La realtà. Hegel oggi
Intervista a Luca Illetterati, a cura di Alberto Gaiani
Wirklichkeit è una delle parole
tedesche che significano realtà ed è una delle parole-chiave della
filosofia di Hegel. Su questo concetto si terrà dal 3 al 5 giugno a
Padova un importante convegno internazionale.
Vi parteciperanno, tra gli altri, studiosi della filosofia classica
tedesca del calibro di Robert Pippin, Jean-François Kervégan, Birgit
Sandkaulen. Ne abbiamo parlato con Luca Illetterati, che, con Francesca
Menegoni, è l’organizzatore del convegno.
Sembra che Hegel sia tornato, se
non al centro della scena, perlomeno sulla scena. Siamo di fronte a un
neo-neoidealismo? A una Hegel-Renaissance in senso generale?
Non credo si possa parlare di una
Hegel-Renaissance. Tanto meno di un neo-neoidealismo (che rimane
comunque, soprattutto nella sua versione gentiliana, per quanto
sostanzialmente non studiato, l’apice della filosofia italiana degli
ultimi centocinquant’anni). C’è però indubbiamente a livello
internazionale una rinascita di interesse nei confronti della filosofia
di Hegel. Molto è dovuto ai cosiddetti neohegeliani di Pittsburgh, John
McDowell e Robert Brandom, che hanno ‘usato’ Hegel all’interno di
dibattiti e contesti tradizionalmente ostili o indifferenti nei
confronti della filosofia dell’idealismo tedesco. Al di là di questo è
però interessante che in varie parti del mondo siano attivi in questo
momento progetti di ricerca che connettono la filosofia di Hegel alle
dinamiche del mondo contemporaneo. Un esempio può essere la grande
discussione sul tema del riconoscimento. L’idea che le soggettività si
costituiscano all’interno di un processo di riconoscimento è una
tematica hegeliana ed è una tematica di grandissima attualità, si pensi
alle discussioni sul multiculturalismo. Su questo lavorano gruppi di
ricerca a New York, alla Columbia, in Brasile, a San Paolo, in
Finlandia, in Italia, in Francia. In questo senso credo si possa parlare
forse di un neohegelismo nell’ambito dell’analisi dei fenomeni sociali.
Io ritengo che la grande attenzione che oggi viene dedicata al problema
dell’ontologia sociale possa essere letta come una rinascita di
interesse nei confronti di quello che Hegel chiamava lo spirito
oggettivo. E ritengo che il concetto hegeliano di spirito oggettivo non
sia ancora stato ‘sfruttato’ adeguatamente nell’ambito delle ricerche di
ontologia sociale.
Perché avete scelto la parola ‘realtà’ come fuoco delle ricerche che verranno discusse al convegno?
In realtà abbiamo scelto la parola
tedesca Wirklichkeit, che è uno dei modi con cui Hegel nomina la realtà e
che di solito si traduce con realtà effettuale, con effettualità o
anche con realtà in atto. Wirklichkeit non è una generica realtà, non è
semplicemente quello che abbiamo davanti agli occhi. Per Hegel
Wirklichkeit è la realtà che si realizza, che si compie, è il processo
della propria realizzazione e del proprio compimento. L’idea di mettere
questa parola al centro è stata all’inizio di Lucio Cortella, con il
quale abbiamo pensato questo convegno. Se si vuole, concentrarsi su
questa parola ha un aspetto persino provocatorio. Significa puntare lo
sguardo non tanto su un aspetto marginale o particolare della
riflessione hegeliana, ma al suo cuore, addirittura, direi, al suo scandalo.
Per anni si è insistito su uno Hegel non riducibile al sistema, e
dunque sullo Hegel giovanile, sullo Hegel filosofo della vita e critico
della società moderna, sullo Hegel fenomenologico, ecc. Dicendo realtà
si punta invece al cuore dello scandalo hegeliano, ad esempio alla
famosa proposizione contenuta nei Lineamenti di filosofia del diritto, secondo la quale il reale è razionale e il razionale è reale.
Buona parte del dibattito filosofico dopo Hegel, anche quando non l’ha
tematizzato esplicitamente, è leggibile come una sorta di ribellione a
quella proposizione. Eppure in quella proposizione non c’è davvero nulla
di semplicemente statico, di giustificatorio, di rassicurante ed
edificante. Quella proposizione dice piuttosto lo sforzo necessario di
cui qualsiasi filosofia e qualsiasi considerazione pensante del mondo
deve farsi carico se non vuole essere semplicemente vittima di una
realtà inattingibile o di un soggetto che pretende di ridurre a sé ogni
realtà.
Il nostro tempo è segnato
davvero da un ritorno alla realtà? In che senso? In che modo questo
ritorno alla realtà costituisce un’urgenza che incalza la riflessione
filosofica contemporanea?
