Foto A. Barcia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo di Antonino Barcia sugli effetti prodotti dell'alluvione del 3 novembre 2018 sull'ambiente e il mondo agricolo del territorio marinese.
Questo blog, seppure in modo sommario, si è già soffermato sui danni prodotti dallo stesso alluvione nel perimetro urbano del paese, denunciando le gravi responsabilità delle precedenti Amministrazioni Comunali che hanno provveduto ad interrare il vecchio torrente S. Antonio e favorito, subito dopo, la costruzione abusiva di palazzi sullo stesso letto dell'antico torrente: https://cesim-marineo.blogspot.com/2018/11/che-fine-ha-fatto-il-torrente-s-antonio.html
(fv)
(fv)
Alluvione - Ambiente - Agricoltura
Analisi
ambientale ed agronomica sull’evento calamitoso (alluvione) avvenuta in alcune
aree del Palermitano, compreso il territorio della nostra Marineo il giorno
03/11/2018.
Antonino Barcia
La
quiete dopo la tempesta? Eppure, son passati poco più di due mesi da quella
drammatica serata di sabato 03 Novembre 2018, data che difficilmente
dimenticheremo, anche per le tragiche conseguenze che l’evento calamitoso ha
causato a pochi km da Marineo.
A
tal proposito, l’Amministrazione comunale di Marineo, con delibera di Giunta municipale
n. 110 del 06/11/2018, ha chiesto alla Regione Sicilia ed alle Istituzioni
Statali il riconoscimento dello “stato di calamità”. Nulla da eccepire sulla
macchina organizzativa della Protezione civile, comunale, regionale, nazionale,
dell’esercito italiano, dei singoli agricoltori con mezzi propri, per liberare
strade dal fango, riparare scarpate, strade principali, svincolare persone
rimaste isolate, ripulire i fiumi, nonostante la fase economica difficile che
viviamo come quella attuale.
Concentrandoci
sul nostro territorio, consultando i dati della stazione climatica di Marineo,
del Servizio Idrologico Regionale, nonché della locale stazione privata (www.marineometeo.it)
l’evento piovoso eccezionale in questione, ha totalizzato circa 150 mm di
pioggia in 3 giorni di cui circa 100 mm in sole due ore con un’intensità (rain rate pari a 149.6
mm/h) tipica da “evento alluvionale”.
Dal
punto di vista agro-ambientale, tale enorme quantità d’acqua con quella
intensità, non avendo il tempo di essere assorbita dal suolo, ha iniziato a
scorrere superficialmente nei terreni e nelle strade causando allagamenti,
smottamenti ed ingrossamento repentino dei torrenti (Sant’Antonio, Vallone
Acqua di Masi…) che alimentano il Fiume Eleuterio facendo esondare quest’ultimo
fiume.
Senza
tralasciare le esondazioni degli altri Fiumi vicini al nostro territorio (Milicia, San Leonardo..) con le
conseguenze ahinoi tragiche che hanno causato…, lo straripamento del predetto
fiume che bagna il territorio di Marineo, ha causato danni ingenti alle colture
agrarie limitrofe: fiume Eleuterio che, nelle mappe catastali, viene riportato
(in alcuni tratti) con una larghezza di circa 150 mt! Ciò fa sorgere un dubbio:
che tali piene, avvenivano forse pure in passato?
All’indomani
dell’evento, ossia il giorno 04/11/2018, oltre ai danni che si contavano all’interno
del centro abitato, per le nostre campagne lo scenario che si presentava era
apocalittico: i fiumi e i corsi d’acqua ingrossati, hanno letteralmente
ridisegnato un nuovo paesaggio agrario (o meglio: i fiumi si son ripresi quello
spazio, a tratti sottratto negli anni dall’uomo con le sue opere), scenario che
si presentava lunare, spoglio e privo di qualsiasi forma di vita.
