Leggere, oggi
Il testo originale, Aujourd’hui lire
si legge su Carnet de la langue-espace.
Traduzione di Francesco Marotta
si legge su Carnet de la langue-espace.
Traduzione di Francesco Marotta
La realtà e il pensiero animisti sono universali. In essi il brusio del continuum
immanente del mondo e lo scambio incessante tra la comunità degli
uomini e la comunità degli esseri invisibili si orientano sempre e
ovunque intorno alla vocalità della parola densa: una delle sue più frequenti modalità è il poema orale in atto.[1] Questa parola densa costituisce un corpus che il vocabolario contemporaneo può in modo appropriato definire letterario: perché si tratta di un corpus
etico, memorizzabile grazie a delle specifiche strutture formali, di
grande raffinatezza e rispettato da tutti. (Miserabili e infantili, le
idiozie razziste osano ancora parlare dell’incultura dei «primitivi»…)
La varietà e la complessità delle relazioni di parola densa
tra gli stessi spiriti invisibili, da una parte e, dall’altra, tra
spiriti invisibili e esseri della comunità umana, sono analizzate in
maniera precisa e profonda nell’opera collettiva diretta nel 1995 da
Marcel Detienne e Gilbert Hamonic, che ne hanno sintetizzato l’argomento
a partire dal titolo, La Déesse parole (La Dea parola): la parola densa
di cui parlo vi è considerata alla stregua delle istanze invisibili che
mettono il mondo in uno stato di dinamica operosità. Questo libro
appassionante mostra tutta la ricchezza della parola densa
nella Grecia antica e in quattro luoghi contemporanei: presso un popolo
montanaro di cultura orale della Georgia caucasica, presso gli Amerindi
Cuna di Panama, presso un popolo delle Celebes meridionali e, provvisto
di scrittura, dell’India meridionale.
Questa parola densa prescrive e
convalida i comportamenti; orienta le azioni, i gesti, le decisioni. E’
portatrice di senso. In quanto parola orale, non appartiene a nessuno,
sa scivolare fuori dal tempo presente senza tuttavia abbandonarlo. Segue
il suo percorso attraverso una bocca indeterminata e plurale, come
quella della Sibilla di Cuma, provenendo a sua volta da altre bocche
ancora. Affinché si instauri il dialogo tra comunità e spiriti
invisibili, essa è veicolata dalle labbra invasate degli iniziati,
spesso in stato di trance. Jean Rouch nei suoi documentari sui Songhaï, così come Virgilio all’inizio del sesto canto dell’Eneide, ce ne offrono una chiarissima testimonianza.
La parola densa costituisce un corpus, mobile e dai confini variabili, che va dalle semplici frasi assiomatiche fino alle ampie strofe spesso narrative. Questo corpus
è considerato e vissuto come presente. Regge ogni relazione immediata
utile al mondo, anzi si sostituisce ad essa e aiuta a vivere e a pensare
questa relazione e questo mondo; è quello che avviene con i Canti delle
Donne Anziane di Koyo, così come con l’aedo greco che canta un passo di
un’epopea per il villaggio seduto di sera intorno a lui.
Un corpus di testi memoriali esiste presso tutti i popoli, compresi quelli materialmente più deprivati; la collezione L’Aube des Peuples (L’alba dei Popoli)
dell’Editore Gallimard consente attualmente l’accesso diretto a
trentacinque di questi repertori, o a parti di essi, nelle loro versioni
scritte. Raccomando in particolare il volume dedicato nel 1996 alla
comunità Orokaïva della Nuova Guinea-Papuasia, col titolo Parle, et je t’écouterai (Parla, e io ti ascolterò):
il fruscio violento della foresta viene vissuto, poi gestito per mezzo
dei racconti che i suoi spiriti soffiano agli iniziati e che questi
trasmettono attraverso l’intreccio di straordinarie modalità espressive.
Raccomando ugualmente tutta la collezione di CD della Ocora-Radio France, uscita dall’inestimabile catalogo Ocora curato a Parigi al Musée de l’Homme da Gilbert Rouget, autore del libro fondamentale Musica e Trance. Non vi è comunità nella quale la relazione col mondo non si fondi attraverso la parola densa, generata dagli spiriti e dagli iniziati, corpus
di poemi fondatori e regolatori; e, all’occorrenza, le si affianca uno
strumento a fiato, a percussione o a corde come modalità esplicitamente
complementare. La lingua di ogni corpus viene infatti
impreziosita in una maniera particolare per accrescerne l’efficacia, la
potenza e la performatività. In più, se il testo orale è abbastanza
lungo, per aiutare la memorizzazione del dicitore esso fa leva su una
serie di rime e di scansioni particolari.
