Casorati, La preghiera (1914) |
Tra
le altre cose la prima guerra mondiale fu per l'Italia il punto di
arrivo di un processo di maturazione imperialistica iniziato ai primi
del Novecento. Quaranta anni dopo il grande libro di Richard Webster
(L'imperialismo industriale italiano 1908-1915) che ne ricostruiva la
genesi economica e politica, una mostra alla Galleria Nazionale di
Arte Moderna di Roma documenta il radicale rinnovamento del
linguaggio artistico avvenuto in quegli anni cruciali.
Dario Pappalardo
Quando l'Italia (degli
artisti) fece la secessione
Nella prima sala, il
fregio di Edoardo Gioia per il Padiglione delle Feste di Marcello
Piacentini (Esposizione Internazionale di Roma, 1911) può trarre in
inganno. L'Italia dell'arte non era solo questo. Non era solo quei
modelli impacciati e in posa, travestiti da vittoriosi eroi e grazie
svolazzanti.
A un passo dalla Grande
Guerra, gli artisti non si fanno trovare impreparati, tanto meno
sonnambuli. In una manciata di anni che precedono il 1915, l'arte
italiana è un vaso di Pandora sul punto di esplodere. Un sismografo
di quell'equilibrio precario che la politica del tempo non riesce a
registrare. Altro che figurine pronte a ripetere stanchi schemi
neoclassici.
Attraversando la mostra
Secessione e avanguardia - L'arte in Italia prima della Grande Guerra
1905- 1915, a cura di Stefania Frezzotti, alla Galleria Nazionale
d'Arte Moderna di Roma (fino al 15 febbraio 2015, catalogo Electa),
si vede tutt'altro. Oltre 170 opere, disposte in quindici sale,
gridano il desiderio di rinnovamento.
Le riviste La Voce e
Lacerba promuovono la teoria. Gli artisti passano alla pratica.
L'asse su cui convergono le rivoluzioni estetiche è quello
Roma-Venezia. 1901: nella capitale arrivano Gino Severini e Umberto
Boccioni, accolti nello studio di Giacomo Balla. Tre anni dopo,
animano la "Mostra dei Rifiutati" al ridotto del Teatro
Costanzi.
Boccioni, Chiostro (particolare) (1904) |
Di quella esperienza qui alla Gnam c'è il Chiostro (1904) di Boccioni, capolavoro divisionista dagli impressionanti effetti materici: quelle pennellate rapprese che emergono dalla tela quasi si toccano. E il pastello con l' Autoritratto ( 1905), dove Severini gioca a fare l'artista imbronciato e imita Lorenzo Lotto. Avanzano le istanze sociali: Pellizza da Volpedo (ci sono esposti gli studi per Il Quarto Stato) e l' Elegia del lavoro di Carlo Carrà.
La diffusione di Che
cos'è l'arte di Tolstoj esalta il fine civile di pittura e scultura:
Balla omaggia l'autore di Guerra e pace con un ritratto che va alla
Mostra dell'Agro Romano del 1911. Gli italiani, che formalizzano a
Roma la loro Secessione nel 1912 in alternativa alla Biennale,
guardano a nord. Medardo Rosso, di casa in Austria, è la figura
ponte della scultura con i suoi volti addormentati che emergono dalla
materia.
Casorati, La preghiera (1914) |
Klimt è un modello per la pittura. Felice Casorati – attenzione in mostra alle sue maschere primitive – si ispira a lui per la donna con kimono inginocchiata sul prato fiorito de La preghiera (1914) e per Il nudino (1913) di ragazzina, che riprende il taglio di sviluppo verticale e lo sfondo fiorito dei classici klimtiani.
Il veneziano Vittorio Zecchin, nel Convegno mistico ( 1914), cita il maestro viennese e la sua assimilazione dell'arte giapponese; a metà strada tra i fauve e Schiele c'è Aroldo Bonzagni: il San Sebastiano in giacca e cravatta sembra parlare tedesco.
In Laguna, Ca' Pesaro si
apre agli artisti di "opposizione", sotto la direzione di
Nino Barbantini. Ecco Gino Rossi, aggiornato su Gauguin e i nabis, e
poi Guido Marussig, che riprende le atmosfere di Böcklin, Tullio
Garbari e Ubaldo Oppi. La mostra mette in fila via via gli
attraversamenti futuristi di Balla, Severini, Boccioni, le utopie
verticali di Sant'Elia, arredi e giochi di Depero.
Ma la guerra preme. La
Ballerina di Carrà (1915) è ormai una marionetta disarticolata. La
Torre rossa (1913) di de Chirico lascia presagire il vuoto che segue.
Il 24 maggio 1915 parte il primo colpo di cannone italiano. Molti
artisti andranno al fronte. Alcuni, come Boccioni, per non tornare
più.
La Repubblica – 23
novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento