02 aprile 2024

L' IDEA MESSIANICA NELLA CULTURA EBRAICA (Agamben, Benjamin, Bloch, Scholem, ecc.)

 

H. Bosch, Il giardino delle delizie


Giuseppe Zuccarino

Agamben e il regno messianico

1. Uno dei concetti fondamentali del pensiero religioso ebraico è quello del messianismo. Pur essendo stato inteso, nel corso dei secoli, in maniere diverse, esso prevede in sostanza che il futuro avvento del Messia coinciderà con l’instaurazione, per un lungo periodo temporale, di un regno messianico. Come ha spiegato Gershom Scholem, non si tratta, come potrebbe sembrare, di una concezione irenica: «Gli elementi catastrofici e le visioni della fine sono presenti in maniera singolare nella visione messianica. Da un lato vengono collegati alla transizione o alla distruzione in cui nasce la redenzione messianica – donde l’applicazione a questo periodo del concetto ebraico dei “dolori del parto del Messia”. Ma, d’altro lato, sono collegati al terrore del Giudizio Finale […]. E così allo sguardo dell’apocalittico l’utopia messianica può spesso diventare duplice. Il nuovo eone e i Giorni del Messia non sono più tutt’uno (come ancora in alcuni scritti di questa letteratura); piuttosto, si riferiscono a due periodi, dei quali l’uno, il regno del Messia, appartiene in realtà ancora a questo mondo; l’altro, invece, appartiene già interamente al nuovo eone, che comincia con il Giudizio Finale»1.

Ciò non impedisce, specie nell’ambito della Qabbalah, la permanenza di una concezione di tipo utopico: «Il modello di un’umanità rinnovata e di un rinnovato regno di Davide o di un discendente di Davide, che rappresenta l’eredità profetica dell’utopismo messianico, è assai spesso combinato dagli apocalittici e dai mistici con una condizione rinnovata della natura e anche del cosmo nel suo complesso»2. Secondo i cabbalisti della scuola di Safed (il cui principale esponente è Yitzhaq Luria), l’uomo può contribuire attivamente al compiersi di tale processo: «Dopo che abbiamo adempiuto ai nostri doveri e che l’emendazione è completata, e che tutte le cose sono tornate a occupare il posto loro proprio nello schema universale, la redenzione arriverà spontaneamente. Redenzione significa semplicemente lo stato perfetto, un mondo senza difetti e armonioso in cui ogni cosa occupa il posto giusto»3.

L’eredità di questa concezione si ritrova anche nelle opere di certi filosofi ebrei del Novecento, e in una forma particolare. Così, a conclusione di una delle storie narrate nel suo volume Tracce, Ernst Bloch sostiene che un rabbino, «un vero cabbalista, disse una volta: per instaurare il regno della pace non è necessario distruggere tutto e dare inizio a un mondo completamente nuovo; basta spostare solo un pochino questa tazza o quell’arbusto o quella pietra, e così tutte le cose. Ma questo pochino è così difficile da realizzare e la sua misura così difficile da trovare che, per quanto riguarda il mondo, gli uomini non ce la fanno ed è necessario che arrivi il Messia»4. Un’idea assai simile si ritrova, due anni dopo, in un testo di Walter Benjamin, Sotto il sole. Vi si legge: «Esiste tra i chassidim a proposito del mondo che verrà un detto che dice: lì tutto verrà disposto come da noi. Com’è la nostra stanza, così essa sarà anche nel mondo che verrà; dove il nostro bambino dorme ora, lì dormirà anche nel mondo che verrà. Quel che abbiamo addosso in questo mondo, lo porteremo anche nel mondo che verrà. Tutto sarà come qui – appena appena diverso»5. In questo passo, del Messia non si parla esplicitamente, ma il richiamo al chassidismo e l’espressione «il mondo che verrà» non lasciano dubbi sul fatto che si stia alludendo al regno messianico. Lo conferma, del resto, un accenno presente nel celebre saggio benjaminiano su Kafka, nel quale si afferma che la vita distorta svanirà «quando verrà il Messia, di cui un gran rabbino ha detto che non intende mutare il mondo con la violenza, ma solo aggiustarlo di pochissimo»6.

