Gian Maria Volontè in Uomini contro
Alcune
pagine da “Un anno sull'Altipiano”. Scritto nel 1936 e pubblicato
in Francia, dove l'autore viveva esule. Una delle opere più importanti
della nostra letteratura sulla prima guerra mondiale. Nel 1970 Rosi ne
trasse il film “Uomini contro”.
Emilio Lussu
Morte di un disertore
Sul frastuono del colpi,
si levava la voce da baritono del sergente Cosello:
- Sparate sul disertore!
La trincea nemica
taceva.
Dovetti correre al
telefono in trincea. Il comandante di battaglione mi chiamava per
avere la spiegazione di quanto accadeva. Egli parlava eccitato:
- Che c’è? che
c’è? Debbo mandare rincalzi?
Io lo rassicurai:
- Ma no. Un
soldato sta passando al nemico, solo, senza armi, e la compagnia
tira su di lui. Gli austriaci per non spaventarlo, non sparano.
- Un disonore simile sul
battaglione!
- Lo so, lo so: non lo
stia a raccontare a me. Che ci posso fare?
- Me lo rimandi
indietro, vivo o morto!
- Eh, vivo, sarà
difficile. Sparano tutti su di lui.
- Tanto meglio. Meglio
morto. Me lo mandi morto.
- Sta bene. Posso
andare?
- Sì, vada pure e mi
dia le novità al più presto.
Emilio Lussu, tenente di fanteria
Io ritornai alla
feritoia. Al fuoco della compagnia s’era aggiunto quello delle due
mitragliatrici del battaglione. Marrasi continuava ad avanzare,
ma con molta difficoltà. Superata la vallata, il terreno era ripido
e la neve sempre alta. Io mi stupivo ch’egli non fosse ancora
caduto, quando m’accorsi che, dietro di lui, ad una cinquantina
di metri, anch’egli sprofondato nella neve, camminava il sergente
Cosello. Impugnava il fucile con le due mani e, ad ogni passo,
tirava un colpo su Marrasi. Ma questi non cadeva. Con tutta la mia
voce, ordinai al sergente di rientrare in trincea.
Il sergente si fermò. Era in piedi, in mezzo alla vallata. Io temevo che gli austriaci tirassero su di lui e ripetei l’ordine. Gli austriaci non sparavano.
Egli si voltò e mi
gridò:
- Signor sì!
Aveva le gambe sepolte
nella neve. Da fermo, puntò lungamente e sparò tutto il caricatore
sul disertore. Questi cadde e si rovesciò sulla neve. Io lo
credetti colpito. Ma, dopo qualche istante, si rialzò e
riprese ad avanzare. Tutta la linea continuava a sparare su di lui.
Marrasi camminava. Anche
il sergente, ch’era un tiratore scelto, l’aveva sbagliato.
Ho sempre notato che, nei momenti d’eccitazione, i soldati
guardano e sparano ad occhi aperti senza puntare.
Il sergente rientrò.
Venne da me, coperto di sudore. Parlava a fatica:
- Che vergogna! Che
disonore! - diceva ansante. - Il 2° plotone è disonorato.
Il 2° plotone era
disonorato. La compagnia era disonorata. Il battaglione era
disonorato. Fra poco, si sarebbero considerati disonorati il
reggimento, la brigata, la divisione, il corpo d’armata e, con
ogni probabilità, tutta l’armata. Marrasi continuava ad
avanzare.
Il piantone al telefono
venne di corsa per dirmi che il comandante di battaglione mi
chiamava nuovamente, perché il comandante del reggimento voleva
essere messo al corrente.
- Rispondi che sono in
trincea e non mi posso allontanare. Che verrò tra poco.
Edizione originale
Il piantone disparve.
Marrasi s’allontanava
sempre più da noi. Gli austriaci avevano due sbarramenti di
reticolati di fronte alle loro trincee. Egli era arrivato al primo.
La neve lo copriva pressoché intieramente, ma l’ostacolo era
egualmente insormontabile. S’aggrappò ai fili, li scosse, tentò
scavalcarli, ma inutilmente. Capì che non sarebbe potuto
passare. Scoraggiato, si fermò un istante e si strinse la
testa fra le mani. Sembrava gli mancasse ormai la forza di
continuare. Fece qualche passo attorno allo stesso punto,
disperato. Così, egli girava attorno a se stesso, sperduto, ma
invulnerabile, sotto il tiro dei nostri.
