Le parole della neopolitica - Contratto di governo
Contratto di governo è un’espressione diventata quest’anno corrente nel
linguaggio politico e giornalistico italiano, per designare un «accordo
sottoscritto da formazioni politiche di diverso orientamento sulla base di
punti programmatici condivisi, come premessa vincolante di un’alleanza di
governo» (la definizione è quella del documentatissimo vocabolario dei neologismi di questo sito ).
Rinuncia al lessico dello Stato?
La prima attestazione di quest’anno
proviene da un post di Luigi De Maio ,
pubblicato il 4 aprile 2018, nel «Blog delle stelle»: «Per questo proponiamo un
contratto di governo come quello che viene sottoscritto dalle principali forze
politiche in Germania dal 1961. È un contratto in cui scriviamo nero su bianco,
punto per punto, quello che vogliamo fare, dove si spiega per filo e per segno
come si vogliono fare le cose e in quanto tempo. Dentro si inseriscono tutti i
dettagli delle cose che si devono fare, si firma davanti agli italiani e poi si
realizza. Quello che c’è scritto è ciò che il governo si impegna a fare. Non è
un accordo, né un’alleanza, è un impegno che forze politiche alternative, e
anche distanti, assumono davanti ai cittadini, prendendosi la responsabilità di
lavorare insieme per il bene degli italiani. Proponiamo di scrivere insieme
questo contratto di governo alla Lega o al Partito Democratico».
La scelta del termine contratto (invece
di accordo, e in contrapposizione a inciucio, con le sue
connotazioni dispregiative) ha suscitato molte perplessità. Come ha scritto
Omar Chessa, professore di Diritto costituzionale all’Università di Sassari, in
un intervento nel sito
lacostituzione.info : «dobbiamo chiederci perché la sfera pubblica
avverta il bisogno di mutuare la terminologia dalla sfera privata, preferendo
al lessico dello Stato quello della società civile (così come al government
si preferisce la governance); e perché la logica giusprivatistica del
contratto si sovrapponga alla logica giuspubblicistica dell’accordo di
coalizione».
Da Berlusconi al Koalitionsvertrag
Sul piano della storia del lessico,
la situazione è, però, più complessa. Innanzi tutto, l’introduzione
dell’istituto del contratto nella sfera politica ha importanti precedenti:
negli ultimi anni, il contratto firmato con la Casaleggio e Associati dagli
eletti del Movimento 5 Stelle negli organi degli Enti locali (contestato, anche
con un ricorso legale, che è stato rigettato dal Tribunale di Roma); ma,
soprattutto, andando un po’ indietro nel tempo, il «Contratto con gli italiani»
firmato unilateralmente da Silvio Berlusconi l'8 maggio 2001, cinque giorni
prima delle elezioni politiche, nel corso della trasmissione televisiva Porta a
Porta: un accordo contrattuale proposto direttamente dal leader al popolo,
senza la mediazione di partiti o di organismi istituzionali ed espressione,
quindi, di una forte azione di stampo populista.
Poi, i precedenti internazionali. Il
richiamo di Di Maio alla prassi tedesca è indiscutibile, ma con un’importante
variazione proprio sul piano lessicale: come si ricava dalla stampa tedesca, il
nome con cui ci si riferisce all’accordo tedesco tra CDU-CSU e SPD è Koalitionsvertrag,
“contratto di coalizione”, che non è proprio la stessa cosa di contratto di
governo. L’esatto corrispondente di contratto di governo (Regierungsvertag)
compare, invece, quasi esclusivamente in riferimento all’accordo italiano tra
Movimento Cinquestelle e Lega.
In Francia, prima del Sessantotto
Ma c’è una questione di fondo.
L’introduzione del concetto di contratto nel discorso politico non è una novità
dell’attuale fase politica, che possiamo forse denominare Terza Repubblica, né
della precedente cosiddetta Seconda Repubblica, ma risale già alla Prima
Repubblica. Si riesce a risalire al 1967, in un articolo di Giorgio Sansa
apparso nella prima pagina del «Corriere della sera» del 5 marzo: «Oggi il direttore del Figaro, dopo aver elogiato
Mendès-France come “unico e vero leader della sinistra”, ricorda ch’ebbe
il coraggio di ammettere che, senza un “contratto di governo” solido e
funzionante, l’opposizione non verrebbe a capo dei problemi nazionali».
L’espressione, dunque, ha una certa storia e un riferimento internazionale
diverso da quello enfatizzato nella fase attuale (il richiamo alla
Francia è presente anche un ventennio dopo, in un articolo apparso su
«Repubblica» del 7 luglio 1987, p. 14: «Continuerà a farlo liberamente. Il
contratto di governo deve essere rispettato. L’ho fatto fino ad ora scrupolosamente
e totalmente dice Leotard lo abbiamo firmato in due, bisognerebbe essere due
per romperlo»). Il ricorso all’espressione contratto di governo si è ben
presto trasferita all’ambito italiano, sia negli anni Sessanta (subito dopo,
quindi, la prima attestazione: «Il contratto stipulato tra federazione e
comunisti, o meglio la piattaforma comune per un eventuale contratto di governo
delle sinistre ha, se non altro, ridato vita a dibattiti a lungo e breve
termine in seno alla sinistra francese»: Angelo Quattrocchi, Avanti!, 2
marzo 1968, p. 7), sia negli anni Ottanta, e poi nei decenni successivi
(«L'onorevole Craxi chiese un contratto di governo di tre anni, come farebbe
ogni onesto professionista: così disse nel momento di assumere la carica di
presidente del Consiglio»: Eugenio Scalfari, «Repubblica» 7 maggio 1989, p. 2).
Anche a proposito di contratto di
governo, bisogna sottolineare che i percorsi delle parole politiche sono
più lunghi, tortuosi e intermittenti di quanto si possa credere.
MICHELE A. CORTELAZZO
*Università degli studi di Padova
Pezzo ripreso da http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Neopolitica2.html
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