“Il vero nemico? La
rassegnazione”
«È UN mondo fuori
misura, e non possiamo continuare a starci dentro». Non in questo
modo. «Perché la finanza ha fagocitato la politica, trasformandola
in un semplice strumento esecutivo».
Gustavo Zagrebelsky e
Marco Revelli hanno dialogato per un’ora e mezza, molto più del
previsto, ma il pubblico che affollava la sala del Maggior Consiglio
avrebbe voluto ascoltarli ancora. Tra il giurista e lo storico,
incalzati da Marco Damilano, è stato un emozionante inseguirsi di
riflessioni.
Secondo Zagrebelsky, «il
dominio della tecnica associata all’economia ha cancellato l’epoca
dei limiti, dei confini, e consacrato il potere». Il Dio
finanziario. E la rassegnazione: «Il venir meno dei confini diventa
corruzione, dà insignificanza al valore delle cose: la Terra non è
più Madre ma un campo di battaglia, continuamente stuprato; gli
interessi di pochi prevalgono sul bene comune; la sensibilità che ci
portava a scandalizzarci di situazioni subumane e sovrumane, si è
persa: viviamo tranquillamente consapevoli che milioni di persone
muoiono di fame per colpa di interessi particolari, siamo assuefatti
a che un centinaio di “famiglie” monopolizzi tre miliardi di
persone».
Revelli ha denunciato lo «spaventoso capitalismo finanziario odierno » figlio della terza rivoluzione industriale: quella informatica. «Si è persa l’orizzontalità di destra-sinistra a scapito della verticalità tra chi sta nell’empireo dei cieli finanziari e chi nell’inferno della terra. Il potere gestionale e decisionale della politica è scomparso». Così si assiste al paradosso di Atene, dove «l’oligarchia europea (non elettiva) decide della Grecia a prescindere da quello che la Grecia ha deciso: e ordina al governo greco di fare male al proprio popolo».
E in Italia? “Siamo un
caso da studio degli effetti della globalizzazione sulla politica. Il
nostro capo del governo è campione di riduzione dei tempi del potere
legislativo e di esasperazione dei poteri dell’esecutivo»,
risponde lo storico. Per Gustavo Zagrebelsky, «le vere dimensioni
politiche dell’ordine globale sono nell’empireo: i governi le
eseguono e fanno polizia interna, dove per buon governo si intende
quello fedele».
È un mondo destinato ad
implodere, come tutti i grandi imperi: «Perché ha la pretese di
imporre l’uniformità», spiega il giurista. «Quando si comincia a
dire che degli Stati possono fallire, si è molto lontani dall’idea
originale: si pensa agli Stati come a della spa. Viviamo in un tempo
in cui le alternative non esistono più, o sono bollate come
impossibili».
La Repubblica – 8
giugno 2015
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