Valentino Parlato
Una crisi culturale
non economica
Non ho resistito
alla tentazione, forte, di andare a Trento per la
decima edizione del Festival di Economia, questa
volta sul tema “mobilità sociale”. Scrivere un serio
resoconto di queste cinque giornate con una
novantina di incontri e dibattiti richiederebbe
troppo spazio, tenterò una sintesi, forse troppo
personale. Il tema della mobilita’ sociale si
è rivelato molto interessante, direi anche
drammatico, di fronte al crescere della
disuguaglianza e mi colpisce
negativamente (un altro segno dei tempi) la scarsa
attenzione della stampa e dei politici.
Matteo Renzi,
appassionato di presenzialismo è venuto
a fare la sua comparsata, ma senza nessun
impegno e Piketty lo ha allegramente sfottuto
dicendo: «Renzi è venuto a informarci che
l’austerità finirà a settembre». Renzi poi ha
proseguito ed è andato a trovare i soldati
italiani in Afganistan per assicurarli che
ci resteranno ancora.
Fare i nomi di tutti
gli intervenuti riempirebbe una pagina, ma almeno
i premi Nobel come Joseph Stiglitz e Paul R. Krugman
non posso trascurarli. Importante e incoraggiante
è stata la forte e costante presenza di moltissimi
giovani, quelli che più soffrono delle diseguaglianze
crescenti. Una presenza di giovani cosi attenta
e impegnata da far dire a David Autor, direttore
associato del dipartimento di economia del
prestigioso Mit che una presenza del genere e su
argomenti cosi complessi era impensabile negli
Stati Uniti.
Di fatto e anche
nella sostanza dello sviluppo di questo Festival
i lavori sono stati aperti dal premio Nobel Joseph
Stiglitz sulla crescente e inarrestabile
disuguaglianza sociale che ha il suo massimo –
ribadisce Stiglitz – negli Stati Uniti ( ma l’Italia
non è da meno, collocandosi al terzo posto nella
graduatoria mondiale delle diseguaglianze
dopo Usa e Gran Bretagna). Negli Usa un normale
lavoratore in termini di potere d’acquisto
guadagna meno di quarant’anni prima.
Questo fenomeno
della crescita delle diseguaglianze è strutturale
e la politica non ha fatto niente per impedire
o almeno frenare questa deriva in un mondo dove
i ricchi diventano sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri. Questa crescita delle
diseguaglianze (a meno di una rivoluzione del
tutto improbabile) toglie forza alla politica e ci
porta – come in questi tempi – al rischio di liquidare
l’euro e alla crisi dei paesi dell’Europa del Sud.
A questo
proposito Lucrezia Reichlin, nel dibattito
sul futuro dell’euro e l’estinzione del debito, ha
affermato che la Grecia avrebbe potuto essere salvata
a poco prezzo nel 2010. Piu duro è stato Piketty per il
quale mentre la Grecia è schiacciata dal debito,
nel 1945 il debito della Germania, che era pari al 200 per
cento del Pil, fu azzerato.
Siamo in una situazione
nella quale il risparmio non solo paralizza la politica,
ma fa crescere il debito e porta al default.
Sono tornato a Roma,
un po’ prima che il festival si concludesse,
stimolato ma anche un po’ confuso. Certo,
all’ingrosso, sono ancora più convinto che l’attuale
capitalismo e’ il dominio di pochissimi
e che la disuguaglianza cresce e si
moltiplica: anche dall’apparente bene nasce il male.
Gli Stati Uniti sono la
società di massima disuguaglianza e anche in
Italia siamo su questa strada: l’attuale diseguaglianza
è in crescita e prospetta barbarie. Ma
di fronte a tutto questo che fare? E qui lamento la
scarsa attenzione che la nostra stampa e anche i nostri
politici e intellettuali hanno avuto nei
confronti di questo festival. Come liquidare
tutte le false speranze di ripresa alle quali ci raccomanda
di non dare troppo peso anche il nostro governatore della
Banca d’Italia?
Innanzitutto
cercando di capire e illustrando la situazione
presente, come hanno fatto a Trento. E non dovrebbe
essere neanche molto difficile. Alessandro
Portelli lo ha brillantemente spiegato nella
sua lezione “Sogni americani: dal Grande Gatsby a Bruce
Springsteen”. Portelli facendoci ascoltare poi
traducendo il celebre cantante americano
ha indicato come si ritrovano in quelle parole gli
insegnamenti di Stiglitz.
Dobbiamo sforzarci
di mettere in piena luce, anche in piccoli gruppi
l’insegnamento di Trento. Illustrando e mettendo al
primo posto il tragico e socialmente suicida
crescere della diseguaglianza.
Mettendo anche noi,
una volta di estrema sinistra, in evidenza il grave
problema della liquidazione in corso del ceto medio.
Pensando a nuove forme di lotta da parte dei lavoratori
dipendenti che una volta erano la forte classe operaia
e che oggi sono derisi e calpestati. Ponendo,
e soprattutto studiando, la questione dei
giovani. Sbilanciamoci ha già fatto un positivo
lavoro con il Workers Act : dovremmo organizzare
riunioni per illustrarlo e dare ai lavoratori
la speranza che si può cambiare, che debbono tornare
a essere protagonisti.
Siamo in una crisi
sociale e politica ma, lo sottolineo, anche
di cultura. I Nobel in questa occasione ci hanno
aiutato — non a caso questo decimo Festival si
è collocato a sinistra. Ci hanno servito
la palla. Ora tocca a noi. Non possiamo dimenticare
che senza un fondamento di seria cultura la sinistra
non sarebbe mai emersa. E oggi la sua crisi economica
e sociale è fondamentalmente di
cultura, nella nostra attuale incapacità (anche poca
voglia) di studiare e capire i processi
economici e sociali.
Il manifesto – 5 giugno
2015
Nessun commento:
Posta un commento