30 marzo 2013

OMAGGIO A ENZO JANNACCI


E' morto un poeta, un uomo che guardava il mondo con uno sguardo stralunato e triste che veniva da lontano e aveva un solletico dolce nel cuore. Ha cantato la Milano del miracolo economico e delle periferie. La vita piccola di piccola gente. Storie di giovani operai e di balordi in una città nebbiosa e ancora povera circondata dalle fabbriche. Dove la gente si conosceva e aveva ancora un senso vivere.

Trascriviamo di seguito i testi di alcune sue celebri canzoni:


Quando il sipario calerà
Quando il sipario calerà
io me ne andrò
ed ogni luce svanirà
io me ne andrò
tu piangerai
lei riderà
certo qualcuno mi odierà
ma lo spettacolo è finito

me ne andrò
io, io me ne andrò

Quando il sipario calerà
io me ne andrò
ed ogni luce svanirà
io me ne andrò
qualcuno il piano chiuderà
l'elettricista chiederà
"ma ... vale tanto una canzone?"
ma chi lo sa
ma chi lo sa

 
E domani
e domani
tanta gente come voi
forse verrà
e di domani
in domani
lo spettacolo
si rinnoverà


Gente che conta
e che mi guarda vi dirà
"un saltimbanco che ringrazia
fa pietà"
pensate un po' come vi pare
io ci ho provato con le buone
se uno comincia una canzone
la finirà
la finirà

 


Vincenzina e la fabbrica

Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più.
Una faccia davanti al cancello che si apre già.
Vincenzina hai guardato la fabbrica,
come se non c'è altro che fabbrica
e hai sentito anche odor di pulito
e la fatica è dentro là...
Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui,
sto Rivera che ormai non mi segna più,
che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua.
Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
e non sa che la vita giù in fabbrica
non c'è, se c'è com'è ?


El purtava i scarp de tennis

Che scuse', ma mi vori cuntav
d'un me amis che l'era anda a fa'l bagn
sul stradun, per andare all'idroscalo
l'era li', e l'amore lo colpi'.
El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva gia' da tempo un bel sogno d'amore.
El purtava i scarp de tennis, el g'aveva du occ de bun
l'era il prim a mena via, perche' l'era un barbun.
Un bel di', che l'era dre' a parla'
de per lu, l'aveva vista passa'
bianca e rossa, che pareva il tricolore
ma po lu, l'e' sta bon pu' de parla'.
El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva gia' da tempo un bel sogno d'amore.
El purtava i scarp de tennis, el g'aveva du occ de bun
l'era il prim a mena via, perche' l'era un barbon. 

(parlato)Un bel di a che'l pover diavul che riva na machina, ven giu' vun e domanda: "Ohe'!" "Chi a mi?" "Si', a lu, savaria, savaria no per piasee' la strada per andare all'aeroporto Forlanini?" "No, signore non sono mai stato io all'aeroporto Forlanini,non lo so in due l'e'." "La strada per andare all'Idroscalo, almeno, la conosce?" Si, l'Idroscalo al so in dua l'e', al meni mi all'Idroscalo, vengo su anch'io sulla macchina, e' forte questa, e' forte la macchina. "Lasa sta la machina barbon." "No, signore vengo anch'io sulla macchina, non sono mai stato su una macchina io, Bella questa macchina...Ferma signore, che'l me lasa, che'l me lasa giu chi che sono arrivato,un piasee' che'l se ferma chi.
(cantato) Un piasee', ch'el me lasa gio' chi
che anca mi mi go avu il mio grande amore
roba minima, s'intend, s'intend roba da barbon.
El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
rincorreva gia' da tempo un bel sogno d'amore.
El purtava i scarp de tennis, el g'aveva du occ de bun
l'era il prim a mena via, perche' l'era un barbon.
L'an trova, sota a un muc de carton
l'an guarda' che'l pareva nisun
l'an tuca che'l pareva che'l durmiva
lasa sta che l'e' roba de barbon.
El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
el purtava i scarp de tennis, perche' l'era un barbun,
el purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
el purtava i scarp de tennis, perche' l'era un barbun...



