Sull’esperienza femminile nell’emigrazione italiana esistono ormai diverse pubblicazioni, sia in Italia che all’estero. Nel caso dell’Argentina, tuttavia, la prospettiva di genere non ha ancora ricevuto un’attenzione adeguata. La pubblicazione di questo volume – basato sulle testimonianze femminili raccolte e selezionate nella vastissima produzione bibliografica italiana e argentina – dà quindi visibilità a soggetti sociali finora meno approfonditi nella pur ricchissima produzione di studi sull’emigrazione italiana nel grande paese sudamericano. Una produzione della quale il volume restituisce una sintesi aggiornata ricostruendo, nel capitolo di apertura, le tappe più significative della lunga esperienza migratoria degli italiani dagli anni preunitari al secondo dopoguerra. È un profilo storico che, nella sua efficace sinteticità, rappresenta un buon punto di partenza per la lettura del volume anche da parte di quanti, studenti e lettori comuni, non abbiano una conoscenza approfondita dell’emigrazione italiana.
Ma nel volume l’autrice si inoltra anche nella scarsa e ben meno esplorata storiografia sulle donne italiane in Argentina, fornendo una rassegna ragionata delle ricerche, dei loro risultati, e ipotizzando i possibili sviluppi di una storia di genere nel quadro dell’immigrazione italiana nello stesso paese. Risulta così che le poche analisi mirate sulle italiane – fatta eccezione per alcuni studi sulla produzione letteraria femminile – hanno privilegiato finora approcci di impianto statistico-quantitativo sui comportamenti demografici, come le scelte matrimoniali, oppure, sempre con l’utilizzo di fonti numeriche o censuarie, hanno puntato alla comparazione internazionale tra i comportamenti delle immigrate in Argentina, negli Stati Uniti e in altri paesi, e hanno infine approfondito i comportamenti di alcuni gruppi regionali in certe realtà agricole e urbane del grande paese sudamericano. Mentre solo più di recente, grazie anche al coinvolgimento di associazioni femminili interessate al recupero della memoria dell’emigrazione regionale, si è arrivati alla raccolta diretta di interviste e testimonianze di un’importante catena migratoria, come quella piemontese, e alla pubblicazione, nel 2010, del ricco volume di Maddalena Tirabassi.
La ricerca di Silvia Rosa si colloca in questo nuovo filone degli studi sull’autorappresentazione femminile con un’attenzione verso l’analisi diacronica dell’esperienza di emigranti appartenenti a fasi migratorie diverse e provenienti da differenti aree regionali. L’analisi delle testimonianze, concentrata negli ultimi due capitoli del volume, è preceduta da una rassegna molto articolata degli studi sulle corrispondenze, i diari, le autobiografie e le fonti orali. Questo lungo capitolo – nel quale la riflessione storiografica si intreccia con quella sui problemi teorico-metodologici relativi al gender e alla ricerca autobiografica – costituisce, assieme al profilo storico disegnato nel primo capitolo, e all’analisi critica degli studi sul gender affrontata nel secondo, un’altra utile introduzione metodologica anche per il lettore poco introdotto nel dibattito specialistico.
L’utilizzo delle testimonianze orali per la ricostruzione dell’esperienza femminile, infine, non solo va ad ampliare il quadro della ricerca sull’esperienza delle donne italiane in Argentina in una prospettiva di indagine qualitativa finora poco seguita, ma permette anche di formulare alcune considerazioni non scontate sui percorsi femminili in una delle più grandi aree dell’emigrazione transoceanica. Questi itinerari – studiati maggiormente nella realtà statunitense, e spesso con un’ottica volta a valutarne le dinamiche nella prospettiva della modernizzazione – nell’analisi di Silvia Rosa vengono disegnati attraverso le molteplici ambiguità e contraddizioni che risaltano dall’autorappresentazione delle protagoniste.
