Il cemento va fermato prima che arrivi
È stata una bella domenica, questa prima domenica di Avvento. Perché l’abbattimento dell’ecomostro di Alimuri fa sperare nell’avvento di un’Italia libera dal cemento. La determinazione dell’amministrazione di Vico Equense, il direttore dei lavori che rinuncia al compenso, le sirene delle barche che salutano la nube che piano piano si innalza, avvolgendo la scogliera come una gloria barocca: tutto sembra perfetto. Ed è commovente la presenza delle scolaresche: allineate sulla spiaggia a imparare che lo Stato, nonostante tutto, esiste. Che la Repubblica lo tutela davvero il paesaggio della Nazione. Che non è vero che lottare non serve a nulla.
Certo, non appena quella nube di giustizia e legalità si dirada, riappare la realtà.
E cioè che ci sono voluti esattamente cinquant’anni per riportare quel tratto della Costiera sorrentina al suo aspetto naturale. Che c’è il rischio concreto che i proprietari del megascheletro di cemento chiedano e ottengano di essere risarciti a spese di noi tutti. E che, soprattutto, mentre Alimuri viene liberata, in mille altri cantieri si tirano su montagne di cemento in tutto analoghe: a partire dal vicinissimo e mostruoso Crescent di Salerno, uno scandalo che non si riesce a fermare.
Giovedì scorso il Consiglio di Stato ha rigettato un ricorso di ben trentasette associazioni, del Comune di Bari e della Regione Puglia, che voleva impedire al Provveditorato delle Opere pubbliche (!) di terminare un’oscena palazzina di cemento che dovrebbe ospitare il Genio civile (!!) a meno di 150 metri dal Castello Svevo della Città Vecchia di Bari, praticamente sul mare e in un luogo per cui il Piano regolatore prevedeva verde pubblico. In sostanza il Consiglio di Stato ha detto che il danno ambientale c’è eccome, ma visto che il palazzo ormai è quasi finito, il danno erariale sarebbe più grave. Una sentenza regressiva, che ne smentisce un’altra in cui lo stesso Consiglio di Stato aveva affermato che «il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e, quindi, deve essere anteposto alle esigenze urbanistico-edilizie» (29 aprile 2014).
La lezione è una sola: il cemento va fermato prima che arrivi. A Bari lo scempio del Castello è potuto succedere perché la Soprintendenza (che ha sede nel Castello stesso…) si era ‘dimenticata’ un vincolo apposto fin dagli anni Trenta. Ad Alimuri era stata la Soprintendenza ai monumenti di Napoli a concedere – il 9 marzo del 1964 – un inconcepibile nulla osta alla costruzione. Ieri (il 30 novembre, ndr) il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha scritto al Comune di Vico che «la tutela del nostro territorio è, e sarà, priorità delle amministrazioni locali e del Governo nazionale», e che «serve un profondo cambio di mentalità: le amministrazioni locali devono avere il coraggio e la serietà di vietare le costruzioni in zone ad alto rischio idrogeologico. Occorre il ripristino dei luoghi in cui si è costruito in violazione delle basilari leggi di natura». Parole sante. Ma allora perché il Governo di cui Galletti fa parte ha imposto una legge (nota come Sblocca Italia) che prevede che dopo sessanta giorni di silenzio si intende che la soprintendenza di turno acconsenta alla costruzione che avrebbe dovuto esaminare? In un Paese in cui il corpo scelto della tutela del territorio è stato fatto scientificamente a pezzi, un simile provvedimento vuol dire avere la certezza di partorire cento, anzi mille, ecomostri di Alimuri. Che ci terremo, se ci va bene, cinquant’anni, prima che un sindaco coraggioso li faccia brillare. E non basta. Lo stesso Sblocca Italia ha riaperto nel modo peggiore la ferita più sanguinosa del paesaggio della stessa Campania: Bagnoli. Fingendo di non sapere che da venti anni esatti esiste un piano di recupero e da quindici un vincolo che impone la bonifica e il ripristino della linea di costa, lo Sblocca Italia determina le condizioni per una nuova abbuffata di cemento, sotto l’egida dell’immancabile Commissario Straordinario.
È, dunque, sacrosanto battere le mani alla nuvola che libera Alimuri: ma non lasciamo che quella nuvola copra l’incessante strazio dell’ambiente compiuto da quelli che Antonio Cederna chiamava «gli energumeni del cemento».
Questo articolo di Tomaso Montanari è uscito su La Repubblica. (Nella foto, l’abbattimento del 30 novembre – Fonte) e riproposto oggi, 3 dicembre 2014, da http://www.minimaetmoralia.it/
Nessun commento:
Posta un commento