Io e te

Io e te, io e te che ridevamo 
io e te che sapevamo
tutto il mondo era un bidone da far rotolare..
sì perchè, la bellezza dei vent'anni è poter non dare retta
a chi pretende di spiegarti l'avvenire, e poi il lavoro e poi l'amore..
sì ma quì, che l'amore si fa in tre, che lavoro non ce n'è
l'avvenire è un buco nero in fondo al dramma
Sì, ma allora, ma che gioventù che è, ma che primavera è..
e la tristezza è lì a due passi, e ti accarezza e ride, lei
Sì ma quì, che l'amore si fa in tre, che lavoro non ce n'è
l'avvenire è un buco nero in fondo al dramma
Sì, ma allora, ma che gioventù che è, ma che primavera è..
e la tristezza è lì a due passi, e ti accarezza e ride, lei  



L'Armando

Tatta tira tira tira tatta tera tera ta
Era quasi verso sera
se ero dietro, stavo andando
che si è aperta la portiera è caduto giù l'Armando.
Commissario, sa l'Armando era proprio il mio gemello,
però ci volevo bene come fosse mio fratello.
Stessa strada, stessa osteria,
stessa donna, una sola, la mia.
Macché delitto di gelosia,
io c'ho l'alibi a quell'ora sono sempre all'osteria.
Era quasi verso sera, se ero dietro stavo andando
che si è aperta la portiera è caduto giù l'Armando.
Tira ta tira...
Commissario, sa l'Armando mi picchiava col martello,
mi picchiava qui sugli occhi per sembrare lui il più bello.
Per far ridere gli amici, mi buttava giù dal ponte
ma per non bagnarmi tutto
mi buttava dov'è asciutto.
Ma che dice, che l'han trovato
senza scarpe, denudato, già sbarbato?
Ma che dice, che gli han trovato
un coltello con la lama di sei dita nel costato?
Commissario, 'sto coltello non lo nego, è roba mia,
ma ci ho l'alibi a quell'ora sono sempre all'osteria.
Tira ta tira...
Era quasi verso sera
se ero dietro, stavo andando
che si è aperta la portiera
ho cacciato giù... pardon... è caduto giù l'Armando.
Tira ta tira....





 










LA PASSIONE DI ROSA BALISTRERI


IL VANGELO DI PASOLINI



Dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia ricevo, e molto volentieri pubblico, il programma della giornata:

venerdì 5 aprile 2013
ore 18.00

Centro Studi Pier Paolo Pasolini – Casarsa della Delizia
Proiezione
ALBUM  (documentario, Spagna 2012, 37’) di Valeria Patanè
a seguire, incontro con Valeria Patané e Giacomo Morante.
 Giacomo Morante aveva 15 anni quando fu scelto da Pier Paolo Pasolini per interpretare Giovanni, l’apostolo giovane, per Il Vangelo secondo Matteo. A 48 anni di distanza dal set del film, Giacomo parte da Madrid con sua figlia Susanna per andare a trovare Enrique Irazoqui, il Cristo di Pasolini, a Cadaqués (Costa Brava). Durante il viaggio il padre racconta alla figlia come ha vissuto l’esperienza ed entra in molti dettagli della preparazione e del set del film. L’incontro con Enrique Irazoqui, il Cristo, è occasione per ricordare molti di coloro che parteciparono alla realizzazione del film accanto a Pier Paolo Pasolini e a Elsa Morante, per raccontare aneddoti e per riflettere sul la loro amicizia.
venerdì 5 aprile 2013
ore 20.30

Cinemazero – Pordenone
Proiezione 
IL VANGELO SECONDO MATTEO (Italia 1962, 142’) di Pier Paolo Pasolini 
intervengono i protagonisti Enrique Irazoqui (Gesù) e Giacomo Morante (Giovanni)
Padre Virgilio Fantuzzi (critico cinematografico, “La civiltà Cattolica”)
Roberto Chiesi (Centro Studi – Archivio Pasolini, Cineteca di Bologna)
modera Angela Felice (Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia)
Ingresso unico: 5 euro

