Ph, di Giuseppe Casarrubea
Per farsi un’idea dello spessore umano di Giuseppe
Casarrubea invito tutti a leggere l’ultimo pezzo che ha scritto e pubblicato lo scorso 13
maggio sul suo amato blog https://casarrubea.wordpress.com/2015/05/13/personaggi/.
Colpisce, tra le altre cose, l’ammirevole distacco con
cui è riuscito a parlare della sua dolorosa esperienza ospedaliera, mettendo in primo piano
le sofferenze degli altri ed il prezioso lavoro svolto da medici, infermieri e
tutto il personale socio-assistenziale.
Stasera non voglio aggiungere altro; mi sento tanto triste e più solo che mai.
di Giuseppe Casarrubea
Gli uomini hanno una caratteristica di cui durante
tutta la loro vita non si accorgono. Da giovani o da persone più mature amano
borse, borsellini, borsoni, borselli. Da anziani, però, si riducono con la
borsa delle loro urine in mano.
E’ l’impatto con la malattia. A prescindere da tale
caratteristica, comunque, esiste un popolo di ammalati che la società considera
ai propri margini perché gli anziani sono considerati, anche dallo Stato,
improduttivi, pensionati, da mandare in “quiescenza”. In realtà, però,
l’ospedale è un osservatorio importante dell’andamento della società, e non
solo in riferimento agli anziani o a qualche tipologia patologica. Se ci si sta
dentro qualche giorno si scoprono realtà imprevedibili. Ad esempio personaggi
che sembrano usciti da un mondo reale impensabile. Solo l’incontro con questo
mondo ti consente di capire meglio gli uomini. In ospedale essi abbandonano le
loro maschere tradizionali e sono solo se stessi, esposti come esseri senza
protezione. A differenza della variegata popolazione scolastica, quella che
abita gli ospedali non mistifica. Dentro ci sono i personaggi più vari.
Artigiani, disoccupati, pensionati, impiegati e via di seguito. Ciascuno di
loro è portatore di una storia, che si esprime attraverso la patologia: punto
nodale di una lunga cronologia di comportamenti. Così c’è anche il fontaniere
al quale è stato tolto un tumore perché aveva respirato per anni polveri di
eternit. Un tipo bizzarro che millanta di aver fatto centinaia di chilometri al
giorno con la bicicletta, di avere viaggiato in tutto il mondo e che suo padre
percorreva a piedi da Palermo a Piana degli Albanesi come fosse una passeggiata,
e che lui, grazie alle bombolette di aerosol che i medici non hanno voluto
procurargli, ritenendole nocive, era uno dei più grandi atleti del momento. La
sua seconda vita l’ha vissuta in Belgio dove ha due figli. Gli altri due in
Italia. E’ alto, portatore di una tradizione religiosa antica che richiama il
Natale e altre feste. Parla sempre in dialetto, con tono di voce alto e ce l’ha
con i medici, con gli stupidi e le persone impreparate. A suo modo di vedere
lui ne sa molto di più. E così si potrebbe continuare con tanti altri
personaggi, alcuni assai pittoreschi altri meno, che popolano giornalmente le
corsie e le stanze degli ospedali.
In questo mondo in primo piano ci sono i medici e gli
infermieri che qui, alla U.O. di Medicina Clinica e Respiratoria sono giovani e
molto preparati. Essi hanno saputo costruire, nel tempo, un amichevole rapporto
con gli ammalati, rendendoli partecipi del piano terapeutico loro riservato.
Dietro questo livello primario compaiono sulla ribalta un numero notevole di volontari,
apprendisti, tirocinanti, studenti, crocerossine e, in ultimo, gli erogatori di
alcuni servizi come quello gastronomico.
Ignorare questa realtà della vita quotidiana è da
folli perché questo mondo è ricco di insegnamenti e ci aiuta a capire che non
tutto nella società e nelle istituzioni è da buttare come spesso siamo soliti
fare senza cognizione di causa.
Pubblicato
il 13 maggio
2015
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