Ottant’anni fa Leone
Ginzburg, Carlo Levi e altri dodici vennero catturati dall’Ovra, la polizia segreta fascista.
Chiara Colombini
Torino 1934, gli ebrei
antifascisti nella grande retata
«Ebrei antifascisti al soldo dei fuoriusciti assicurati alla giustizia dall’Ovra». È il titolo di un comunicato dell’agenzia Stefani che La Stampa e i principali quotidiani italiani riprendono il 31 marzo 1934. La notizia riguarda Torino, al centro di una campagna di stampa che anticipa sinistramente la persecuzione antiebraica del 1938.
Tutto ha avuto inizio
pochi giorni prima. Ponte Tresa, 11 marzo 1934. Alla frontiera con la
Svizzera si ferma un’auto per il controllo di routine. Alla guida è
Sion Segre Amar, studente universitario; accanto a lui Mario Levi,
dirigente della Olivetti. Sono stati a Lugano per conto del movimento
antifascista Giustizia e Libertà. I finanzieri in servizio pensano
di avere intercettato dei contrabbandieri e li perquisiscono. Addosso
a Levi viene trovata una copia del settimanale della Concentrazione
antifascista, La libertà, e copie di volantini che incitano a votare
no alle elezioni del 25 marzo (è un plebiscito, si può solo
accettare con un sì o respingere con un no la lista presentata).
Nell’auto si trovano
copie dei Quaderni di Giustizia e Libertà, la rivista che il
movimento stampa dal gennaio 1932. Nel tragitto verso il
commissariato di polizia del confine, Levi si getta nel Tresa e nuota
verso l’altra sponda del lago di Lugano. La Guardia federale
svizzera lo trae in salvo. Segre è fermato e trasferito alla
Questura di Varese, dove viene malmenato.
Nei giorni successivi cominciano gli arresti, poi confermati per 14 persone: Leone Ginzburg, Carlo Levi e suo fratello Riccardo, Gino e Giuseppe Levi (fratello e padre di Mario), Barbara Allason, Carlo Mussa Ivaldi, Giovanni Guaita, Giuliana Segre, Marco Segre, Attilio Segre, Cesare Colombo, Leo Levi, Camillo Pasquali. Non tutti sono militanti di GL, e non tutti avranno la stessa sorte giudiziaria. A quell’episodio di 80 anni fa è dedicato l’incontro che si terrà questa sera alla Comunità ebraica di Torino.
La rete torinese del movimento è stata lacerata una prima volta tra il dicembre 1931 e il gennaio 1932. È stato Ginzburg, con Carlo Levi, a ritessere la tela. All’inizio del 1932 Ginzburg si è recato a Parigi e ha preso contatto con Carlo Rosselli e il gruppo dirigente di GL. Di origine russa, Ginzburg ha ottenuto la cittadinanza italiana nell’ottobre del 1931: da sempre antifascista, ha aspettato questo momento per passare all’azione, per affermare un’idea di patria alternativa a quella fascista.
Nasce una rete
clandestina che pesca in ambienti non coincidenti ma con molti punti
di intersezione, che hanno a che fare con rapporti di amicizia, di
parentela, con affinità culturali e sociali: il liceo D’Azeglio in
cui cresce una generazione di antifascisti; il salotto di Barbara
Allason che ospita serate di discussioni culturali e cospirazione; la
cerchia di intellettuali da cui poco più tardi nascerà la casa
editrice Einaudi; la Olivetti di Ivrea. E c’è l’origine ebraica
di un buon numero dei giellisti torinesi, la quasi totalità se si
guarda agli arrestati del 1934.
Su questo elemento si scatena la speculazione. Riprendendo il comunicato Stefani, i giornali raccontano che Levi, una volta in salvo, ha gridato: «Cani italiani! Vigliacchi!». Non è vero. Urla, sì, però dice: «Viva la libertà! Abbasso il fascismo!». Ma quel «cani italiani» è funzionale a presentare gli arrestati come antifascisti perché antitaliani, e antitaliani perché ebrei. In realtà, come ha osservato Alberto Cavaglion, nel rapporto tra antifascismo ed ebraismo in quella fase era il primo a prevalere: «Prima di tutto si era antifascisti, il “problema dell’appartenenza” passava in secondo piano».
Lo smantellamento della rete torinese è un duro colpo per GL. In quel momento è pressoché l’unico nucleo del movimento attivo in Italia, capace per di più di dare un contributo fondamentale di idee: prima degli arresti del 1934 scrivono sui Quaderni Ginzburg, Carlo Levi, Vittorio Foa, Renzo e Michele Giua, Riccardo Levi, Mario Levi, Sion Segre, Augusto Monti.
Paradossalmente, l’incidente di Ponte Tresa è una bella seccatura anche per la polizia. Da mesi ha arruolato come spia l’ingegnere francese René Odin che, millantando la necessità di viaggi commerciali in Italia, appare perfetto al centro parigino di GL per tenere i collegamenti con i militanti interni. Il fermo alla frontiera costringe ad anticipare gli arresti, mentre la polizia avrebbe voluto attendere per individuare il numero maggiore possibile di cospiratori. Inoltre, agli arrestati non si può chiedere conto di quanto si è scoperto su di loro attraverso Odin, con il rischio di «bruciarlo».
Le ammissioni che la polizia riesce a strappare non sono che uno specchio deformante, confermano cose che gli inquirenti già sanno. Saranno deferiti al Tribunale speciale soltanto Sion Segre e Leone Ginzburg, condannati rispettivamente a 3 e 4 anni di detenzione (poi ridotti grazie a due anni di condono). Giungeranno 5 assegnazioni al confino per Guaita, Mussa Ivaldi, Cesare Colombo, Attilio e Marco Segre. Saranno i militanti già attivi scampati alla polizia nel 1934, in primo luogo Vittorio Foa e Michele Giua, a ricostruire a Torino una nuova cospirazione di GL.
La Stampa – 9 dicembre
2014
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