Il Vangelo secondo Matteo

Regia e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Fotografia: Tonino Delli Colli. Scenografia: Luigi Scaccianoce, Dante Ferretti
Costumi: Danilo Donati. Montaggio: Nino Baragli
Musica: Luis E. Bacalov e da J. S. Bach, W. A. Mozart, S. Prokofiev, A. Webern,
“Missa Luba congolese”, Negro Spirituals, Canti Rivoluzionari Russi.
Produttore: Alfredo Bini.
Interpreti
Enrique Irazoqui (Gesù Cristo), Margherita Caruso e Susanna Pasolini (Maria),
Marcello Morante (Giuseppe), Mario Socrate (Giovanni Battista), Settimio Di Porto (Pietro),
Alfonso Gatto (Andrea), Natalia Ginzburg (Maria di Betania), Enzo Siciliano (Simone),
Otello Sestili (Giuda), Paola Tedesco (Salomè), Ninetto Davoli (Pastorello).
Biblico scandalo, Pasolini e il Vangelo, il diavolo e l’acqua santa.
Quando il suo film apparve alla Mostra di Venezia e poi nelle sale, nel 1964, molti censori e nemici erano pronti a impallinare lo scrittore di sinistra dei ragazzi di vita, ma la persuasiva bellezza del film e il suo silenzioso respiro mistico vinsero su facili polemiche. Il Vangelo secondo Matteo, dedicato dall’autore “Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”, rispecchia, nell’iconografia barbarica dei costumi e nelle immagini da pittura rinascimentale, la violenza del messaggio, la Parola non sempre pacificatrice di Gesù, nel rispetto della più grande Storia mai raccontata. Per Pasolini anche un Accattone o Mamma Roma potevano soffrire come Cristo e ribellarsi come lui alle ingiustizie del mondo, in una extra-temporalità. In una scarna semplicità narrativa, con la macchina da presa a mano che salta, si anima e s’arrabbia come fosse viva, il film si avvale della presenza maternamente dolorosa di Susanna Pasolini, Madonna anziana, comunicazione di un dolore universale. E poi molti letterati sono coinvolti, dalla Ginzburg a Siciliano e a Gatto. Ma il film è persuasivo soprattutto per il taglio poetico, per la voglia di giustizia, per il vento che risuona tra le parole e le espressioni del volto dell’inedito attore Enrique Irazoqui, doppiato con la voce prepotente di Enrico Maria Salerno. Ci commuove per lo sguardo innocente e contagioso dei bambini, per la violenza espressiva del montaggio, per la povertà primitiva dei paesaggi inerpicati su picchi e rocce (di Matera e di altre zone del Sud). E per la rabbia, effetto ultimo dell’operazione, preceduta non a caso nel 1963 dalla magnifica crocefissione laica dell’episodio pasoliniano La ricotta in Ro.Go.Pa.G., cronaca di una morte sacra con una comparsa al posto di un Dio, che equivale a dire una nota di Mozart o Bach e insieme anche un canto popolare. Il film è stato restaurato da Mediaset, con il Centro Sperimentale di Cinematografia e in collaborazione con Compass Film.

29 marzo 2013

LA "VUCCIRIA"




La Vucciria (1974) - Renato Guttuso

Palazzo Chiaramonte (sede del Rettorato dell'Ateneo) - Palermo
olio su tela, cm. 300x300


La Vucciria (in siciliano significa "confusione") è uno dei dipinti più celebri del Pittore di Bragheria, e rappresenta con realismo il famoso omonimo mercato di Palermo.

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Il quadro è imponente nei suoi 9 metri quadri. La costruzione è assolutamente perfetta, ogni tessera compone in maniera rigorosa e funzionale il mosaico finale del quadro dove ogni cosa, mercanzie, venditori, lampade, cassette, ma sopratutto le persone hanno trovato un'idonea sistemazione.

Il quadro è attraversato dalla gente che procede nelle due direzioni, attraversando uno spazio longitudinale circoscritto dalle cassette. Se proviamo per un attimo a distogliere lo squardo e cerchiamo di ricordare il numero esatto delle persone presenti nel mercato difficilmente saremo in grado di rispondere correttamente.

Due figure mute appaiono minacciose. L'una, sulla sinistra, brandisce con una mano la spada del pesce spada e con l'altra un lungo coltello. La seconda, sulla destra, è in ginocchio con un coltello, di cui appare solo l'impugnatura, totalmente immerso nella massa sanguinolenta del mezzo bue appeso. Sembrano i guardiani del mercato, che custodiscono l'entrata di quella via obbligata dove la gente si "struscia" e procede fino al grande semicerchio dove le cassette, piene di cibo, si elevano progressivamente fino a disegnare un emiciclo. Le tre lampade che pendono producono una luce abbagliante, pur non necessaria perchè le vivande sono evidentemente illuminate dalla luce solare.

La divisione delle merci è rigorosa: a sinistra stanno i pesci, prima i polipi, nel loro viscido ammasso, poi gli altri ancora guizzanti, con le aragoste ed i gamberi ancora in movimento, fino al pesce spada che mostra la recente rosea ferita, e che viene impugnato dal venditore. A destra, le uova perlacee, e poi le carni e i formaggi, le olive, la frutta, la verdura. In fondo le rosse mele, con le arance e le pere, sistemate nelle alte cassette che si incastellano in semicerchio.

