L’archeologo Andrea
Carandini dedica un saggio a Isaiah Berlin, studioso liberale seguace
di Kant e avversario di un illuminismo di maniera incapace di vedere
la complessità (ambigua e contradditoria) del reale.
Giancarlo Bosetti
Isaiah Berlin il
filosofo del legno storto
Archeologo consacrato dagli scavi e dall’accademia, con una vastissima bibliografia alle spalle, Andrea Carandini si è imbattuto, «tardivamente» — confessa con qualche rimpianto — nel pensiero di Isaiah Berlin, il grande autore russo, di Riga, ebreo, poi inglese, scomparso nel 1997. Il ritardo ha reso l’impatto più forte e forse anche più efficace, come un inatteso giacimento di resti antichi che costringe a ridisegnare le mappe conosciute. Ne è nato un seducente “Paesaggio di idee. Tre anni con Isaiah Berlin” ( Rubbettino), che è insieme racconto di una scoperta e guida sapiente a un liberalismo aggiornato alle tempeste culturali del nostro tempo.
L’incontro con questo straordinario storico delle idee e con il suo «pluralismo dei valori» costringe chiunque, presto o tardi, a fare e rifare i conti con la propria visione del mondo, specialmente quando si affronta il Berlin di Controcorrente, l’«anti-illuminista», quello che generalmente la cultura liberal, progressista, italiana (e non solo) ha faticato a comprendere a causa dello sconcerto in cui Sir Isaiah amava gettare i cultori dei Lumi, i devoti di Voltaire e Condorcet.
Perché proprio lui,
nemico dell’utopia sociale perfezionista, kantiano fino in fondo e
tenacemente affezionato all’idea kantiana del «legno storto» (del
quale l’umanità è fatta, per cui non se ne caverà «mai niente
di interamente diritto»), proponeva poi quasi come un suo eroe
Johann Georg Hamann, il concittadino di Koenigsberg, che di Kant fu
un accanito avversario filosofico? Perché tanto interesse e tanta
curiosità per i nemici del razionalismo e per i precursori dello
storicismo come Vico, Herder e tutto lo Sturm und Drang?
La verità è che
quell’aggettivo, «anti- illuminista», che Berlin indossava con
divertimento, va messo tra molte virgolette perché alla fine si
rivelerà proprio sbagliato, ovvero una sottile astuzia da scrittore,
un artificio narrativo per smascherare il «monismo» degli
illuministi, e cioè la convinzione che a tante domande di verità,
di giustizia, di bene vi sia poi sempre una unica risposta; la
certezza, sottintesa, che il tracciato della ricerca di questa
verità, non importa quanto lunga (è la philosophia perennis ), sia
poi destinata ad avvicinarsi a un unico approdo: una la verità,
molti gli errori.
Al contrario con il
Machiavelli di Berlin, con il suo Vico e il suo Herder, la scoperta
spaesante è quella che diverse sono le verità, in cui diverse
culture si imbattono, e sempre uno solo l’errore di considerare la
propria un valore esclusivo, «superiore ». Diverse sono le virtù e
le idee di bene che diversi popoli e diverse epoche tengono in alta
considerazione. E così il conflitto che troviamo dietro ogni angolo
non è tra il bene e il male, ma tra diverse interpretazioni, diverse
preferenze per i beni, i valori, le virtù più alte.
Carandini ha percorso tutto il cammino che conduce alla scoperta della funzione critica che Berlin attribuisce al Romanticismo e gli ha dedicato tre anni di intenso approfondimento. La professione di «dilettantismo » che l’autore esibisce va presa dunque decisamente come la civetteria di un professionista del lavoro intellettuale, storico oltre che archeologo.
Del resto anche Berlin,
che nella sua vita si impegnò in varie discipline — critica
letteraria, filosofia politica, storia e storia delle idee, per non
dire del suo lavoro per l’intelligence britannica nel tempo di
guerra — si definiva un dilettante, anche se lasciava spesso un
segno più forte di tanti specialisti in varie discipline.
Il fatto è questo volume si offre ora come una lettura ricca e completa del nucleo più caldo del pluralismo culturale berliniano e dei suoi maggiori interpreti (belle pagine sul rapporto Bobbio-Berlin, splendida la stroncatura della polemica anti-Berlin di Zeev Sternhell) ed apre lo sguardo verso gli sviluppi possibili di un liberalismo pluralista e agonistico, riallineato ai tempi e non viziato dal «monismo», eurocentrico, delle sue versioni convenzionali.
Il libro orienta anche il
lettore tra gli sviluppi del liberalismo post-Berlin di Joseph Raz e
John Gray, ma soprattutto ha il merito di incorporare e far sua la
narrativa travolgente con cui Berlin «sceneggiava » le sue
scoperte, nel paesaggio delle idee, con tutte le conseguenze che esse
avevano e avranno.
La Repubblica – 10
giugno 2015
Andrea Carandini
Paesaggio di idee
Rubbettino, 2015
euro 19
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