16 settembre 2018

LA POESIA di PINO BATTAGLIA a MARINEO

Pino Battaglia

 

      Ecco alcune poesie che ELISA BIVONA e DELIA PECORARO leggeranno stasera, alle 21, al Circolo Culturale MULO ROSSO:



Giuseppe Giovanni Battaglia (1951 -1995)

Dai suoi primi versi nell’antica parlata di ALIMINUSA (PA) 

1.       LA TERRA VASCIA  (1969)

La terra ia vascia, /vascia Signuri, / e si zappa calatu; / suduri e suduri / ca ia megghiu la morti./ ‘Un ia iocu zappari / si la terra ia vascia /e lu zappuni ‘un sciddica, / si la notti lu viddanu / si sonna a zappari / sempri la terra vascia.

***

la me terra è la puisia, / la me pala è sta pinna chi tegnu mmanu / e cu la quali jnchiu sti carti. // Iu sugnu pueta / picchì turmentu lu me cori / l’allavancu / e lu spremu comu nu limiuni. 

***

 vriogna! / tuttu lu jornu / sucati l’ossa a lu viddanu / e mancu arrussicati / la sira / nta la chiazza.

Il giudizio critico di LEONARDO SCIASCIA e di P.P. PASOLINI

“Caro Battaglia, quello che a prima lettura, immediatamente, mi ha interessato alle sue poesie, è il dialetto. Un dialetto integrale e “lontano”, come una restituzione alla memoria, all’infanzia, alla vita dei nostri paesi, all’interno dell’isola come erano tra le due guerre; e da far pensare anche alla parlata dei nostri emigrati che tornano dopo mezzo secolo, alle parole che hanno conservato come in vitro, nel vitreo immobile ricordo della povera vita di allora – diversamente povera oggi. E poi ho visto che alle parole corrispondevano le cose, la realtà, la situazione in cui l’assume, la condizione cui si ribella – e insomma il sentimento, la poesia. Ritengo che questo sia, ancora, il dialetto che si parla ad Aliminusa – questo piccolo paese nato come escrescenza del feudo e ancora legato alla terra, sicché non per facile retorica i suoi versi dicono l’odio del contadino al padrone, come più di cent’anni fa nei paesi rurali che si sollevavano per la “libertà”.
(dalla lettera di Leonardo Sciascia  che ora si trova ora in G. G. Battaglia, L’Ordine di Viaggio)

***

L’universo contadino (cui appartengono le culture sottoproletarie urbane,e, appunto fino a pochi anni fa, quelle delle minoranze operaie – chè erano vere e proprie minoranze, come in Russia nel ’17) è un universo transnazionale […]. E’questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a pochi anni fa, che io rimpiango (non per nulla dimoro il più a lungo possibile, nei paesi del Terzo Mondo, dove esso sopravvive ancora, benché il Terzo Mondo stia anch’esso entrando nell’orbita del cosiddetto Sviluppo).
Pasolini comunque mostra di sapere che gli uomini in carne ed ossa di questo mitico     “universo contadino” non vivevano in un’età dell’oro. Ricordando, infatti, il titolo di un libro di Felice Chilanti, recensito qualche mese prima, aveva scritto: “Vivevano quella che Chilanti ha chiamato “l’età del pane”. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita […]. Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com’è la mia critica.” (Cfr. Pasolini, Scritti corsari e Lettere luterane)

2.   Alcuni versi della maturità

Apologia della chiocciola

" Perche' amai il tatto divenni / chiocciola; mi piacque posarmi,/ assaporare, ripiegarmi / piu' che innalzarmi. Scelsi la via / piu' che il luogo, la via lunga / e i pasti frugali piu' che gli averi. / Perche' ebbi  un disegno, visibile / e chiaro, amai il tatto".

Da "I luoghi degli elementi", 1979-1981, Apologia della chiocciola. Ora in GIUSEPPE GIOVANNI BATTAGLIA, Poesie 1979-1994, Lithos Editrice, 2015, pag.70.

Rut

Non conosco confini nè riconosco nazioni;
ho la certezza che le strade portano
ovunque e se separano pure insegnano
dove sono i nidi e dove sorge l’acqua.
Per amore o per spighe sono sempre
andata di buona lena, e tutto ho
sempre abbandonato pur di seguire
l’istinto mio e il bisogno d’altri.
Io sono Rut, sono del Moab, ma
mi attengo alla mia natura
di donna. Non cerco pace, ma di
percorrere le strade mi chiedo.
Che senso, dunque, può avere la mia
storia personale? Non ve la racconto.
Io cerco nelle vene della pietra viva
il senso di tutto. Non sono triste.
Non sono disperata. Mi guardo le mani.
Dio, io ti riconosco in queste mani.
Ti amo profondamente. Il cielo terso
quale segreto vuole svelarmi?
Nel suono dei tamburi quale movimento!
Della musica delle frasche tutto s’inebria!
Il cielo specchia la serpe e la biscia,
ha fatica del grano e il pane.
Mi chiamano Rut la straniera.
Se considerassero Rut come spiga
alta da terra staremmo tutti più
sereni. Io porto questo vento.
Nel tuono non tremo e lo sguardo
mio resta fermo. Ti amo profondamente,
mio Dio, e ti riconosco potere sulle mie mani.
Le tocco di nuovo e presa una pietra ti palpo.

 
Non ci era dato di conoscere il senso / ultimo del nostro affanno, /
Non sognavamo più niente / […] Chinare il capo e tacere, / I morti
con noi consumavano / l’artificio e l’autentico. […] bruciammo
parole giunte / a mal partito.

****

L’ ira del pastore

Voi che avete distrutto i pascoli verdi
dove le epoche avevano sedimentato
il sogno, voi che avete reso minimo
l’oro delle costruzioni dei boschi,
voi che dell’infanzia del mondo
avete saputo imbastire un groviglio,
voi i destinatari del mio disprezzo.
Io, nella rocca del mondo, m’ascolto
esistere e mi rivolgo alle pietre,
alle canne, agli incantati pagliai,
e non scricchiolano le ossa dei miei cent’anni

Lo scriba è stanco

Lo scriba è stanco e, in punta di piedi,
s’allontana dalla vita; in silenzio,
s’appressa alle vette, ai manti di neve,
e in tanto mare, come il dolce passero,
che si nutre di quel che resta […]
La verità dell’anima esige distanza.
Lo scriba è stanco d’essere scriba, chiede dunque,
dissolvimento e mutazione.

Le poesie in lingua italiana sopra riportate sono tutte tratte da GIUSEPPE GIOVANNI BATTAGLIA, Poesie 1979-1994, Lithos Editrice, 2015




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