Notiamo per inciso che Benjamin, ottimo conoscitore del romanticismo tedesco, avrebbe potuto trovare un’idea analoga espressa da uno dei maggiori esponenti di esso, vale a dire Novalis: «Nel mondo futuro tutto è come nel mondo che fu – eppure tutto è assolutamente diverso»7. Nella sua tesi di laurea, Benjamin aveva sostenuto che l’essenza del pensiero dei romantici, e in particolare di Friedrich Schlegel, era «da cercare nel messianismo»8. Egli citava, a conferma, uno dei frammenti schlegeliani: «Il desiderio rivoluzionario di realizzare il regno di Dio è il punto elastico della cultura progressiva e l’inizio della storia moderna. Ciò che in essa non sta in nessuna relazione con il regno di Dio è solo una cosa secondaria»9. Ma qui era in causa un messianismo pensato, sia pure in termini innovativi, nell’ambito del cristianesimo.

Torniamo invece all’ebraismo. Quando Scholem riceve dall’amico Benjamin il manoscritto del saggio su Kafka, si accorge del fatto che alcune storie riferite in quel testo si trovano anche nelle Tracce blochiane, e chiede al suo interlocutore epistolare: «Da dove vengono in realtà tutti quei racconti: è Ernst Bloch che li ha presi da te o tu da lui?». Ci tiene poi a fare una precisazione: «Il grande rabbino che compare anche in Bloch con la sua massima profonda sul regno messianico sono io stesso; è così che si arriva alla gloria!! È stata una delle mie prime idee sulla Qabbalah»10. Nell’annotare la propria lettera al momento della sua pubblicazione nel 1980, Scholem richiama anche il testo Sotto il sole, dicendo che in quel caso Benjamin aveva citato «proprio alla lettera […] la mia formulazione: “Tutto sarà come qui – solo leggermente diverso”», e aggiunge ironicamente: «Ho imparato a quali onori si può assurgere con una frase apocrifa»11. In effetti, come ha notato Saverio Campanini, l’espressione «tutto sarà come qui – solo leggermente diverso» non si trova in alcun testo di Scholem edito prima del 1930, ma è vero che in una delle varie stesure delle sue giovanili Tesi sul concetto di giustizia (pubblicata postuma nel 2003), compare la frase seguente: «Il mondo messianico avrà lo stesso identico aspetto di questo, solo appena diverso»12. Stando ai ricordi di Scholem, egli potrebbe aver letto il testo a Benjamin nel 1918. (…)

CONTINUA

Note


1 G. Scholem, Per comprendere l’idea messianica nell’ebraismo (1959), in L’idea messianica nell’ebraismo e altri saggi sulla spiritualità ebraica, tr. it. Milano, Adelphi, 2008, p. 19.

2 Ivi, pp. 24-25.

3 L’idea messianica nella Qabbalah (1946), ivi, p. 57.

4 E. Bloch, La mano felice, in Tracce (1930), tr. it. Milano, Coliseum, 1989, p. 216.

5 W. Benjamin, Sotto il sole (1932), in Opere complete, tr. it. Torino, Einaudi, 2000-2014 (d’ora in poi abbreviato in O. C.), vol. V, p. 329.

6 Franz Kafka. Nel decennale della morte (1934), in O. C., vol. VI, p. 147. Anche in uno degli appunti di Benjamin per il saggio, rimasti inediti durante la sua vita, viene richiamata la «tradizione ebraica secondo cui il mondo, con la venuta del Messia, non verrà trasformato radicalmente, ma dovrà solo essere in tutto “un po’” diverso da come era prima» (Paralipomena, in O. C., vol. VIII, p. 367).

7 Novalis, L’«Allgemeines Brouillon» (1798-99), in Opera filosofica, tr. it. Torino, Einaudi, 1993, vol. II, p. 308.

8 Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (1919), in O. C., vol. I, p. 355.

9 F. Schlegel, Frammenti dall’«Athenaeum» (1798), in Frammenti critici e poetici, tr. it. Torino, Einaudi, 1998, p. 54.

10 G. Scholem, lettera del 9 luglio 1934, in W. Benjamin – G. Scholem, Archivio e camera oscura. Carteggio 1932-1940, tr. it. Milano, Adelphi, 2019, p. 179.

11 Ivi, p. 182.

12 La frase viene riportata in S. Campanini, Ombre cinesi, ivi, p. 415, ma l’intricata questione delle priorità, e delle possibili fonti ebraiche, è oggetto di una più ampia analisi alle pp. 409-417.

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Il saggio di Giuseppe Zuccarino,
Agamben e il regno messianico,
sarà pubblicato in “Quaderni delle Officine”,
vol. CXXXV, aprile 2024.


Pezzo ripreso da: https://rebstein.wordpress.com/2024/04/03/agamben-e-il-regno-messianico/


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