Marrasi si riprese.
Risolutamente, camminò verso un albero che era a pochi metri da
lui. Questo era lungo la linea dei reticolati, al di fuori, verso di
noi, e gli austriaci vi avevano appoggiato un cavallo di frisia,
dall’altra parte. Marrasi si slacciò il cinturone che aveva
ancora alla cintola, con le due giberne. Agilmente, si
arrampicò al tronco. Non era più impacciato. Era già a qualche
metro da terra. Dall’alto, spiccò un salto e si sprofondò nella
neve, al di là del reticolati. Il primo sbarramento era passato.
I nostri sparavano
sempre. Gli austriaci tacevano.
...
Fra le tante fucilate e i tiri delle mitragliatrici, Marrasi riprese ad avanzare. L'ultimo tratto, il più ripido, era il più faticoso. La trincea nemica era a pochi metri. Da una grande feritoia, una mano, gli faceva segni di richiamo. Egli si diresse alla feritoia. I nostri tiratori scelti di bombe "Benaglia" a fucile, sembravano averlo sotto il loro tiro. Lo scoppio di una bomba lo investì ed egli cadde. Ma si rialzò, subito dopo. Nel settore, il fuoco era diventato generale. Dalla compagnia, si era propagato a tutto il battaglione, ai battaglioni laterali, oltre Monte Interrotto, fino alla Val d'Assa. Tutti sparavano: i nostri e gli austriaci. Sembrava che tutto il corpo d'armata fosse impegnato in combattimento. Solo le trincee del costone tacevano sempre.
Fra le tante fucilate e i tiri delle mitragliatrici, Marrasi riprese ad avanzare. L'ultimo tratto, il più ripido, era il più faticoso. La trincea nemica era a pochi metri. Da una grande feritoia, una mano, gli faceva segni di richiamo. Egli si diresse alla feritoia. I nostri tiratori scelti di bombe "Benaglia" a fucile, sembravano averlo sotto il loro tiro. Lo scoppio di una bomba lo investì ed egli cadde. Ma si rialzò, subito dopo. Nel settore, il fuoco era diventato generale. Dalla compagnia, si era propagato a tutto il battaglione, ai battaglioni laterali, oltre Monte Interrotto, fino alla Val d'Assa. Tutti sparavano: i nostri e gli austriaci. Sembrava che tutto il corpo d'armata fosse impegnato in combattimento. Solo le trincee del costone tacevano sempre.
Marrasi era sotto l'altro sbarramento di reticolati, a non più di due metri dalla trincea austriaca. Dalla grande feritoia, qualcuno doveva parlargli in italiano, perchè mi parve che una conversazione si svolgesse fra lui e la trincea. Egli cadde, mentre toccava il reticolato. Rimase affondato nella neve, il busto piegato, le braccia e le mani tese. Sul bersaglio ormai inanimato, il fuoco di tutta la trincea infuriava come prima. Ci volle del tempo prima che riuscissi a far cessare il fuoco nel nostro settore. E quando cessò, continuò ancora, a lungo, nei settori laterali.
Il telefono era
interrotto e comunicai per iscritto le novità al comando di
battaglione. Dovetti resistere, fino a sera, agli ordini del
comandante del reggimento che esigeva facessi uscire una pattuglia,
comandata da un ufficiale, per ritirare il cadavere e lavare, così,
l'onta del reggimento. Il colonnello finì col venire in linea per
accertarsi personalmente dell'esecuzione dell'ordine. Ma la
situazione non mutava per questo. Il cadavere era sempre là, a
trecento metri da noi, a due dal nemico. Ed era giorno. Il
colonnello insisteva ed io, visto vano ogni altro argomento, trovai
un rifugio letterario. Fresco delle letture d'Ariosto, citai, con
tutta serenità, l'episodio di Cloridano e Medoro:
Che sarebbe pensier non
troppo accorto
Perder dei vivi per
salvar un morto.
Il colonnello mi
rispose, secco, infliggendomi gli arresti. Ma la pattuglia non usci.
Calata la sera, al primo
razzo che tirammo, ci accorgemmo che il corpo di Marrasi era
scomparso.
(Emilio Lussu, Un anno
sull'Altipiano, Einaudi, p. 151-155)
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