La
maggior parte dei terreni più a monte erano totalmente “denudati” dal loro
“strato fertile”, trasportato dalla furia dell’acqua verso valle, di contro,
quelli più a valle, erano inondati e ricolmi da uno strato variabile anche fino
a 4 mt di fango, sabbia e detriti vari (alberi, vegetazione varia, massi,
frammenti di muri in cemento armato, etc.).
A
monte, i terreni “svestiti”, apparivano con uno strano colore grigio e
assomigliavano tanto alle “formazioni calanchive”,
tipici affioramenti delle argille Mio-Plioceniche
che caratterizzano purtroppo già alcune aree dell’agrigentino e del nisseno,
aree ormai abbandonate, sterili e improduttive: lì, la ricostruzione dello
strato di terreno “fertile”, richiederà svariati secoli!
Infatti,
l’origine di un suolo (pedogenesi) e del suo “strato fertile” necessita di una
serie di fattori climatici-litologici-antropici e metamorfosi che richiedono
secoli… processi pedogenetici che sono stati praticamente cancellati da due
ore di pioggia eccezionale! Quest’ultimo è un punto cruciale, in quanto,
l’allontanamento dello “strato fertile” dai suoli, rappresenta un danno
ambientale che, oltre ad essere inestimabile, è in taluni casi anche
irreversibile.
In
Sicilia prima con i Greci per costruire le navi e poi con i Romani per
coltivare il grano è stato un susseguirsi di disboscamenti selvaggi che hanno
causato una serie di cambiamenti al paesaggio che è passato (specie nelle aree
interne sicule) da prettamente forestale ad agrario, dove la pressione
antropica nei secoli è stata via via più pressante ed incisiva.
Monitorando
anche i boschi limitrofi come quello vicino all’abitato di Marineo (Riserva
naturale di Ficuzza) era invece come se non fosse successo nulla di
catastrofico: eppure la pioggia è stata abbondante anche lì, perché registrata
in maniera cospicua dalla stazione SIAS dell’Assessorato Agricoltura, ubicata nei
pressi della borgata di Ficuzza….solo qualche rigagnolo all’interno dei
sentieri del bosco e i torrenti ingrossati, senza causare erosione del suolo.
Conseguenza
praticamente opposta è avvenuta invece a pochi km dalla borgata montana: nei
terreni seminativi in campo aperto, in contrada Bifarera, il torrente Frattina,
esondato col suo carico di fango e detriti, consumava presso le “Gole del Drago”, (con la sua potenza
distruttiva) anche una povera vita umana che stava recandosi a lavoro,
ritrovata successivamente lungo il corso del predetto torrente, a circa13 km di
distanza dalla propria macchina (nei pressi del Ponte Aranci).
Quindi,
visti gli effetti opposti appena descritti, avvenuti a pochi km fra loro, direi
(ma non è nulla di nuovo per gli ambientalisti) che il disboscamento
selvaggio avvenuto nel corso dei secoli è una delle principali cause dell’erosione
superficiale e del disastro ambientale appena avvento e che bisogna
assolutamenteportare all’attenzione degli organi competenti.
Oggi
nella nostra isola, a causa dell’alluvione che colpì anche il catanese ad
ottobre u.s., alcune produzioni agroalimentari di eccellenza isolane rischiano
seriamente la loro estinzione: a tal proposito, la stessa alluvione del 3
novembre ha causato la totale cancellazione delle strade rurali e molte frane
in agro di Castronovo di Sicilia dove insistono le aziende zootecniche che
producono gli ormai famosi ed eccellenti formaggi “Tuma Persa” e “Fiore Sicano”:
è infatti recente la campagna mediatica di alcuni Chef ed esperti agroalimentari
isolani dal titolo “Save Tuma Persa”, per
aiutare a salvare tali sfortunate aziende zootecniche colpite dalla predetta
alluvione.
Oggi,
ci fregiamo delle ottime produzioni eno-gastronomiche isolane (vini, oli,
cereali, formaggi…) ma la domanda è la seguente: “fino a quando possiamo
produrre prodotti agricoli di eccellente qualità con un territorio così fragile
e coltivando i terreni in modo da renderli più suscettibili all’erosione e
solamente sottraendovi energia (leggasi sostanza organica) senza restituirne
nulla (concimazioni organiche) alla risorsa pedologica del suolo?
