25 giugno 2018

GIORGIO VASTA, L' incompiuto in Italia

Viadotto Sciacca Agrigento (ph La Repubblica)

Sull’incompiuto, in Italia


Una scala mobile. La base poggia su un frammento di terreno cespuglioso, l’estremità opposta si allunga in alto fino al nulla: nessun piano da raggiungere, neppure una briciola di pianerottolo. Immersa in un’atmosfera magrittiana, questa «stairway to nowhere»si trova a Roseto Capo Spulico, in Calabria; tutt’intorno dovrebbe esserci un supermercato, o forse un ufficio pubblico o un teatro, che però, semplicemente, non è stato costruito: la scala mobile che punteggia il vuoto sereno della campagna è di fatto l’unica struttura realizzata di un progetto che per il suo 99% è rimasto sulla carta.

Scale mobili, Roseto Spulico Calabria (ph  La Repubblica)



Incompiuto. La nascita di uno Stile (Humboldt Books) è un libro molteplice in cui attraverso mappe, un diario di bordo, un repertorio fotografico e una serie di contributi testuali (da Robert Storr a Salvatore Settis, da Paul Virilio a Marc Augé ad Antonio Ricci), Alterazioni Video e Fosbury Architecture individuano nelle opere concepite, approvate, finanziate, cominciate e poi abbandonate,non tanto un succedersi di episodi accidentali quanto un fenomeno così costante – l’indagine sul campo geolocalizza 696 opere incompiute, 163 delle quali si trovano in Sicilia – da poter essere considerato lo stile architettonico più rappresentativo dell’Italia degli ultimi decenni («Uno stile malgrésoi», come lo definisce Marco Biraghi).
Ci sono dighe, piste ciclabili, parcheggi, teatri, parchi e ancora «ospedali, uffici amministrativi, strutture per lo sport. Svincoli, cavalcavia, autostrade. Complessi industriali, centrali energetiche»(Wu Ming). Ci sono i due tronconi di un viadotto – siamo nella provincia di Chieti – che si fronteggiano, si contemplano ma non arrivano a congiungersi; c’è una piscina dove, al posto dell’acqua, ci sono mucchi di terra smossa (a Bernalda), ci sono le pensiline sospese sopra binari fantasma (presso la stazione di La Martella), e c’è l’A-33 Asti-Cuneo che all’altezza di Cherasco culmina in un prato; al Football Village di Rimini, l’erba vegetale affiora indomita dal manto sintetico dei campi sportivi; a Capizzi, nel messinese, la struttura della palestra comunale – le finestre a pezzi – è circondata da un fossato di scavi; il viadotto di Mussomeli, nel nisseno, è a dir poco onirico, come quello di Sciacca, che si interrompe di colpo a ridosso di un centro abitato; a Faeto, nel foggiano, dove dovrebbe esserci un centro turistico ci sono solo dei bulbi bianchi inastati in cima a decine di pertiche.

Viadotto Sciacca Agrigento (ph La Repubblica)


A determinare l’incompiuto, realizzando così quella specie di vocazione nazionale a «stare abbandonatamente nelle cose» (il verso, che descrive il materano ma che vale per il Paese intero, è di Alfonso Guida), è l’imperizia, così come l’impulso a dilatare i tempi realizzativi, una pulsione procrastinatrice che poco a poco diventa l’unico contenuto reale; soprattutto, però, l’incompiuto discende dalla distruzione di un nesso logico tra il progetto e la sua esecuzione: «L’opera è concepita come un oggetto finito in sé, il suo significato non è nella sua utilità ma nei circuiti di relazioni che si attivano in corso d’opera. Non serve che sia compiuta, basta dare il via al progetto, basta annunciarla». Basta, aggiungiamo, far slittare tutto dal piano dell’indicativo a quello del condizionale: nonè oppure sarà, ma dovrebbe essere, avrebbe dovuto essere.
Guardiamo alloral’emblema di questo paesaggio mancato (eppure così radicalmente presente), quei piloni di cemento sormontati da una chioma di tondini di ferro aggrovigliati, e guardiamo la sterpaglia circostante: una paradossale coppia tragicomica – il cemento a interpretare il clown Bianco, tetragono e presuntuoso, e la gramigna come l’Augusto, stralunato e incapace. Uno accanto all’altro, sparsi per il Paese, immobili come sentinelle sotto il sole e alla luce della luna, alle prese con un loro inesauribile dialogo muto. Così complici, così reciprocamente indifferenti: così «abbandonatamente» italiani.

Articolo ripreso da  http://www.minimaetmoralia.it/wp/sullincompiuto-in-italia/
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Giorgio Vasta (Palermo, 1970) ha pubblicato il romanzo Il tempo materiale (minimum fax 2008, Premio Città di Viagrande 2010, Prix Ulysse du Premier Roman 2011, pubblicato in Francia, Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Spagna, Ungheria, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Inghilterra e Grecia, selezionato al Premio Strega 2009, finalista al Premio Dessì, al Premio Berto e al Premio Dedalus), Spaesamento (Laterza 2010, finalista Premio Bergamo, pubblicato in Francia), Presente (Einaudi 2012, con Andrea Bajani, Michela Murgia, Paolo Nori). Con Emma Dante, e con la collaborazione di Licia Eminenti, ha scritto la sceneggiatura del film Via Castellana Bandiera (2013), in concorso alla 70° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Collabora con la Repubblica, Il Venerdì, il Sole 24 ore e il manifesto, e scrive sul blog letterario minima&moralia. Nel 2010 ha vinto il premio Lo Straniero e il premio Dal testo allo schermo del Salina Doc Festival, nel 2014 è stato Italian Affiliated Fellow in Letteratura presso l’American Academy in Rome. Il suo ultimo libro è Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt/Quodlibet 2016).

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