Dal sito http://www.minimaetmoralia.it prendo un articolo che non poteva non coinvolgerci:
Diego
Bertelli – Scaricando la mia biblioteca
Nel 1931
un trasloco fornì a Walter Benjamin l’occasione per un breve scritto intitolato
Ich packe meine Bibliothek aus. Eine Rede über das Sammeln (Spacchettando
la mia bilioteca. Un Discorso sul collezionare). Si tratta di
un brano che invita il lettore a condividere «lo stato d’animo, niente affatto
elegiaco, teso e ansioso piuttosto» che i libri «suscitano in un autentico
collezionista»; l’apertura della scatole contenenti i volumi, la gioia segreta
di un ritrovamento, «la lieve noia dell’ordine» che a breve seguirà: sono tutte
sensazioni rivelatrici di un legame più che mai intimo tra il soggetto e
l’oggetto in questione.
Benjamin
non lo nasconde: una riflessione sul collezionismo è, prima di tutto,
autobiografia; anzi, l’«esame delle diverse modalità di acquisizione dei libri»
diviene il solo modo di razionalizzare le emozioni e fa da «argine contro la
piena dei ricordi che si riversa su qualsiasi collezionista quando si occupi
dei suoi tesori». Da un tale atteggiamento «teso e ansioso» emerge allora un
piacere assimilabile a quello di un erotismo sottile, palpitante, che coinvolge
l’esistenza del collezionista e indulge a «un rapporto oltremodo enigmatico con
la proprietà». Che si tratti di un corpo o di un libro, l’oggetto di un vero
desiderio rimane oscuro e incomprensibile a colui che tenta di esercitare un
controllo su di esso.
Collezionare,
infatti, riduce ogni acquisizione a un feticismo delle forme: dei libri, dice
Benjamin, citando Anatole France, «la sola conoscenza certa è quella dell’anno
di pubblicazione e della forma […]». Anche l’incompresione più profonda sembra
però avere un senso; esso, per quanto radicale, si rivela soltanto alla fine o,
sarebbe meglio dire, con la fine: di fronte alla scomparsa di colui che ha
desiderato. Solo allora sarà possible comprendere la necessità di un possesso
altrimenti incomprensibile: nei libri che sopravvivono al collezionista
rinvenire la sua intera esistenza.
È certo
che oggi, a poco più di ottant’anni di distanza dalle considerazioni di
Benjamin, il collezionismo potrebbe davvero assumere significati sempre più
radicali, specie di fronte alla paura che sia il libro a scomparire,
soppiantato da una nuova forma di fruibilità dei contenuti: quella della pagina
elettronica, con la sua natura virtuale e intangibile. Siamo così di fronte a
una prospettiva completamente antitetica: alla necessaria scomparsa del
collezionista si è sostituito adesso il presentimento che sia il libro a dover
affrontare questo destino prima ancora di essere posseduto. La diffusione su
ampia scala di Internet e lo sviluppo di connessioni sempre più veloci nel
trasporto di una mole impressionante di dati stanno trasformando radicalmente
il senso del possesso materiale dei libri, ridefinendo completamente anche un
più sobrio concetto di conservazione.
È stata
la lettura casuale di un articolo di Federico Guerrini del 14 settembre 2011 su
La Stampa a determinare il click: sembra che i designer di Ikea
abbiano deciso di ridimensionare «Billy», la loro storica libreria. Il titolo
dell’articolo ha un che di apocalittico: L’Ikea si prepara alla fine del
libro (di carta). La ragione è che «Billy», la più venduta e più
tradizionale libreria del colosso scandinavo, non servirà più soltanto da
contenitore di libri, ma come luogo di esposizione. In buona sostanza, quello
che si era già iniziato a vedere da tempo sulle riviste di design e arredamento
ha infine raggiunto il suo stadio più compiuto di massificazione. È allora vero
che ci saranno più soprammobili e meno libri. Che la decisione di Ikea sia
davvero imputabile alla rivoluzione del libro elettronico resta una questione
aperta, ma nonostante le librerie si siano fatte un lifting dimensionale, ci
saranno ancora tanto i libri che si comprano quanto i libri che si scaricano,
così come ci saranno soluzioni ibride e marcatamente pleonastiche: i libri che
si «mostrano», comprati magari dopo averli letti in formato elettronico, a
conferma di un carattere sempre più vintage delle vecchie edizioni
cartacee. Perché un fatto è certo: gli e-Book non stanno di necessità uccidendo
il libro tradizionale.
Un caso
molto significativo, riportato da Ernesto Ferrero in un intervento apparso sul Corriere
delle sera del 16 giugno 2012, riguarda il collettivo bolognese Wu Ming, «i
quali ormai da dieci anni sostengono che la disponibilità in Rete dei loro
romanzi non solo non ha danneggiato le vendite in libreria dei medesimi titoli,
ma le ha semmai favorite». Difficile dunque stabilire un trend: per adesso
l’andamento conosce fluttuazioni continue perché la rivoluzione è appena
avvenuta; anzi, sta ancora avvenendo: a un calo di acquisti materiali di un
titolo o di un autore non corrisponde necessariamente l’aumento proporzionale
dei loro download. La decisione di acquistare un libro piuttosto che un
e-Reader è, in questa circostanza, una questione di scelta, di gusti, di punti
di vista, del modo di essere di ognuno. Un fatto: grazie ai formati sempre più
“leggeri” del materiale scaricabile, questi “lettori elettronici” contengono
già in parte e conterranno sempre più in memoria il corrispettivo di intere
biblioteche. Stiamo parlando di banche dati virtuali, in cui la questione dei
contenuti si farà sempre più radicale; ma alla versatile capacità di
immagazzinare informazioni corrisponderà il rischio, altrettanto concreto, di
perderli. Ironia della sorte, il problema che si pone ai database odierni,
nonostante sistemi sempre più sicuri ed efficienti di back-up, è ancora quello
delle biblioteche del passato.
Oggi
però, anche nel caso degli e-Reader, il rischio della scomparsa del libro,
cartaceo o elettronico che sia, coincide paradossalmente con una sua
sovrapproduzione, la stessa di cui si era già preoccupato, con incredibile
acume, Giacomo Leopardi in alcune lucidissime pagine dello Zibaldone e
che ha portato, non più tardi di trent’anni fa, alle prime discariche di libri
a Lipsia, in Germania. E non è ancora tutto: in un recente volume di Robert
Darnton, intitolato Il futuro del libro, apprendiamo che le biblioteche
stesse sono da tempo costrette a una logica darwiniana di autoselezione, nel
migliore dei casi cedendo e, nel peggiore, distruggendo ciclicamente i libri
conservati sino a quel momento. Arriveremo allora allo sviluppo di una funzione
di «dis-carica» degli e-Book? Una considerazione sulla produzione
eccessiva o sulla presenza eccessiva di dati risulta più che mai significativa
in un mondo «informato», oggi come mai prima, da tutta una serie di «economie
del superfluo». Così la «riproducibilità» benjaminiana si fa acquisizione
nostalgica di fronte al bisogno di una più moderna «riciclicità» dell’opera
d’arte.
È facile
capire che a mancare dalle librerie, ma non a scomparire, saranno le edizioni
con note e apparati, le curatele di studiosi che hanno passato la vita a
cogliere il senso di un singolo autore o di una singola opera. Vi saranno
allora vie preferenziali di acquisizione di versioni cartacee per biblioteche e
istituti di ricerca. Ad aumentare in libreria saranno invece le edizioni fatte
per essere abbandonate non appena lette, se non addirittura nel mentre;
edizioni a basso prezzo, messe insieme con un po’ di colla e carta riciclata.
Il libro si consumerà quindi a mo’ di fast book: un morso e via,
tutto nel cestino. Ma come stanno reagendo i vecchi editori a questi nuovi
“lettori”? Da parte loro, le grande case editrici, proprio attraverso i punti
vendita deputati al cartaceo, non possono non sostenere la convenienza di una
scelta a favore degli e-Book, specie se non vogliono fare una brutta fine. Basta
ricordare la notizia riportata dal Wall Street Journal il 20 luglio 2011
sul fallimento della seconda catena di librerie più grande degli Stati Uniti,
la Borders Group Inc.
