06 marzo 2013

DA SIMONE WEIL A GRILLO










Ripropongo di seguito l’articolo di Alessandro Leogrande pubblicato qualche mese fa su Orwell:

ALESSANDRO LEOGRANDE - SU GRILLO E WEIL

All’indomani delle elezioni siciliane che hanno sancito un clamoroso successo del Movimento 5 stelle anche a Sud, e un ecatombe di voti per tutti gli altri partiti, Beppe Grillo consigliava sul suo sito la lettura di un vecchio testo di Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, recentemente riedito da Castelvecchi.
Cosa c’entrano Grillo e Casaleggio con questa solitaria pensatrice radicale, scomparsa giovanissima nel 1943? Probabilmente niente, eppure è curioso che in coda al post in cui si è prontamente affrettato a definire dall’alto le regole della selezione dei futuri candidati del Movimento 5 stelle al Parlamento, auto-nominandosi allo stesso tempo “capo politico” e “garante”, capace di “essere a garanzia di controllare, vedere chi entra…”, il guru trionfante abbia rimandato a questo saggio della Weil, il cui rinato successo editoriale (dovuto a un titolo percepito immediatamente come “anti-casta”) è direttamente proporzionale al suo fraintendimento. Basta rileggere le poche decine di pagine della Weil (e i testi di André Breton e Alain che le accompagnano nella edizione Castelvecchi) per scoprire immediatamente il bluff.
Simone Weil criticava aspramente il partito giacobino-staliniano (e il modellarsi su quella forma anche dei partiti nati in un solco culturale e politico diverso). Criticava l’asservimento dei singoli militanti al volere del Capo, il sacrificare la capacità di discernimento di ogni singolo eletto sull’altare di quella che è invece la volontà che discende dall’alto dei gruppi parlamentari o del comitato centrale o del sommo leader. Il pensare “partitico”, nel momento in cui sostituisce a ogni criterio di Giustizia e Verità, cioè di pensiero autonomo e disinteressato, quello del successo del partito medesimo (contro tutti gli altri partiti) conduce in un vicolo cieco. E produce disastri. Simone Weil ci va giù pesante: “Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici, e si è espansa, attraverso tutto il Paese, alla quasi totalità del pensiero”.
Andando al cuore di questo Manifesto apparentemente antipolitico, si coglie in maniera lampante un dettaglio: la cosa che Simone Weil più temeva (ancora più dell’organizzazione “militare” della lotta politica) è il fuoco della demagogia, cioè la capacità di alcune forze politiche (soprattutto di quelle che vogliano abbattere tutto, per poi edificare una nuova era) di essere straordinari moltiplicatori di torbide passioni collettive. Come? Con un uso sapiente della propaganda e della persuasione, che sono diametralmente opposte alla comunicazione reale tra persone, al discernimento dei problemi concreti.
Qual è l’obiettivo reale di Beppe Grillo quando scrive, come ha scritto qualche mese fa: “Il Movimento 5 Stelle è il cambiamento che non si può arrestare, è il segno dei tempi. È l’avvento di una democrazia popolare che pretende di decidere, di controllare il destino del suo Paese, del suo Comune, della sua vita”? Controllare la vita di chi?
La “soppressione” di cui parlava Simone Weil era una idea regolativa posta in maniera radicale. È un ragionamento, il suo, che avrebbe voluto contribuire a un superamento della crisi della rappresentanza. Ovvio che questo discorso risorga dalla ceneri del Novecento nel momento in cui – come avviene oggi in Italia – non solo una intera classe politica è profondamente screditata, ma la stessa forma-partito sembra cadere sotto le mannaie del furore grillino.
Eppure quel furore, anche se a volte si propaga nel vuoto lasciato dalla politica, appare più figlio delle “passioni collettive” (a loro volta alimentate dalla demagogia e dalla propaganda, smisuratamente lontane dall’“interesse generale”) che non da una minoritaria, ereticale ricerca di una via di uscita. Soprattutto, lasciava intendere Simone Weil, bisogna massimamente diffidare da chi sostiene la necessità di sopprimere tutti i partiti politici meno uno, il proprio, con la scusa magari che il proprio non è un partito, bensì un movimento. È proprio qui che si annida la logica giacobina che Simone Weil vedeva ben formulata nelle parole di un vecchio sindacalista russo, Michail Tomskij: “Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”.
Arrivati a questo punto, è evidente che occorre separare come il grano dal loglio una ricca, per quanto misconosciuta, tradizione impolitica del pensiero novecentesco e la cosiddetta antipolitica, che oggi ha nel maschio alfa Grillo il suo principale campione. Quella che definiamo spesso impropriamente antipolitica mutua dalla politica le sue forme demagogiche peggiori. Al di là delle ciarle sulla rete orizzontale, non vuole costruire un luogo altro dell’amministrazione o delle relazioni umane, ma occupare lo stesso Palazzo “a modo proprio”. Ripete come un mantra l’idea vetusta secondo cui la classe politica è marcia mentre il paese reale, i suoi imprenditori, i suoi dirigenti, i suoi giudici sarebbero lungimiranti e laboriosi, come se il degrado non riguardi tutti e non sia stato – soprattutto – causato da tutti. Non vuole riformare niente, ma distruggere tutto: creare una steppa in cui poter scorrazzare in lungo e in largo. Con quali forme? Esattamente quelle indicate da Simone Weil.
Oggi non solo abbiamo bisogno di separare la critica radicale della politica da chi si erge in maniera diametralmente opposta, ma speculare, al sistema dei partiti. Questo nucleo originario (analizzato ad esempio da Vittorio Giacopini nel suo saggio Scrittori contro la politica, Bollati Boringhieri 1999; o da Roberto Esposito in un’antologia curata per Bruno Mondadori nel 1996: Oltre la politica. Antologia del pensiero “impolitico”) va apertamente difeso, preservato dalle appropriazioni di Grillo & co. Simone Weil, Hannah Arendt, Karl Barth, Elias Canetti, T.W. Adorno, Jan Patocka, George Orwell, Albert Camus, Dwight Macdonald, Paul Goodman… sono un’altra cosa. Tra il mantenimento dello status quo da una parte (l’agenda Monti, per intenderci), e la demagogia dissolutrice dall’altra, si sta stringendo una tenaglia. Nel mezzo, rischia di scomparire la possibilità di una critica radicale dell’esistente che miri a costruire – qui, ora – qualcosa di nuovo.