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Un quadro così importante, che riesce a racchiudere in sè la complessità della Trinacria, la sua storia e i suoi colori, la sua gente e le sue cose, restituendo alla Sicilia la sua stessa immagine, doveva trovare una collocazione che lo inserisse, anche fisicamente, nella storia dell'isola.

Palazzo Chiaramonte, detto Steri, da Hosterium Magnum, palazzo fortificato costruito nel 1320, a Palermo, sulla parte più elevata del pianoro marino, oggi Piazza Marina, non poteva rappresentare luogo più idoneo.



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CIAO ENZO!


BUONA PASQUA A TUTTI





La Pasqua (Pesach) ricorda la fuga del popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto e per questo è chiamata anche la Festa della Libertà. Un aspetto che viene enfatizzato nei rituali e nelle preghiere: l'esodo che conduce dalla schiavitù alla libertà simboleggia la redenzione spirituale e fisica, e l'aspirazione dell'uomo ad essere libero. Non a caso Pesach si festeggia in primavera, quando rinasce la natura dopo la pausa invernale. Perchè senza libertà non c'è vita. 

Hag Pesach sameach a tutti.

Pesach, la festa delle azzime

Pesach, la pasqua, è la prima delle tre grandi ricorrenze liete della tradizione ebraica. La festa commemora la liberazione dalla schiavitù d'Egitto, evento che diede origine alla vita indipendente del popolo d'Israele e che fu il primo passo verso la promulgazione della Legge divina.

Inizia il 15 del mese ebraico di Nissàn, nella stagione nella quale, in terra d'Israele, maturano i primi cereali; segna quindi l'inizio del raccolto dei principali prodotti agricoli. è anche nota col nome Hag hamatzot, festa delle azzime.

In terra d'Israele Pesach dura sette giorni dei quali il primo e l'ultimo di festa solenne, gli altri di mezza festa. Fuori d'Israele - nella Diaspora - la durata di Pesach è di otto giorni, dei quali i primi e gli ultimi due sono di festa solenne. In ricordo del fatto che quando furono liberati dalla schiavitù gli Ebrei lasciarono l'Egitto tanto in fretta da non avere il tempo di far lievitare il pane, per tutta la durata della ricorrenza è assolutamente vietato cibarsi di qualsiasi alimento lievitato o anche solo di possederlo. Si deve invece far uso di matzà, il pane azzimo, un pane non lievitato e scondito, che è anche un simbolo della durezza della schiavitù.

I giorni precedenti la festa di Pesach sono dedicati a una scrupolosa e radicale pulizia di ogni più riposto angolo della casa per eliminare anche i piccoli residui di sostanze lievitate. Usanza mutuata anche dalla lingua italiana nella quale ricorre spesso l'espressione "pulizie di Pasqua" - sinonimo anche delle "pulizie di primavera".

La prima sera viene celebrato il Seder, in ebraico "ordine", suggestiva cena nel corso della quale vengono rievocate e discusse secondo un ordine prestabilito le fasi dell'Esodo, rileggendo l'antico testo della Haggadah. Si consumano vino, azzime ed erba amara in ricordo dei dolori e delle gioie degli Ebrei liberati dalla schiavitù. Si inizia con l'invito ai bisognosi ad entrare e a partecipare alla cena e si prosegue con le tradizionali domande rivolte al padre di famiglia dal più piccolo dei commensali; la prima di queste è volta a sapere "in che cosa si distingue questa notte dalle altre?". Tali quesiti consentono a tutti i presenti di spiegare, commentare, analizzare i significati dell'esodo e della miracolosa liberazione dall'Egitto, le implicazioni di ogni schiavitù e di ogni redenzione.

I simboli della festa, la scrupolosa pulizia che la precede, il pane azzimo vale a dire il "misero pane che i nostri padri mangiarono" - il Seder, la lettura della Haggadah, fanno sì che ben pochi bambini arrivino all'adolescenza senza conoscere la storia dell'uscita dell'Egitto e senza avvertire che questa è una parte essenziale della loro storia.

La matzà, il duro alimento che sostituisce il morbido e saporito pane di tutti i giorni, sta anche ad indicare il contrasto tra l'opulenza dell'antico Egitto, l'oppressore, e le miserie di chi, schiavo, si accinge a ritrovare appieno la propria identità.

Può anche ricordare che la libertà è un duro pane, così come l'eliminazione dei lieviti può rappresentare la necessità di liberarsi dalla corruzione della vita servile e anche dalle passioni che covano nell'intimo dell'animo umano.

(Dal sito dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. http://www.ucei.it/)