L’universalità e la varietà della parola densa vengono evidenziate dal poeta americano Jérôme Rothenberg nell’opera Les Techniciens du sacré (I Tecnici del Sacro), la sua grande antologia, ampliata nella versione francese del 2015. E’ quello che mostra il poeta martinicano Monchoachi nella serie di pubblicazioni che nel creolo della sua isola ha intitolato Lémistè (I Misteri), ovvero gli elementi rituali della parola densa all’opera oralmente in ogni comunità attuale e del passato.
Alcuni di questi testi, suggeriti dagli
spiriti agli iniziati, sono rappresentati, dipinti, anzi incisi, dai
primi posatori di segni, poi inventori della scrittura, sulla parete in
fondo a una tettoia rocciosa, come fece Ogo Ban sulla montagna di Koyo
cinque secoli fa nella sua grotta Danka komo (ne parlo nel mio libro Il tratto che nomina, qui e qui) o sul frontone della casa-tempio consacrata alla ricezione e all’ascolto della parola densa.
E si racconta, inoltre, anche di un dio che incise nella pietra con un
dito di fuoco dieci comandamenti che stabiliscono i comportamenti da
tenere tra gli uomini e col divino: secondo questa leggenda, ciò è
avvenuto in via eccezionale sulla cima di un monte, il Sinai. Sul tema
dell’emergere della scrittura, propongo al lettore il riferimento al mio
articolo L’immagine sul muro agisce, ripreso nell’edizione bilingue franco-italiana del mio libro L’immagine in atto, edito dalle Edizioni Algra nel dicembre del 2017.
Il fatto è che i tre monoteismi si creano una trascendenza senza giustificazione, fuori dal continuum, senza legame. Diffondono la loro parola densa
in testi che, di conseguenza, definiscono «rivelati». Poiché il divino
non è più tattile, né, quando sembra allontanarsi, è rintracciabile per
mezzo di sacrifici animisti ordinari, i testi diventano di natura sacra
intangibile e formano un corpus compatto, esclusivo e
assolutamente «unico» per tutta la comunità. I suoi chierici con alterne
fortune si prendono cura della loro esegesi; ma dogmatismo e
intolleranza sono immediatamente prodotti dall’idea stessa della
trascendenza e dal fatto che una casta di studiosi si impadronisce della
relazione della parola umana con essa.
A questo corpus scritto di
riferimento tutti si attengono, devono farlo; in esso e nei gesti che ne
derivano, come preghiere, posizioni rituali del corpo, pellegrinaggi,
tutti nella comunità trovano la giustificazione della loro identità, del
loro destino, della loro persona.
Tuttavia in Europa, in epoca
rinascimentale, le esegesi approfondite della Bibbia, grazie alla
riscoperta dei testi originali, particolarmente quelli in lingua greca,
destabilizzano il corpus unico degli ecclesiastici; la comunità
si scontra e si divide. Il suo ramo più attivo, quello protestante
nelle sue diverse scuole, sviluppa l’esame solitario, ovvero critico,
dei testi comunitari. La relazione intima e personale col testo prende
allora tutto il suo slancio.
Subito dopo il Rinascimento, come sua diretta conseguenza, nasce in Europa anche il testo denso scritto che degli aristocratici alfabetizzati leggono in silenzio nella loro stanza, isolati: si pensi a opere come L’Astrea di Honoré d’Urfé o il Romanzo buffo
di Scarron. Non c’è più bisogno di dicitori o di aedi, né di un attore
interprete sacro. L’invenzione della stampa permette di moltiplicare gli
esemplari di un testo in copie di piccolo formato. Insieme alle Bibbie
portatili e ad altri Messali da viaggio, il nuovo testo scritto resta
tuttavia performativo e altamente sacro, perché indica al lettore come
agire nella turbolenza del mondo; l’eroe della vita quotidiana o il suo
alter ego in controluce, l’antieroe chisciottesco, nascono come
portatori di coscienza emozionale e/o pensante; l’ambiente descritto nel
testo è uno specchio semplificatore del torbido spessore del mondo.