5 commenti:

  1. L'errore che tutti in questo momento commettono sistematicamente, a qualsiasi livello, è quello di concentare l'attenzione su Grillo, e non sui circa 150 parlamentari del Movimento 5 stelle, eletti col voto democratico. Come se questi fossero dei pupi nelle sue mani, o quelle di Casaleggio, un orda di demagoghi che come i Vandali irrompono sul "civile" Parlamento. Dei figuri reduci da un lavaggio del cervello grillino, automi dell'antipolitica, che molti non hanno esitato a paragonare agli adepti del movimento nazifascista. Fin quando manterrete questo approccio pregiudiziale e preconcetto del movimento, i vostri ragionamenti lasceranno il tempo che trovano.

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  2. Caro Ezio, prima di scrivere dovresti avere la pazienza di leggere. Qualche giorno fa, in questo stesso blog, abbiamo parlato in modo documentato non di Grillo ma della neo capogruppo alla Camera del Movimento 5stelle. Vallo a leggere per favore. Per quanto mi riguarda cerco sempre di documentarmi prima di scrivere!

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  3. "Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi"

    (William Shakespeare)

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  4. La vittoria del Movimento 5 stelle, inattesa nelle dimensioni, ha
    provocato una scossa tellurica al sistema dei partiti tradizionali che
    la scala Mercalli indicherebbe come rovinosa o distruttiva. Dopo un
    tale fenomeno ci saremmo aspettati che il circuito mediatico si
    esercitasse nell’investigare le ragioni di questa affermazione e le
    proposte che hanno consentito a una formazione di divenire la prima
    lista del paese. I media italiani hanno invece aperto la stagione di
    caccia agli strani individui che si apprestano a sbarcare nelle aule
    del Parlamento. Mentre si compilano classifiche sui titoli di studio,
    aree di lavoro, stato civile e fascia reddituale degli eletti di M5S
    nulla è dato di sapere sugli altri 800 componenti di Camera e Senato.
    Ma come se non bastasse i giornali e le tv ospitano ogni giorno uno
    scoop (vero o falso non importa), sulla dichiarazione del Tale, sulle
    preferenze del Tizio, con il fine, neanche nascosto, non di informare
    ma di gettare discredito.

    I terremotati politici sono sbalorditi e increduli. Bersani nel
    resistibile intervento alla Direzione del Pd, piuttosto che ammette i
    propri errori e iniziare a misurare la distanza che li separa dal
    sentire quotidiano della gente, ha richiamato gli eletti 5S alla
    comune appartenenza alla casta: “siete onorevoli anche se vi fate
    chiamare cittadini”. Attribuendo al titolo un valore iniziatico, un
    salvacondotto per l’accesso nell’area dei privilegi, una corsia
    riservata che anche i Livellatori amici di Grillo devono riconoscere.

    Invece di riconoscere la sconfitta del progetto, l’autosufficienza del
    Pd, ha ribadito con un orgoglio fuori luogo che il suo partito ha tre
    volte i parlamentari di Grillo e di Berlusconi. Pochi commentano che
    il movimento 5S oltre a essere la prima lista e anche la forza
    politica che al suo esordio ha raccolto di più. Più di Forza Italia
    nel 94, più dei Socialisti nelle prime elezioni libere del secondo
    dopoguerra, più dei Popolari di Sturzo al loro debutto nel 1919, più
    del Partito Nazionale Fascista che, nascosto dentro la lista Blocco
    Nazionale, si fermò nel 1921 a 32 deputati.

    I giornalisti che si dilettano in questo nuovo sport farebbero bene ad
    abbandonare le sale d’attesa delle stanze del potere e cimentarsi nel
    misurare e rilevare gli umori di chi ogni giorno combatte la sua
    quotidiana battaglia per sopravvivere.


    Come scriveva Yeats:

    … essendo povero, ho soltanto sogni;
    E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
    Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.

    Un’invocazione che la casta politica farebbe bene a ricordare.

    Aldo Penna

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  5. Le ragioni in questo momento possono provenire da più parti, dobbiamo convenirne tutti se vogliamo cercare il dialogo e sperare in un futuro possibile e dignitoso. Non affrettiamoci ad esprimere giudizi, purtroppo da tempo questo è il comportamento più facile ma anche il meno produttivo. Attendiamo gli sviluppi di questa nuova fase della storia, potrebbero essere imprevedibili e non privi di positivi cambiamenti. L'unica speranza che va coltivata fermamente, in modo direi intransigente, è che ciascuno faccia azioni responsabili per il Bene comune. Le strade per raggiungere questo traguardo potrebbero essere tante, e non tutte al momento sono note. Grazia Messina

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