25 giugno 2015

STORIA DEI VALDESI


Breve storia dei Valdesi, massacrati per secoli dai Savoia e dalla Chiesa.

Agostino Paravicini Bagliani

Dall’accusa di eresia ai massacri


Francesco ha visitato ieri il tempio valdese a Torino: un’altra importante novità del suo pontificato. Nessun papa prima di lui era entrato in una chiesa valdese. Così la rivisitazione critica del passato da parte del Vaticano continua: trent’anni fa (1986) Giovanni Paolo II, aveva visitato per la prima volta una sinagoga.

Rivolgendosi ai valdesi, il papa ha chiesto perdono «da parte della Chiesa cattolica» per «gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi».

Atteggiamenti non cristiani, contese e violenze costituiscono di fatto la trama centrale della lunga secolare storia dei rapporti tra Chiesa cattolica e Valdesi. Il fondatore del movimento, quel ricco mercante di Lione di nome Valdo che nel 1173 decise di vendere tutti i suoi beni per vivere con i suoi seguaci una vita cristiana intensa, fondata su concetti chiave come la lettura della Bibbia, era in ottimi rapporti con l’arcivescovo di Lione, Guichard.

Qualche anno dopo, 1179, si recò a Roma — come farà più tardi Francesco d’Assisi — per chiedere al Papa un’approvazione della propria visione di vita cristiana. Il collegio di tre ecclesiastici incaricato di esaminare i suoi propositi non approvò. Uno di loro, l’inglese Walter Map darà un giudiziosprezzante: «(Valdo e i suoi seguaci) si credevano degli esperti mentre erano a mala pena dei saccenti. Simili a uccelli che, non vedendo la trappola, s’immaginano sempre di poter prendere il volo».

Saccenti: l’accusa nascondeva una paura profonda della Chiesa di allora, quella di perdere il controllo della lettura della Bibbia. Valdo voleva poter predicare, anche da laico, la parola del Vangelo, e per questo aveva fatto tradurre in franco-provenzale alcuni libri della Bibbia. Come più tardi Francesco d’Assisi, Valdo voleva vivere una vita di povertà «andando di porta in porta... mendicando il sostentamento».


Cacciato dal nuovo vescovo di Lione, Valdo venne bandito dalla comunità cristiana: la scomunica sarà pronunciata nel 1184, concilio di Verona, per quella sua «presunzione di volere predicare in pubblico».

Ma il movimento valdese conobbe una rapida espansione verso il Mezzogiorno di Francia. E in Italia si costituirono comunità in Piemonte, Lombardia, persino Puglia e Calabria. Così anche nel mondo germanico, Polonia e Boemia. Le comunità si organizzarono con strutture ancor oggi valide, ma dovettero vivere in clandestinità per non incorrere nell’Inquisizione.

Repressioni sistematiche furono organizzate nel Cinquecento, perché le comunità valdesi, fin dal 1522 (sinodo di Chanforan), avevano aderito alla riforma protestante calvinista. Nel giugno 1561 un migliaio di Valdesi furono massacrati dalle truppe del Regno di Napoli. Persecuzioni avvennero anche in Puglia. In Piemonte, la Pace di Cavour (1561) salvò le comunità valdesi che dovettero però vivere in valli isolate e di confine, al di sopra dei 700 metri.

Secondo un editto del 25 gennaio 1655 i Valdesi avrebbero dovuto trasferirsi più a monte, vendere i loro beni o convertirsi al cattolicesimo. Per far rispettare la decisione, il marchese di Pianezza, con l’approvazione del Papa diede l’assalto all’alba del 25 aprile. La strage delle Pasque Piemontesi fece 1.712 morti; 148 bambini furono affidati a famiglie cattoliche. Secondo il marchese, però, si era riusciti a purgare «interamente questo si bel paese dall’infettione dell’eresia et della ribellione».

La promulgazione dell’editto di Nantes (1685) spinse lo Stato sabaudo a cacciare i Valdesi dalle loro valli. Più di duemila persone trovarono rifiugio nella Ginevra protestante. Altri migrarono verso la Germania protestante. Una quindicina di famiglia in fuga fondarono nel 1698 un villaggio nel Baden-Württenberg che ricorda ancor oggi il nome valdese: Walldorf.

Nel 1689 un migliaio di Valdesi, sostenuti dal re d’Inghilterra Guglielmo III d’Orange, poterono rientrare nelle loro valli, pur rimanendo confinati. Fu il «Glorioso rimpatrio». Ma soltanto nel 1848, a pochi anni dall’Unità d’Italia, Carlo Alberto riconoscerà loro diritti civili e politici.

Le repressioni erano cessate da tempo, ma non tutti gli «atteggiamenti » di incomprensione di cui ha parlato Francesco.


La Repubblica – 23 giugno 2015

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