L’eroe si barcamena con quello. Questo simulacro della parola densa che fa da riferimento a tutta la comunità è semplicemente un fenomeno locale, tipicamente europeo. Si chiama romanzo.
Il romanzo cambia poco nel corso dei
quattro o cinque secoli di esistenza nel luogo d’origine. Il personaggio
principale è l’iniziato che, per metà morto, si è insinuato in questa
chincaglieria artificiosa, un burattino vagamente articolato, un
burattino rigonfio di gas in primo luogo emozionali. Questo fantoccio
permette al lettore, sempre più distaccato dalla sua comunità e relegato
in una cupa e impietosa solitudine dagli inganni del lavoro salariato,
da padroni castranti, da una religione del castigo e della redenzione
individuale, questo burattino permette dunque al lettore di interrogare
l’opacità del mondo. L’iniziato-burattino mostra nella narrazione
romanzesca il suo destino, il corso di una educazione e di prove
sostenute per impressionare e educare. Al lettore non resta che
giudicare e trarne un insegnamento.
Questo curioso testo romanzesco
rappresenta la gloria, il potere e il prestigio che la letteratura
europea si attribuisce. Il romanziere è il signore onnipotente; la
volontà umbratile del destino, la Tyche, l’ispirato capriccio
dei geni e degli spiriti dell’animismo si dissolvono trasferendosi nelle
mani dello scrittore romanziere, demiurgo sommario che si profonde, nei
fatti, nella lode magistrale dell’istinto proprietario, e vi si
compiace. Può anche verificarsi il caso sconcertante che lo scrittore e
l’insegnante di questa letteratura siano gli epigoni pedanti
dell’accademismo.
E’ certo che altrove
nel mondo, fuori dall’Europa e dall’America del nord, sopravvive in
modo splendido il testo orale, addirittura scritto, come il Rāmāyaṇa o il Mahābhārata;
nessuno all’interno della comunità può vivere senza interrogare, nella
sua vivacità polisemica e policentrica, la voce degli esseri poco
visibili che agitano il mondo e lo costituiscono. E allo stesso modo la
canzone, che con la parola messa in musica intensifica la relazione
attiva col mondo, è dappertutto inesauribile, e io non conosco nessuno,
da nessuna parte, che non canti, non si canti un testo, non ascolti
cantare.
Eppure altrove,
dunque in quello stesso mondo, i colonialismi europei hanno portato le
scolarizzazioni di stampo occidentale per i «figli dei capi», con lo
scopo di formare delle élite in grado di aiutare le potenze
coloniali a sfruttare i popoli e le terre sottomesse. Considerandosi
all’avanguardia e salvifiche, queste scolarizzazioni utilizzano come
strumenti di relazione attiva col mondo non solo le lingue d’Europa ma
anche le forme del testo moderno che accomuna le società colonizzatrici,
cioè il romanzo. Ora il romanzo d’avanguardia della fine del
Diciannovesimo secolo è quello del realismo e del naturalismo francesi;
la loro diffusione è ovunque fulminea, così come il loro successo presso
le giovani élite di cui i conquistatori hanno comprato
l’anima. Le letterature sapienziali scritte in una lingua aristocratica
si eclissano ovunque, sebbene la parola orale densa perduri.
Flaubert, Zola e Maupassant sono letteralmente divorati in ogni luogo
dai giovani «colti». Anche Dostojevski per la sua dimensione realistica.
Li si imita a tutto spiano. Nascono così, talvolta anticolonialisti
senza compromessi in ragione degli insegnamenti imprevisti del realismo,
i Lu Xun, Yachar Kemal, Naguib Mahfouz etc. (A tal proposito, rimando
al mio articolo Le réel et la langue de l’écrivain (Il reale e la lingua dello scrittore) nel catalogo dell’esposizione Face à L’histoire 1933-1996 (Di fronte ala storia 1933-1996), al Centro Pompidou nel 1996).
Ma già il testo ampio, ora principalmente
scritto e romanzato, al quale tutta la comunità fa riferimento per
interrogare il mondo e le sue inquietanti minacce, prende direzioni
diverse. In Europa le avanguardie futuriste russa e italiana,
vorticiste, espressioniste, dadaiste, surrealiste etc. degli inizi del
Ventesimo secolo destabilizzano fortemente il romanzo di formazione
(anche se, nei suoi risvolti commerciali, continua fino ad oggi a
soddisfare le esigenze di un considerevole numero di lettori,
costantemente alla ricerca di consolazione); in Europa e in America del
nord nascono inoltre antropologia e etnologia, in un primo momento
legate al colonialismo senza scrupoli, poi autonome. L’interrogazione
del mondo opaco non avviene più solo attraverso l’utilizzo
dell’immemoriale corpus testuale orale o equivocamente
trascritto; si esercita anche attraverso le scienze umane, esse stesse
continuamente alle prese con esegesi, crisi e riformulazioni.