Mi verrebbe da dire che sì, la realtà si
sta prendendo qualche rivincita su tutte quelle forme di
intellettualismo che pretendono di dominare il reale attraverso schemi
ad esso imposti. Usciamo da anni in cui la realtà veniva identificata
con la sua comunicazione. E’ reale ciò che entra dentro un circuito di
comunicazione che lo rende vero. Rispetto a questo mi sembra ci sia una
realtà che spinge e che con i suoi aculei buchi e sgonfi la cappa
comunicativa. Mi sembra che non ci si accontenti più delle costruzioni
comunicative. Mi sembra ci sia un bisogno di dare voce ai resti che la
comunicazione lascia da parte, a quelle forme di resistenza del reale
che nessun packaging è in grado di confezionare. Mi pare che
questo caratterizzi ad esempio la produzione letteraria e
cinematografica di questi anni. Anche la politica ha oggi un problema
enorme di realtà: il discorso della politica pare non essere in grado
nemmeno di sfiorare la realtà che è chiamata a governare. Il che la
rende ovviamente ancora più arrogante, estranea e tendenzialmente
autoritaria.
Questo ritorno alla realtà non è
piuttosto una moda, o l’ennesimo ritorno di un tema che da millenni
attraversa il pensiero dei filosofi e che viene ripreso innumerevoli
volte da innumerevoli punti di vista?
Secondo Hegel l’unico contenuto della
filosofia è il mondo. La filosofia non si occupa di altro: della realtà,
del mondo, dei modi attraverso cui l’essere prende forma, delle
dinamiche attraverso cui il reale viene a costituirsi nella storia,
dentro a determinate organizzazioni sociali, nella pratica scientifica,
nelle forme dell’arte. E la filosofia sempre questo ha fatto. Ritengo
che ciò che rende interessante il punto di vista di Hegel sia il fatto
che secondo lui la realtà non è semplicemente ciò che sta lì, del tutto
indipendentemente da noi. Noi siamo parte della realtà e in questo farvi
parte la determiniamo in un modo piuttosto che in un altro. Questa
partecipazione della soggettività al modo d’essere della realtà non
significa affatto che il soggetto sia il padrone della realtà, che possa
farne ciò che vuole. La realtà per Hegel resiste a questa presa, a
questa pretesa del soggetto di plasmarla a piacimento. Il soggetto è
davvero se stesso, secondo Hegel, solo quando riesce a cogliere la
dinamica interna della realtà, non quando pretende di imporgliela.
C’è qualche connessione tra i
lavori del convegno e il dibattito che da qualche anno sta imperversando
intorno alla proposta del nuovo realismo di Maurizio Ferraris?
No, non c’è una connessione esplicita.
Il che non significa affatto indifferenza. Guardi, a me pare che il
nuovo realismo abbia almeno un merito: quello di aver dato voce a
un’esigenza, a un’istanza. Poi, come spesso accade con i manifesti, non
sempre è chiaro dal punto di vista rigorosamente filosofico di cosa si
stia parlando, di che tipo di realismo si stia discutendo. A me sembra
che il nuovo realismo sia innanzitutto un progetto culturale, un
tentativo di trovare una via d’uscita a un’impasse che sembrava aver
reso ingestibile il nostro rapporto con il mondo, che sembrava aver reso
inutilizzabile le parole chiave che pure descrivono la nostra
esperienza ordinaria del mondo: verità, realtà, bene, male, piacere,
dolore, ecc. Il limite a mio parere del nuovo realismo è di essere
essenzialmente un contro-concetto, un concetto cioè che si determina
dentro un’opposizione con il costruttivismo post-modernista, di cui
condivide in questo senso le unilateralità. Dove il costruttivismo
enfatizza la capacità del soggetto di forgiare il reale a partire da
schemi concettuali e intenzioni interpretative, il nuovo realismo
enfatizza tutti gli elementi di dipendenza della soggettività dalla
realtà, il modo in cui cioè il soggetto è determinato dalla realtà. Per
molti versi la filosofia di Hegel è un tentativo formidabile di uscire
da questa morsa, da questa doppia unilateralità. E lo fa mostrando come i
rapporti di dipendenza e indipendenza siano del tutto inadeguati a
comprendere tanto il modo d’essere della realtà quanto quello della
soggettività.
In che modo un’operazione come
quella che anima il convegno – un’operazione che sembra consistere
principalmente in un’interpretazione di riflessioni molto lontane da noi
nel tempo, quindi in una ricerca di interesse storico – può avere
qualche carta da giocare rispetto al nostro oggi?
Quello che Hegel invita a pensare sono
le dinamiche interne della realtà, il modo in cui il reale si
costituisce, le stratificazioni attraverso cui il mondo assume forma.
Penso davvero che questo sia il problema che noi oggi abbiamo di fronte.
A me sembra che su questo oggi ci sia un doppio rischio: il
velleitarismo e il vittimismo. Il velleitarismo è l’atteggiamento di chi
pretende di dire alla realtà come questa deve essere per essere davvero
se stessa, come se il mondo, diceva Hegel, fosse lì ad aspettare che
l’intelletto gli dica come ha da essere. Il vittimismo è la
giustificazione che consente ai soggetti di non agire, di non assumersi
alcuna responsabilità, perché tanto a dominare è l’ineluttabile, a
dominare è una realtà che procede indipendentemente da tutto. Fare i
conti con la realtà e prenderla sul serio significa oggi uscire da
questi due dispositivi che rischiano di paralizzare qualsiasi azione
sensata del soggetto nel mondo.
3 giugno 2015
[Immagine: Gerhard Richter, Wolken, Atlas (gm)]
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