Nel 1993 usciva da
Gallimard “Cette mauvaise réputation...” di Guy Debord. Una
lucida riflessione su di sé e su di mondo barbarico da cui non
esiste evasione possibile. Un testamento, probabilmente. Noi, almeno,
lo leggemmo così. Poco dopo, malato e stanco, Guy si ucciderà con
un colpo di fucile. Questo piccolissimo libro, bilancio di una vita,
appare ora in traduzione italiana. Da leggere.
Mattia Cinquegrani
Il duello di Guy
Debord con i professionisti della società dello spettacolo
Sono le immagini
patinate di uno spot pubblicitario del
tutto simile – nel sapore e per lo stile – alle
commedie musicali di Busby Berkeley ad
accompagnare la voce asciutta e cadenzata di
Guy Debord: «l’organizzazione spettacolare di
questa società di classe comporta due conseguenze
che sono ovunque riconoscibili: da una parte,
la falsificazione generalizzata
dei prodotti così come dei ragionamenti;
dall’altra l’obbligo, per tutti coloro che pretendono
di trovarvi ogni loro bene, di tenersi sempre a gran
distanza da ciò che ostentano di amare, poiché non
hanno mai i mezzi, intellettuali o di altro
genere, per raggiungere una conoscenza diretta
o approfondita, una pratica completa
e un gusto autentico».
Così ha
inizio Réfutation de tous le jugements,
tant élogieux qu’hostiles, qui ont été jusqu’ici
portés sur le film “La société du spectacle”,
quinto e penultimo lavoro cinematografico
dell’autore parigino.
Troppo onesto
agli occhi del potere, troppo coerente nel mondo
intellettuale, troppo elaborato per il grande
pubblico. Per non finire costretto, egli stesso, in quel
sistema che aveva instancabilmente contestato,
per tutta la propria vita Debord ha dovuto – e senza
dubbio anche voluto – rispondere tanto alle accuse
sdegnanti mosse contro la sua opera (e, a ben
vedere, contro la sua persona) quanto a quelle
lodi piene di esaltata approvazione e, proprio
per questo, prive di valore.
È certo difficile
scrivere di un uomo che disprezzava, apertamente
e senza remore, la stampa «per quello che dice e per
quello che è», ma l’uscita della traduzione
italiana – la pubblicazione francese
risale a ventun anni fa, per Gallimard – di
Questa cattiva reputazione… (Postmedia,
pp. 78, euro 9,90) è una buona ragione per provare
a farlo. Ultima opera di Debord, questo libello
(pressappoco come avveniva in Réfutation)
pone sotto esame le aspre critiche formulate
dai mediatici – durante i cinque anni
precedenti alla prima pubblicazione
dell’opera – nei confronti delle teorizzazioni
e della vita stessa dello scrittore.
Ben lontano,
tanto nella sua articolazione quanto nella
composizione, da unaexcusatio non
petita, dall’auto-assoluzione di un uomo oramai
sconfitto, questo volumetto (scritto con una
ironia forse inaspettata) dice ancora molto
riguardo alla società dello spettacolo. L’autore
riesce a trasformare con successo la
propria posizione da quella di «oggetto da indagare»
in quella di «materia specchiante», sulla quale
proiettare i meccanismi e le
insanabili contraddizioni della società.
«In questa sede, – afferma nella conclusione
del libro – mi è piaciuto citarmi in più
occasioni. Non ignoro che molti troveranno questo
fatto scioccante. Però nessuno sarebbe turbato –
e non sarebbe neanche stato utile farmi questa
cattiva reputazione – se mi fossi trovato,
come gli altri, nell’impossibilità di citare ancora oggi
quello che avevo pensato in precedenza».
Le molte critiche
mosse a Debord e qui riportate «con precisione
(…) e in ordine cronologico, che è la
cosa più imparziale», sono sempre analisi
intenzionate: a coglierlo in fallo, a metterne
in discussione la moralità, a inventarne la
contraddittorietà del pensiero,
a produrne la corruzione intellettuale.
A un uomo che, prima di tutto, si è sempre
impegnato «semplicemente (a) fare quello che
(amava) di piú» viene progressivamente (ma
con violenza) sostituita l’immagine di un bieco
approfittatore, di un individuo che ha
sempre operato calcolando il proprio
beneficio. D’altro canto, non vi è nulla che
faccia più paura di una intelligenza
implacabilmente coerente con se stessa e poco
affascinata dalle sirene del potere e della fama,
nulla appare più sovversivo dell’integrità di chi
sceglie di vivere e di agire, semplicemente,
«essendo quello che è».
il manifesto - 25
Novembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento