Melania Mazzucco - L’anima di Matisse
Un uomo senza
volto suona il violino davanti alla finestra di un appartamento, a
Nizza. È uno dei rarissimi quadri di Matisse in cui compaia una
figura maschile. Le stanze d’albergo e gli appartamenti d’affitto
nelle località balneari comunicano all’ospite un senso di
estraneità, che può generare malinconia e depressione, oppure
esaltazione creativa. Matisse ne fece il palcoscenico dei suoi
quadri, oggetto e soggetto di una fase durevole della sua pittura.
Nella primavera del 1918, Matisse aveva quarantanove anni e già due vite alle spalle. Era stato un borghese di provincia, che aveva scoperto tardi la sua vocazione e dedicato all’apprendistato tutta la giovinezza, vagando tra accademie e atelier d’artista, in cerca di se stesso. Poi, dopo il Salon des Indépendents del 1906, dove aveva esposto Le bonheur de vivre, si era imposto come maestro dell’avanguardia, trovando raffinati collezionisti che gli acquistavano o commissionavano opere. Poté regalarsi viaggi in Italia, Marocco e Russia, dove si abbeverò di luce e scoprì l’arte islamica e bizantina. Nel frattempo, però, era esploso il fenomeno Picasso, e Matisse aveva dovuto confrontarsi col cubismo e mettere in discussione la sua pittura. Trovava difficile ormai vivere a Parigi e nell’inverno del 1917 scese nel sud della Francia. Fu una rivelazione. L’inverno successivo, vi tornò – definitivamente.
Iniziò a sperimentare il suo nuovo genere: interni sgargianti con seducente figura femminile, in un tripudio di colori e tappeti. Quadri che i critici trovarono borghesi e di retroguardia, ma che divennero popolari. A questi, insieme alle serie della Danza e alle guaches découpées dell’estrema produzione, è legata la sua fama. Matisse dipinse quasi solo donne. Ed è stato uno dei più grandi maestri del colore. Eppure, alle sue odalische e anche alle imprese decorative, con le quali rinnovò la tradizione muraria degli affreschi, preferisco questo quadro di dimensioni modeste, di tono sommesso e dai colori spenti. È un quadro sulla pittura. La struttura dell’immagine è classica: una figura davanti a una finestra. Per la sua forma, un quadro è una finestra aperta, che consente di vedere la storia (l’aveva scritto Leon Battista Alberti nel De Pictura già nel 1436), mentre separa lo spettatore dalla scena. Ma è vero anche il contrario: la finestra è un quadro. Mette in relazione l’interno e l’esterno, il soggetto e il mondo. La storia dell’arte abbonda di finestre. Vere o immaginarie, oniriche o naturalistiche, aperte o chiuse, nel Rinascimento italiano come negli olandesi del XVII secolo, nei romantici come nei contemporanei di Matisse - Monet, Bonnard, Juan Gris, Picasso raccontano un episodio o un brano di paesaggio; creano profondità o la annullano; delimitano lo spazio o vi risucchiano colui che guarda.
La finestra qui è chiusa. Gli scuri celesti sono aperti, ma verso l’interno della stanza, immersa nell’oscurità - due rettangoli neri d’ombra che formano la vera cornice del quadro. Il violinista suona volgendo le spalle al pittore e all’osservatore, i quali sembrano perciò collocarsi nella stanza, dentro la quarta parete. L’uomo guarda fuori, ma la sua testa - un ovale bianco come quello di un manichino - si staglia là dove si incrociano i listelli: una parete di vetro lo separa dal mondo. E nella cornice della finestra, al di là del balcone di cui è mostrata solo la balaustra, non vediamo il gioioso paesaggio mediterraneo che ha sedotto l’artista - niente palme, niente spiaggia - ma una nuvola cinerea che incombe sul mare, al punto da inglobarlo in sé. E il cielo non è azzurro, ma color mattone, come il pavimento. Chi è il violinista?
Si potrebbe pensare che sia il figlio dell’artista, l’adolescente Pierre che Matisse aveva costretto a studiare violino e che aveva già ritratto nella Lezione di piano.
Nella Pasqua del 1918 Pierre venne a trovarlo a Nizza. Si conserva un disegno, in cui Matisse lo ritrae di spalle mentre si esercita, quasi dallo stesso punto di vista del quadro. Però anche Matisse suonava bene il violino, e cercava di migliorarsi. A Nizza, isolandosi per non disturbare, si esercitava con la stessa diligenza con cui aveva studiato le opere del Louvre. Inoltre Matisse aveva usato già la figura del violinista come colui che scatena la Danza, immagine- simbolo dell’artista. Perciò si potrebbe pensare che il violinista sia lui stesso e che questo sia un autoritratto.
Matisse era ossessionato dai pesci rossi, prigionieri delle bocce di vetro. Li aveva rappresentati più volte, e in un quadro del 1914 come un’immagine di sé. Lo sguardo sul mondo di Matisse, osservò un amico, era inumano come quello di un pesce rosso. Una volta Matisse stesso disse che avrebbe voluto essere un pesce rosso - per poter guardare il mondo, restandone separato da un diaframma trasparente. E così è il violinista. Solo, assorto chiuso nella stanza come un pesce rosso nella boccia di vetro, al sicuro mentre il mondo, là fuori, è in fiamme. Mentre la guerra distrugge la vecchia Europa, i suoi collezionisti russi sono travolti dalla rivoluzione bolscevica, la sua pittura di un tempo si allontana da lui e quella nuova deve ancora nascere. Ma nascerà. Il violinista è concentrato unicamente nella musica, cioè nell’arte, perché essa sola dà senso, ordine, bellezza e luce al mondo.
Elegante, raffinato, circondato di lusso, bellezza e voluttà, Matisse parlava di sé solo dipingendo. La sua produzione sterminata è l’espressione di un mondo a colori, di una gioia di vivere e di creare che neanche la malattia interruppe. Che questo quadro rappresentasse un’anomalia rischiosa lo dice, del resto, Matisse stesso. Non volle mai venderlo né esporlo. Lo conoscevano solo i pochi eletti ammessi alla sua intimità. Questa coi vetri chiusi e gli scuri spalancati all’interno è dunque l’unica finestra della sua produzione che si apre all’inverso: ci permette di entrare nella camera oscura della sua arte e di guardare dentro di lui.
(Da: La Repubblica del 17
marzo 2013)
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