È vero che la scansione prescelta per seguire queste traiettorie non si discosta molto da quella più seguita nell’ormai sterminata produzione bibliografica sui movimenti migratori: la partenza, il viaggio e l’arrivo, punti d’avvio obbligati di ogni percorso migratorio, sono la premessa per affrontare le tappe dell’integrazione e per decifrare i comportamenti che l’accompagnano. Questa scelta, tuttavia, risulta particolarmente opportuna proprio per le caratteristiche dei soggetti che vengono presi in esame. È infatti attraverso questi percorsi, seguiti finora con la lente dell’esperienza maschile, che si colgono molte delle peculiarità di genere messe in risalto dall’autrice. Così, se per la partenza il baule diventa una sorta di oggettivazione di una quotidianità femminile a cui non si vuole rinunciare neppure all’estero – e per questo è l’oggetto più ricorrente e simbolicamente più evocato nei racconti autobiografici di donne di provenienze differenti e di fasi migratorie diverse – per il viaggio a dominare i ricordi femminili sono piuttosto le paure fisiche per le aggressioni esterne – divenute spesso una tragica realtà –, per i rischi ai quali vengono esposte le gravidanze, o per le maggiori sofferenze che queste ultime comportano nella già difficile vita a bordo. Mentre per l’arrivo, e per la vita nei nuovi contesti, i racconti declinati al femminile permettono di cogliere soprattutto la non univocità dei ruoli assunti dalle donne nel variegato percorso dell’integrazione all’estero. Piuttosto che la dicotomica alternativa tra la figura della “custode” e della tramite generazionale di lingua, tradizioni e identità d’origine o, all’opposto, della donna progressivamente “emancipata” dal processo di assimilazione, tra le “italiane d’Argentina”, che si raccontano nel volume di Silvia Rosa, sembrano prevalere comportamenti meno definiti e più articolati sul piano temporale e generazionale. E soprattutto sembra risaltare l’utile funzione di mediazione esercitata dalle donne tra la famiglia e la nuova società. Una funzione che in Argentina, come in tante altre sedi di immigrazione, viene riconosciuta dalla più aggiornata storiografia sul gender come base importante per la formazione delle stesse comunità etniche e della loro organizzazione.
Dalla Prefazione di Paola Corti al libro di Silvia Giovanna Rosa, Italiane d’Argentina, Ananke Edizioni, Torino 2013. Di seguito potete leggere anche alcuni brani dell'autrice dello studio:
Il presente lavoro si è posto come obiettivo di indagare e ricostruire in un’ottica di genere il fenomeno dell’emigrazione italiana in Argentina tra il 1860 e il 1960, in primo luogo attraverso la ricognizione e l’analisi critica di tutti gli studi storiografici condotti finora sulle italiane emigrate oltreoceano, e in secondo luogo mediante una ricerca sui materiali autobiografici e sulle memorie delle protagoniste. La finalità di questo percorso è duplice: rivedere alcune delle questioni più importanti trattate in ambito storico (tra cui i motivi della partenza, il viaggio transoceanico, il problema della lingua, l’inserimento nel mondo del lavoro, il processo di integrazione) e dare voce alle storie delle donne e alla dimensione della loro interiorità.
[...]
Nel
corso di questa analisi si sono andate così affermando l’eterogeneità, la
complessità e la pluralità del soggetto donna migrante: non più moglie madre o
figlia accompagnatrice dell’uomo, passiva e inesistente – secondo una visione
stereotipata e riduttiva a lungo in auge nella storia dell’emigrazione – ma
protagonista attiva. Le donne hanno infatti svolto un ruolo centrale nel dar
forma alle comunità degli italiani all’estero e nella creazione di dinamiche
sociali ed economiche familiari transnazionali: custodi della memoria,
certamente, ma al contempo soggetti capaci di rivisitare, innovandola, la
cultura di appartenenza, e agenti di cambiamento sociale impegnate in attività
politiche e sindacali nel Paese d’accoglienza.
[...]
