LA VERITA' SUL MIO ACCATTONE
di Pier Paolo Pasolini
Prima di tutto una
piccola precisazione sul contenuto della sceneggiatura: Accattone non
si sucida: muore semplicemente per disgrazia. E' una morte ambigua, è
vero, che lascia aperta la possibilità di pensare che ci sia nel
fondo di Accattone un disperato e inconscio desiderio di morire, ma
lascia anche aperta la possibilità di pensare che si tratti di un
disegno della Provvidenza, per esempio.
Si badi, che io non sono
credente: ma la mia comprensione del mondo non sarebbe tale se non
comprendesse anche le vicende che capitano ai credenti. Credente è
Stella, e credente è Accattone: due sottoproletari, e peggio, due
relitti: lei figlia di una prostituta, costretta a un lavoro
miserando, lui ormai abbandonato da ogni senso morale, sfruttatore,
ladro, disperatamente chiuso nella sua ansia di sopravvivere.
Tuttavia Stella crede, e lo ammette, e lo sa, e lo vuole: in
Accattone la fede non è che un relitto, come ogni altro sentimento
in lui, completamente deformato dall'ambiente, o, per così dire,
dalla deformazione professionale. La fede di tutti e due è ingenua,
superstiziosa e quasi sacrilega: ma c'è. E la loro vita morale- quel
filo di vita morale che resta loro - è regolata da quel moncone di
fede.
Io che sono marxista
sarei sciocco se non ammettessi che le masse sottoproletarie sono
ancora succubi di tale fede, e che la loro vitalità è una forma,
tutto sommato, di religiosità.
La tranche de vie
che, in qualche modo, è questo racconto è cucita col filo rosso di
questa fede, atroce, pagana, barocca, corrotta. Come in Una vita
violenta il Tommasino si salva – moralmente – sia pure per un
pelo – attraverso un'esperienza psicologica-politica, qui Accattone
si salva (come indica il sogno) attraverso l'esperienza irrazionale e
religiosa dell'amore. E' un caso più comune, questo, evidentemente:
benché portato alle estreme conseguenze, alla violenza della
tragedia.
“Credo che gli
scrittori di oggi, impazienti e distratti...” dice il Carnelutti.
Ah no. Vorrei, a proposito di questioni teoriche come “realismo”
e “verismo”, rimandare il critico, e l'eventuale lettore, al mio
grosso libro di saggi Passione e ideologia (garzanti, 1960): ma qui
vorrei fare almeno una precisazione terminologica. Quello che il
Carnelutti chiama “realismo”, è in realtà, nella prassi appunto
terminologica vigente, il “verismo”, o “naturalismo”, di
fondo ideologico positivistico, e quindi limitato, mera descrizione
della realtà: documento più o meno lirico (se interviene il
monologo interiore, come nel Verga) nel migliore dei casi. Per
“realismo” ora s'intende un'arte che piega la descrizione a una
interpretazione ideologica della realtà: si può quindi parlare di
realismo cattolico o realismo socialista ecc.
Certamente la “verità”
di cui parla Carnelutti, non è la mia: ma, ripeto, pur essendo
marxista, sarei sciocco se prescindessi dalla verità, sia pur
corrotta e disperata, dei miei personaggi: è ad è essa che che essi
si conformano: ed è l'accadere di essa che io, oggettivamente,
racconto .
Ma il modo con cui
Accattone “si salva”, arriva a quel minimo barlume di luce, per
me non può essere che una tragedia nella tragedia: ecco perché
Carnelutti non si sente soddisfatto compiutamente del mio racconto.
Sente che il trionfo della verità, sua e di Accattone, non è per me
un trionfo: ma un'ammissione. E quindi il tono fondamentalmente
tragico, anche se la conclusione è la salvezza.
Non posso poi - a
fortiori – seguire il Carnelutti nelle sue preoccupazioni
precettistiche e pedagogiche, nel suo interesse paternalistico per le
reazioni del pubblico. Prima di tutto rispetto il pubblico: non lo
voglio considerare un infante da umiliare con la mia sollecitudine; e
poi, quello che voglio insegnare io al pubblico, la mia religione –
non è, come qui ho cercato di spiegare, quella del Carnelutti: la
mia verità ha la v minuscola.
Questo testo, finora
inedito, è tratto da Accattone, Edizioni Cineteca di
Bologna/Cinemazero, pagg. 252, € 17,00
Ripreso da Il Sole24ore, 27
settembre 2015.
Ringrazio Cettina Vivirito per avermelo segnalato.
Sono rimasto particolarmente colpito, leggendo questo inedito di Pasolini, dalla sua ultima frase:"la mia verità ha la v minuscola".
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