La
risposta sarebbe banale anche per un non addetto ai lavori: basterebbe nutrire
le piante con concimi chimici e si risolve il problema dell’energia! Ebbene, il
problema è proprio lì e cercherò di spiegare l’altra possibile causa del
disastro agricolo-ambientale avvenuto a causa dell’alluvione nei suoli agrari.
L’avvento
della chimica e la sua applicazione nell’agricoltura del sud avvenne dagli
anni’70 del secolo scorso in poi, da quando cioè cominciarono a diffondersi
varietà di grano duro (geneticamente modificate) più produttive ma anche più
esigenti in termini di fertilizzanti chimici.
Per cui, si abbandonarono pian piano le vecchie tecniche di concimazione
letamica dei seminativi a favore della concimazione chimica. Anche in molte altre colture agrarie cominciò
ad applicarsi la concimazione chimica come ad esempio negli arboreti (vigneti,
oliveti..) abbandonando man mano le importantissime tecniche delle “cover
crop” (letteralmente colture
di copertura che vengono tra-seminate negli impianti arborei, oliveti,
vigneti.. per il solo scopo di essere interrate, incorporate nel terreno =
sovescio). Quest’ultimecolture di copertura, avevano una grande funzione
ambiatale di protezione del suolo dall’azione battente delle piogge ed
arricchivano lo stesso di sostanza organica, (nelle nostre campagne in passato
era una prassi corrente quella di traseminare negli arboreti la fava o il
favino per poi interrarli con le lavorazioni manuali o meccaniche).
Oggi
l’agricoltura è sempre più “di rapina” ossia, si pretende la massima
produttività dalle varietà seminate o piantate, spingendole con abbondanti
concimazioni chimiche. Inoltre, le “erbe infestanti” che competono con le
varietà seminate, vengono eliminate non più meccanicamente ma con potenti
diserbanti chimici (es. Glyphosate).
Pertanto,
l’eccessivo utilizzo della “chimica”
in agricoltura ed il concomitante abbandono delle vecchie tecniche che
restituivano la sostanza organica nel terreno come le cover crop e le letamazioni, hanno causato negli anni proprio il depauperamento
dei suoli dalla stessa sostanza organica, rendendoli di conseguenza più
poveri, più sterili, meno strutturati, più fragili e quindi, con una forte
pioggia, risultano più esposti all’erosione superficiale, specie i versanti in
pendio. Il depauperamento dei suoli dalla sostanza organica, unito alle
lavorazioni meccaniche a “rittochino” (aratura da monte a valle, lungo le linee
di massima pendenza) rendono un terreno ancor più suscettibile al dissesto e
all’erosione!
Pertanto,
le tecniche dell’agricoltura moderna appena descritte, l’avvento della chimica,
seppur rappresentano soluzioni più sbrigative e più produttive, presentano un
grande svantaggio ambientale: quello di rendere un terreno molto più fragile
agli eventi meteorici estremi come quello del 3 novembre u.s.
Infine,
e non per ultimo, l’altra causa del disastro idrogeologico avvenuto negli
ambienti rurali va individuata nell’abbandono delle campagne e nella sempre più
carente manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, anche quelli minuscoli,
presenti nel proprio terreno.
Fino
a poco tempo fa infatti, gli agricoltori rappresentavano delle vere e proprie
sentinelle del nostro territorio: essi ripulivano i canali di scolo delle
acque, dalle erbacce, dagli arbusti che vi crescevano, dalla terra che vi
andava a finire, rendendo efficiente un sistema idraulico-agrario di raccolta
delle acque piovane, anche in presenza di eventi calamitosi “estremi” come
quello che abbiamo vissuto due mesi orsono.
Pertanto,
considerando che gli esperti climatologi ormai parlano sempre più del
“cambiamento climatico”, sottolineando altresì che fenomeni estremi come quello
recentemente vissuto si potrebbero manifestare con più frequenza in futuro…. E
quindi?
