15 giugno 2015

EMILIO LUSSU RICORDA LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Gian Maria Volontè in Uomini contro


Alcune pagine da “Un anno sull'Altipiano”. Scritto nel 1936 e pubblicato in Francia, dove l'autore viveva esule.  Una delle opere più importanti della nostra letteratura sulla prima guerra mondiale. Nel 1970 Rosi ne trasse il film “Uomini contro”.

Emilio Lussu

Morte di un disertore
Sul frastuono del colpi, si levava la voce da baritono del sergente Cosello:
- Sparate sul disertore!
La trincea nemica taceva.
Dovetti correre al telefono in trincea. Il comandante di battaglione mi chiamava per avere la spiegazione di quanto accadeva. Egli parlava eccitato:
- Che c’è? che c’è? Debbo mandare rincalzi?
Io lo rassicurai:
- Ma  no. Un soldato sta passando al nemico, solo, senza armi, e la compagnia tira su di lui. Gli austriaci per non spaventarlo, non sparano.
- Un disonore simile sul battaglione!
- Lo so, lo so: non lo stia a raccontare a me. Che ci posso fare?
- Me lo rimandi indietro, vivo o morto!
- Eh, vivo, sarà difficile. Sparano tutti su di lui.
- Tanto meglio. Meglio morto. Me lo mandi morto.
- Sta bene. Posso andare?
- Sì, vada pure e mi dia le novità al più presto.
                Emilio Lussu, tenente di fanteria
Io ritornai alla feritoia. Al fuoco della compagnia s’era aggiunto quello delle due mitragliatrici del batta­glione. Marrasi continuava ad avanzare, ma con molta difficoltà. Superata la vallata, il terreno era ripido e la neve sempre alta. Io mi stupivo ch’egli non fosse ancora caduto, quando m’accorsi che, dietro di lui, ad una cin­quantina di metri, anch’egli sprofondato nella neve, camminava il sergente Cosello. Impugnava il fucile con le due mani e, ad ogni passo, tirava un colpo su Marrasi. Ma questi non cadeva. Con tutta la mia voce, ordinai al sergente di rientrare in trincea.

Il sergente si fermò. Era in piedi, in mezzo alla vallata. Io temevo che gli austriaci tirassero su di lui e ripetei l’ordine. Gli austriaci non sparavano.
Egli si voltò e mi gridò:
- Signor sì!
Aveva le gambe sepolte nella neve. Da fermo, puntò lungamente e sparò tutto il caricatore sul disertore. Questi cadde e si rovesciò sulla neve. Io lo credetti col­pito. Ma, dopo qualche istante, si rialzò e riprese ad avanzare. Tutta la linea continuava a sparare su di lui.
Marrasi camminava. Anche il sergente, ch’era un tira­tore scelto, l’aveva sbagliato. Ho sempre notato che, nei momenti d’eccitazione, i soldati guardano e sparano ad occhi aperti senza puntare.
Il sergente rientrò. Venne da me, coperto di sudore. Parlava a fatica:
- Che vergogna! Che disonore! - diceva ansante. - Il 2° plotone è disonorato.
Il 2° plotone era disonorato. La compagnia era diso­norata. Il battaglione era disonorato. Fra poco, si sareb­bero considerati disonorati il reggimento, la brigata, la divisione, il corpo d’armata e, con ogni probabilità, tut­ta l’armata. Marrasi continuava ad avanzare.
Il piantone al telefono venne di corsa per dirmi che il comandante di battaglione mi chiamava nuovamente, perché il comandante del reggimento voleva essere mes­so al corrente.
- Rispondi che sono in trincea e non mi posso allon­tanare. Che verrò tra poco.
    Edizione originale
Il piantone disparve.
Marrasi s’allontanava sempre più da noi. Gli  austriaci avevano due sbarramenti di reticolati di fronte alle loro trincee. Egli era arrivato al primo. La neve lo copriva pressoché intieramente, ma l’ostacolo era egualmente insormontabile. S’aggrappò ai fili, li scosse, tentò scaval­carli, ma inutilmente. Capì che non sarebbe potuto pas­sare. Scoraggiato, si fermò un istante e si strinse la testa fra le mani. Sembrava gli mancasse ormai la forza di continuare. Fece qualche passo attorno allo stesso pun­to, disperato. Così, egli girava attorno a se stesso, sper­duto, ma invulnerabile, sotto il tiro dei nostri.
Marrasi si riprese. Risolutamente, camminò verso un albero che era a pochi metri da lui. Questo era lungo la linea dei reticolati, al di fuori, verso di noi, e gli austriaci vi avevano appoggiato un cavallo di frisia, dall’altra parte. Marrasi si slacciò il cinturone che aveva ancora alla cinto­la, con le due giberne. Agilmente, si arrampicò al tronco. Non era più impacciato. Era già a qualche metro da terra. Dall’alto, spiccò un salto e si sprofondò nella neve, al di là del reticolati. Il primo sbarramento era passato.
I nostri sparavano sempre. Gli austriaci tacevano.
...
Fra le tante fucilate e i tiri delle mitragliatrici, Marrasi riprese ad avanzare. L'ultimo tratto, il più ripido, era il più faticoso. La trincea nemica era a pochi metri. Da una grande feritoia, una mano, gli faceva segni di richiamo. Egli si diresse alla feritoia. I nostri tiratori scelti di bombe "Benaglia" a fucile, sembravano averlo sotto il loro tiro. Lo scoppio di una bomba lo investì ed egli cadde. Ma si rialzò, subito dopo. Nel settore, il fuoco era diventato generale. Dalla compagnia, si era propagato a tutto il battaglione, ai battaglioni laterali, oltre Monte Interrotto, fino alla Val d'Assa. Tutti sparavano: i nostri e gli austriaci. Sembrava che tutto il corpo d'armata fosse impegnato in combattimento. Solo le trincee del costone tacevano sempre.

Marrasi era sotto l'altro sbarramento di reticolati, a non più di due metri dalla trincea austriaca. Dalla grande feritoia, qualcuno doveva parlargli in italiano, perchè mi parve che una conversazione si svolgesse fra lui e la trincea. Egli cadde, mentre toccava il reticolato. Rimase affondato nella neve, il busto piegato, le braccia e le mani tese. Sul bersaglio ormai inanimato, il fuoco di tutta la trincea infuriava come prima. Ci volle del tempo prima che riuscissi a far cessare il fuoco nel nostro settore. E quando cessò, continuò ancora, a lungo, nei settori laterali.
Il telefono era interrotto e comunicai per iscritto le novità al comando di battaglione. Dovetti resistere, fino a sera, agli ordini del comandante del reggimento che esigeva facessi uscire una pattuglia, comandata da un ufficiale, per ritirare il cadavere e lavare, così, l'onta del reggimento. Il colonnello finì col venire in linea per accertarsi personalmente dell'esecuzione dell'ordine. Ma la situazione non mutava per questo. Il cadavere era sempre là, a trecento metri da noi, a due dal nemico. Ed era giorno. Il colonnello insisteva ed io, visto vano ogni altro argomento, trovai un rifugio letterario. Fresco delle letture d'Ariosto, citai, con tutta serenità, l'episodio di Cloridano e Medoro:
Che sarebbe pensier non troppo accorto
Perder dei vivi per salvar un morto.
Il colonnello mi rispose, secco, infliggendomi gli arresti. Ma la pattuglia non usci.
Calata la sera, al primo razzo che tirammo, ci accorgemmo che il corpo di Marrasi era scomparso.
(Emilio Lussu, Un anno sull'Altipiano, Einaudi, p. 151-155)

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