La
realtà lavorativa delle italiane si è rivelata vivace, multiforme e centrale ai
fini dell’inserimento e dell’avanzamento economico-sociale di tutta la famiglia
nel contesto d’accoglienza, contrariamente a quanto messo in luce invece dalle
statistiche pubbliche sulle professioni delle immigrate nel paese di
destinazione, in cui il ruolo occupazionale delle italiane sembrava essere
sussidiario e/o inattivo rispetto alla controparte maschile.
[...]
La
centralità delle donne nei processi economico-sociali degli italiani in
Argentina assunse anche aspetti politici: la presenza delle madri e delle
ragazze agli scioperi e alle rivolte agrarie contro i latifondisti, ad esempio,
fu determinante nella trasformazione dei rapporti contrattuali fra affittuari e
coloni. Prendendo in considerazione i contributi che studiano la partecipazione
femminile ai movimenti sociali e politici – socialismo, femminismo e anarchia –
si è voluta mettere in risalto l’importanza che le donne italiane immigrate in
Argentina hanno rivestito, non solo all’ombra delle tradizionali occupazioni
femminili, ma anche alla luce di un impegno sociale che concorse attivamente
alla formazione della nascente società argentina, impegnandosi da protagoniste
sul fronte delle lotte per i diritti al voto e alla parità salariale, per il
miglioramento delle condizioni di lavoro, nonché in scioperi, manifestazioni
culturali o veri e propri episodi di protesta, che mobilitarono centinaia di
partecipanti destando notevole scalpore.
[...]
L’analisi
delle storie di vita, infine, ha sottolineato come le donne, da sempre custodi
di saperi, di segreti e della memoria familiare, siano diventate spesso il
tramite con il passato e con l’identità delle origini, che hanno trasmesso alle
generazioni più giovani, nell’incessante sforzo di ricomporre, proprio
attraverso la narrazione, esistenze frantumate, impigliate nell’invisibilità
degli spazi domestici e nella ripetitività dei riti quotidiani di cura della
famiglia. La caratteristica più importante delle storie di vita è quella di
restituire dignità a una sofferenza che in molti casi è rimasta taciuta,
seppellita per anni sotto la ferrea logica del dover “fare l’America” con
sacrificio. Tale sofferenza ha trovato un luogo per dir/si, tra soggettività e
memoria, tra passato e presente, in queste testimonianze orali, e al contempo
ha evidenziato quella capacità di resilienza femminile che rende le emigrate
tutt’altro che passive o più fragili rispetto agli uomini.
[...]
Il
destino di integrazione delle italiane in Argentina è stato segnato da
poliedriche appartenenze, per via di quel legame identitario duplice con la
regione di provenienza prima che con lo stato nazionale. In numerosi racconti
le donne dichiarano anche di aver messo da parte per molti anni l’identità
italiana o regionale, e di aver riscoperto in un secondo momento le proprie
origini, spesso rivalutandole dopo averne provato vergogna a lungo, o dopo
averle rimosse insieme al dolore esperito per il distacco dagli affetti e dalla
realtà conosciuta, o dopo aver rielaborato sentimenti di rancore e rabbia
nutriti per quella Patria che le aveva costrette ad andare lontano per cercare
un futuro migliore. Dai racconti delle emigrate emerge la volontà di rimozione
degli aspetti più dolorosi del vissuto migratorio, attuata in quanto funzionale
al cammino di ridefinizione identitaria.
[...]
Le
differenze che hanno segnato in modo a volte contraddittorio il percorso di
integrazione degli italiani in Argentina, e la difficile sintesi che la
costruzione di una nuova identità ha richiesto a partire dalle multiformi
appartenenze locali, regionali, nazionali che ogni emigrante portava con sé,
hanno indotto a nutrire per il paese natio e al contempo per quello d’accoglienza
un amore che nei racconti delle donne è spesso paragonato all’amore per due
madri. Il doppio vincolo di questo sentimento d’amore ha avuto come conseguenza
una lacerazione dell’io, un sentirsi sempre a metà, ormai radicati in un luogo
ma con lo sguardo sempre rivolto alla terra d’origine. E ciò rende quanto mai
appropriata la sintetica definizione che le emigrate spesso danno di sé:
italiane d’Argentina.
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