Ci
sono diverse soluzioni, a mio avviso, che giustamente, chi governa un
territorio (Stato-Regioni-Enti vari…) dovrebbe cominciare a considerare
seriamente nelle proprie linee di indirizzo di politica agricola e ambientale.
In primis si dovrebbe seriamente investire con strumenti finanziari seri per il
ritorno degli agricoltori nei campi, vista la loro insostituibile importanza
per il presidio di un territorio e per la prevenzione dei dissesti.
A
tal fine, esistono ad oggi strumenti come i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) che
nei loro macro-obiettivi “dovrebbero” incentivare tale settore, ma in realtà,
l’ultima versione (il PSR 2014/2020) a
causa di una inadeguata e poco consapevole gestione …ha visto la Regione un po’
immobilizzata, con procedure lente e farraginose dei bandi, con il risultato di
non avere decretato ancora nessuna misura di investimento alle aziende
agricole... eppure lo strumento doveva portare in Sicilia entro il 2020
circa 2 miliardi di euro per il settore! Molti di questi soldi ahimè
ritorneranno a Bruxelles magari erogandoli alle regioni più virtuose che li
sapranno spendere ed investire adeguatamente!
Per
fronteggiare i disastri ambientali, bisognerebbe inoltre puntare sull’incremento
della superficie forestale: incentivare gli imboschimenti sui terreni agricoli
ubicati in aree più sensibili agli smottamenti, ad elevato rischio
idrogeologico e ad elevato rischio di desertificazione. Nei terreni ubicati invece in aree a meno
rischio idrogeologico, premiare seriamente quegli agricoltori che
adottano metodi agricoli comunque eco-compatibili (biologico, biodinamico, sistemi
integrati…). Nell’ultimo ventennio in Europa, si è affermata sempre di più il
metodo di coltivazione dell’agricoltura biologica, normata oggi dal nuovo
regolamento Reg. (UE) 848/2018, ed è proprio quella, una delle possibili
direzioni che bisogna assolutamente perseguire.
Con
l’agricoltura Bio si sancisce infatti il sacrosanto ritorno degli agricoltori
nelle campagne! Fra i benefici
dell’agricoltura eco-compatibile biologica infatti abbiamo, da un lato tutti i
vantaggi relativi all'ambiente, alla salvaguardia dei suoli e della sostanza
organica, comprendendo in essa anche il benessere degli animali. Dall'altro ci
sono tutti i vantaggi diretti per la salute umana che derivano da una dieta
basata sull'alimentazione biologica: non è ammesso in tale metodo agricolo
nessun prodotto chimico di sintesi in nessuna fase agricola (produzione,
coltivazione, trasformazione, assenza di organismi geneticamente modificati).
La
fertilizzazioneBio avviene con concimi naturali di origine organica, gli
agricoltori usano la sostanza organica magari auto-prodotta con i loro animali,
utilizzano le colture di copertura (cover crop, sovescio…) insomma, un ritorno
ad antiche pratiche che mirano al mantenimento degli equilibri del terreno con
tecniche agricole non aggressive che rendono il suolo agrario meno suscettibile
all’erosione.
Concludendo,
mi auguro che gli enti di Governo adottino, partendo già dal presente,
politiche di gestione del territorio e del paesaggio che incentivino tutte le
attività produttive compatibili con la salvaguardia ambientale sopradescritte:
favorendo il ritorno degli agricoltori nelle campagne, utili ed insostituibili
figure per la manutenzione del territorio, per la salvaguardia ambientale e la
prevenzione dei dissesti idro-geologici. Il fatto che oggiormaisi parli “sporadicamente”
dell’evento calamitoso in questione,suscita qualche preoccupazione…mentre, pur
avendo fatto il possibile, cerchiamo di “rimarginare le profonde ferite”
causate dall’alluvione, come ad esempio la voragine apertasi sull’ex torrente
S. Antonio!
Antonino
Barcia
Nessun commento:
Posta un commento