Allo stesso modo si è creato recentemente
un nuovo e vasto spazio di parola, per ora più scritta che orale, tra
la persona e il mondo: quest’area non è unitaria, non è tenuta assieme
da una rivelazione o da dogmi; non è regolata dall’istinto proprietario.
Questa zona fluttuante produce un ascolto, un’attenzione necessariamente fluttuante, del mondo con i suoi enigmi.
Essa ha creato la figura contemporanea e strana del «lettore». E’ di
sua iniziativa che costui si sceglie dei libri i cui testi non dogmatici
dicono il mondo, lo interrogano, cercano di comprenderlo. Il «lettore» è
un solitario. Sbarca dove vuole perché la lettura ritiene che tutti i
porti siano aperti. Questa figura è spesso un individuo, un individuo
difficilmente situabile nella comunità, poco adattabile alle funzioni
rituali tradizionali della comunità. Va e viene. Talvolta arriva anche a
dedicare un tempo considerevole alla lettura, che, nella sua esistenza,
rappresenta il rituale più importante della sua relazione col mondo.
Nel suo significativo e dinamico Carnet du sédentaire (Quaderno del sedentario),
Romain Eric-Marie, giovane storico, filosofo e scrittore, descrive i
suoi personali itinerari in continenti interi di lettura, continenti
creati dalla sedimentazione di testi profondi e potenti, tuttavia tutti
di cultura europea; poi si avvicina alle ripide falesie che circondano
questa cultura e si impadronisce anche dei libri di Franz Fanon, finendo
così per mettere in uno stato di turbolenza la lettura stessa. Il corpus
di testi di cui il «lettore» Romain Eric-Marie coltiva la
sovrabbondante pratica, lo mette in relazione con il mondo nella sua
storia e simultaneamente rende feconda l’iniziazione del suo essere
individuale. Questa iniziazione non si completa ripiegando su certezze o
qualità archivistiche o materiali, ma si apre all’infinito su riprese
di interrogazioni, di dubbi e di ricerche sempre più rivelatrici di ciò
che sono la persona umana e il mondo polifonico.
Tra il frastuono del mondo e il lettore si è creato uno strato atmosferico strano, quello della «lettura», un vasto corpus
di testi scritti o anche trascritti dall’oralità. Leggere è diventato
così la grande pratica rituale animista contemporanea che interroga lo
spessore del mondo; una pratica onerosa, perché un libro costa
parecchio; finanziare una biblioteca pubblica costa caro. La «lettura»
porta via tempo. Con una autorevolezza decisiva essa spalanca uno spazio
di libertà interiore di giudizio e di destino, proprio come il coltello
dell’officiante animista che versando il sangue dell’animale
sacrificato apre temporaneamente una breccia di libertà vertiginosa e
visionaria nella sete inestinguibile dei morti e dei vivi.
Alla fine, questa «lettura» che potrebbe sembrare un modo di sottrarsi al contatto tattile con il continuum pullulante e pericoloso del mondo, crea un’istanza, lo strato atmosferico ribelle e mai asservito del corpus letto: «lettura» come controllo della trascendenza mortifera e ritorno alla mobilità animista.
__________________________
[1] Prima ancora che
sonora e vocale, quella che io chiamo la «lingua-spazio» è una
sedimentazione di elementi fisici depositati un un certo luogo dalle
generazioni successive, elementi che attualmente si presentano come
segni visivi. A differenza di quella che chiamo qui la parola densa,
la cui coerenza strutturale è intrinseca, questi segni visivi non sono
per forza coerenti tra loro; essi realizzano un ordito significativo
dello spazio, anche se questo ordito risulta talvolta caotico. Si è
sempre di fronte alla lingua-spazio, in maniera passiva se non
obbediente o in maniera dinamica, addirittura creatrice. Nello stesso
modo, si è sempre di fronte alla parola densa.
Testo ripreso da https://rebstein.wordpress.com/2018/09/03/leggere-oggi/
Nessun commento:
Posta un commento