovette pesantemente scontare.
«Marx – ricorda Bauman
– non credeva che il socialismo sarebbe arrivato prima che il
capitalismo avesse “esaurito” il proprio potenziale creativo e
riteneva che questo potenziale bastasse a elevare le forze produttive
a livello dell’abbondanza.In questo senso, il socialismo può
essere collocato direttamente nell’ambito politico e culturale
dell’organizzazione sociale. Diventerà infatti possibile solo dopo
che il capitalismo, alla sua maniera brutale e spietata, avrà
liberato la società dalla scarsità economica e, di conseguenza,
dall’asservimento alla Natura e alla necessità».
Il primo esperimento di
rivoluzione marxiana della storia, condotto in un paese arretrato
come la Russia, dovette tuttavia cercare strade non previste da Marx.
Lenin e i suoi compagni dovettero far leva, per i propri scopi
insurrezionali e per l’edificazione di una nuova organizzazione
sociale, su una massa sterminata di contadini. Quei contadini,
piccoli proprietari terrieri, la cui sparizione sociale era, nella
previsione teorica di Marx, condizione del passaggio al socialismo.
Bauman segue molto
sinteticamente in un capitolo apposito, e a un livello
teorico-culturale, il modo in cui il socialismo si afferma in Russia
e nei paesi satelliti. E non manca di pervenire a una valutazione
d’insieme, storica e attuale, sull’ Urss del suo tempo, di aperta
disillusione: «Invece di aprire le finestre della storia su distese
incredibilmente vaste di libertà umana, il socialismo sovietico non
è riuscito nemmeno a conseguire la forma limitata e incompleta di
libertà personale che la formula liberale della cultura
capitalistica garantisce. Anche al più ben disposto, pronto a
minimizzare i campi di lavoro e le cacce alle streghe come incidenti
occasionali e atipici, la libertà presente nella vita quotidiana
sovietica deve apparire misera e penosa».
E tuttavia, proprio
questa amara, profonda consapevolezza dei limiti e degli errori,
anche tragici, di quella esperienza, fornisce oggi alle sue
riflessioni sulle ragioni dell’utopia e del socialismo una
freschezza sorprendente. Parlano un linguaggio di speranza e di
liberazione in un mondo sprofondato nella confusione. Sarebbe più
giusto dire un mondo in cui gli «invisibili vessatori» –
espressione di un Bauman più recente – alzano cortine fumogene per
confondere le tracce delle loro scorrerie e del loro dominio. La
confusione sotto il cielo è creata ad arte da chi vuol nascondere la
frattura profonda fra chi domina e chi è dominato.
Il sociologo polacco
smonta l’uso negativo, tanto colto che banale, del termine immesso
nella cultura dell’Occidente da Tommaso Moro. Utopia diventa il
lemma per designare, col senno di poi, l’impresa troppo ardita e
non riuscita, il progetto fallito, insomma l’aspirazione
impossibile. Al contrario, essa alimenta, l’immaginazione del
sociale possibile, oltre le condizioni del presente, infrange il
dominio apparentemente schiacciante dell’ordine costituito. E oggi,
aggiungiamo noi, consente di liberarsi dall’utopia negativa,
dall’ideologia camuffata del «non c’è alternativa», di rompere
le gabbie di un ordine sociale preteso immodificabile in quanto
«naturale», l’unico possibile.
L’utopia è dunque
l’orizzonte che muove gli uomini, perché in grado di far sentire
la propria vita sociale come progetto, proiezione creativa verso un
possibile mondo migliore. In una società in cui il «futuro» delle
ciance politiche e pubblicitarie ( hanno talora la stessa menzognera
semantica) è affidato all’uscita sul mercato dell’ultimo modello
di smartphone, il ritorno dell’utopia socialista costituisce un
antidoto culturale e politico di prima grandezza.
Si tratta, d’altra
parte, di un aspetto ineliminabile della storia umana. Lasciamolo
dire a Bauman: «Credo che non si possa comprendere realmente la vita
sociale se non si presta la dovuta attenzione al ruolo fondamentale
giocato dall’utopia. Le utopie si pongono, rispetto alla totalità
della cultura – per parafrasare Santayana – come un coltello con
la lama rivolta contro il futuro. Esse provocano costantemente la
reazione del futuro sul presente producendo così la nota miscela
nota come storia dell’umanità».
Il manifesto – 30
maggio 2018
Riprendo dal mio diario fb due commenti:
RispondiEliminaFragale Anna: Paulo Freire e la pedagogia degli oppressi credo che stia alla base degli insegnamenti che oggi ci dà Papa Francesco. Se ogni insegnante la praticasse... altro che inclusione! Buona giornata Francesco!
Francesco Virga: Hai ragione, cara Anna. Freire è stato gesuita, come Bergoglio, e "La pedagogia degli oppressi", tradotta negli anni 70 in tutte le lingue del mondo, è stato uno dei testi su cui si è formato Francesco.