Alcune
delle osservazioni riportate in quell’articolo sono significative. Come chiarisce
Lorraine Shanley, consulente per Market Partners International, seppure in
libreria gli spazi riservati al libro si stiano sempre più riducendo a favore
degli e-Reader, «bookstores are needed to create excitement even though the
final transaction may be digital». Possiamo inferire che la scomparsa del libro
potrà esser scongiurata dal semplice fatto che esso rappresenta uno stimolo per
il compratore, dal suo utilizzo come libro-manichino, dato che l’abito di
sfogliare pagine in libreria, pur senza acquisto, è da considerarsi un costume
sociale. Di contro, la diminuzione del numero di volumi da stampare o da
“tenere” in libreria ha già avuto un impatto sulla produzione di nuovi libri e
dunque sugli autori, i quali stanno perdendo uno spazio che apparteneva loro,
non soltanto in termini di promozione. Sembra davvero un circolo ostinatamente
vizioso, al quale si aggiunge il fatto che la vendita del libro cartaceo è
“osteggiata” oggi, se così si può dire, dalla concorrenza di siti come Amazon o
eBay, in cui anche i privati rimettono in circolazione i propri acquisti in
modo conveniente. E i piccoli librai? Diventeranno sempre e soltanto più
piccoli? Intorno a loro si organizzeranno gruppi di nostalgici bibliofili, con
tutto il carico delle loro “perversioni” post-benjaminiane? Questa previsione
potrebbe rivelarsi sbagliata. La verità è che risulta davvero difficile
confrontare la situazione del libro di oggi a quelle del passato. Se pensiamo
ad alcuni precedenti importanti, il pericolo della scomparsa del libro c’è già
stato, o almeno c’è stato il clamore intorno alla sua possible scomparsa. Mi
viene in mente il lancio degli audiobook, che hanno avuto un discreto
seguito, specie tra dottorandi e joggers americani, negli anni Ottanta e
Novanta, e che qualcuno ancora adesso usa. Anche allora si è temuta la fine del
cartaceo.
Oggi
pare quasi incredibile ricordarlo. Col senno di poi possiamo concludere
facilmente che l’ausilio di un mangiacassette o di un lettore compact disc non
ha mai assunto in passato quel grado di dipendenza avuto dai laptop e dai
tablet odierni. Eppure, ancora ignari di quello che Internet sarebbe diventato,
la paura di allora sembrava del tutto motivata. Siamo sinceri: di scomparsa del
libro si è parlato ancora e spesso, se non da sempre. Retrocediamo con calma.
Imputati principali del Novecento: TV, cinema, carta stampata. Agli esordi del
secolo scorso si discusse ampiamente dello stesso problema. Era l’epoca della Cronaca
bizantina e della diffusione dei primi giornali. Allora la domanda era la
seguente: il giornale ucciderà il libro? La pagina elettronica ha determinato
una rivoluzione diversa da quelle precedenti per via dell’importanza assunta da
Internet nella vita di tutti i giorni: scaricare un libro viene naturale come
leggere una e-mail. La necessità di una connessione costante ha imposto
alla lettura nuove strategie. Lo scambio odierno di dati scaricabili non è
paragonabile a niente altro: anche i giornali e la musica sono finiti a
vorticare nello stesso, identico maelstrom. La verità è che non siamo
più di fronte a supporti diversi di uno stesso contenuto. Il libro è in questo
caso sempre un libro: abbiamo ancora caratteri alfabetici che compongono
titoli, paragrafi, capitoli; abbiamo pagine e numeri di pagine: abbiamo,
dunque, “il libro.” È un po’ come aver “attraversato lo specchio.”
Le cose sembrano quelle di prima,
ma non si comportano più come prima. Lo spazio ora è quello dello screen,
la cadenza quella del touchpad, col contorno di application che
caratterizza gli e-Reader, da Kindle a Nook, all’iPad: tutti sempre più
sottili e portatili, efficienti e leggibili, belli e fragili, proprio come un
libro. Parlando non troppo tempo fa con un amico di un mio lungo viaggio in
auto nel sudovest degli Stati Uniti mi sono ritrovato ad ascoltare una
storia che pareva uscita da una qualche pagina beatnik: per le strade
del Colorado, poco più di dieci anni fa, un gruppo di roadtripper che su
un furgone getta libri lungo il bordo della strada. Motivo? Alleggerire il
carico, come su una mongolfiera, per via di una salita resa impossibile dal
peso di cinque persone e da tutto il loro bagaglio. La zavorra? I libri: fu la
prima cosa a cui pensarono. Quando chiesi al mio amico perché, lui alzò le
spalle e sorrise: I don’t know, I guess they were not real books. Ecco
il punto: i libri veri. Al di là del numero di volumi presenti su quel furgone
e del loro impatto effettivo sul suo peso, l’immagine resta efficace. Se si
fosse trattato dei libri veri ciò non sarebbe accaduto. Penso allora a quei
libri gettati: edizioni paragonabili ai piatti di plastica con cui si fanno i
rinfreschi, disse lui. Penso a certi libri di cui anch’io mi sono liberato,
appartenenti alla famiglia dei disposable book. Mi rassicuro.
Credo davvero che la scomparsa dei libri, come la comparsa degli e-Book, sia
una questione del tutto virtuale.
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