04 gennaio 2019

LA MICROSTORIA DI C. GINZBURG




Nondimanco: Carlo Ginzburg tra Machiavelli e Pascal

Con il termine microstoria si intende una tendenza della ricerca storica, che però immediatamente ne trascende i confini per diventare storia del pensiero e della cultura, che a partire dagli anni Settanta e sotto l’influsso di tendenze straniere, una su tutte la scuola francese degli Annales, pratica una ricerca che trova suo luogo privilegiato nelle storie particolari e circoscritte di piccole comunità, avvenimenti che sfuggono alle indagini a vasta scala ma che offrono fondamentali chiavi di lettura.
Questo metodo, suggestivo e talvolta dai risvolti molto curiosi, ha trovato presto ricadute anche nei metodi della critica e della ricerca letteraria, in particolare nel cosiddetto «paradigma indiziario», una peculiare tecnica ermeneutica che attraverso degli indizi, delle piccole occorrenze e apparentemente insignificanti dettagli, permette al critico e al lettore di andare oltre l’opacità della pagina (come ha scritto Mario Lavagetto condensando questo procedimento, «a partire da essi sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande»).
Un ruolo fondamentale all’interno di questa scuola è rivestito dallo storico Carlo Ginzburg che in molti dei suoi libri, per esempio il celebre Il formaggio e i vermi con la storia dei processi per eresia nei confronti di Domenico Scandella, detto Menocchio, arriva a importanti conclusioni proprio attraverso l’utilizzo del metodo microstorico. Ma al di là dell’occorrenza nei suoi lavori, ciò che pare di avvertire nelle pagine dello studioso a sostegno di questo tipo di ricerca è una curiosità preziosa per la costruzione di importanti percorsi ermeneutici. Non deve allora stupire che il nuovo libro di Carlo Ginzburg, Nondimanco. Machiavelli, Pascal (pubblicato da Adelphi come i precedenti Storia notturna e Paura, reverenza, terrore) figuri come uno scrigno che, a partire da alcuni lampi delle opere di questi autori, si lancia in territori interpretativi vertiginosi: alla base di queste letture sta un modo di approcciare i testi che vive di una passione sconfinata, particolarmente evidente non solo nell’analisi puntuale delle opere prese in esame, ma anche nella creazione di una fitte rete di rimandi, in particolare tra due autori così distanti come Machiavelli e Pascal, ovvero tra lo studioso che osserva il mondo della politica con nobile disincanto e l’alfiere di un pensiero moralista.
Nel testo introduttivo che precede i saggi, nove di cui tre inediti, Ginzburg chiarisce il punto di contatto che ha mosso la ricerca: «Nondimanco comincia sostenendo che Machiavelli imparò dalla casistica medievale a riflettere sulla norma e sull’eccezione, e finisce analizzando la feroce polemica di Pascal contro la casistica. Che cosa consente di pensare insieme Machiavelli e Pascal? La risposta è: la teologia politica». La parola «nondimanco», che ritorna con una certa frequenza e regolarità nel Principe di Machiavelli quando lo scrittore indaga il confine tra il buon governo e le reali necessità dello stato, sta a segnalare una tensione che è poi ciò che muove tutto questo libro, cioè quella che si accende tra la norma, ovvero le regole che guidano l’agire, e l’eccezione, la realtà di fatto, confronto che nella lettura di Ginzburg viene filtrato attraverso la casistica medievale, che Machiavelli scoprì attraverso alcuni testi della biblioteca del padre.
I vari saggi si susseguono costituendo un itinerario simile alle pareti di un labirinto, ricche di porte e di accessi che in questa sede non è possibile illustrare tante sono le possibilità e tanto personali sono le modalità di ingresso: la consapevolezza, dopo aver terminato il libro, è lontana però dallo spaesamento e dona invece al lettore una forte fiducia nei confronti di una ricerca in grado scardinare preconcetti e “sentito dire”: alla fine Machiavelli e Pascal vivono sì di una lontananza, ma una lontananza che nasce da un corpo a corpo di Pascal con l’opera di Machiavelli, uno sforzo ermeneutico di cui diventa quasi più importante seguire l’itinerario piuttosto che accontentarsi del risultato. L’Appendice del libro, una «noterella su Il Gattopardo» è dedicata proprio a questa lettura profonda del testi: Ginzburg opera un ribaltamento dell’interpretazione della famosa frase di Tomasi di Lampedusa («Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi»), che sarebbe stata ispirata all’autore da un passaggio dei Discorsi di Machiavelli e che quindi assume un altro netto significato. Questa annotazione funziona però anche come un suono di allarme verso il pressappochismo dell’interpretazione, evidente in questo passaggio del Gattopardo ma che coinvolge anche, per esempio, alcuni luoghi cardine dell’opera di Machiavelli.
Nel saggio intitolato Virtù, giustizia, forza. Su Machiavelli e alcuni suoi lettori, Ginzburg, citando Leo Strauss, si concentra sulla relazione tra scrittura e persecuzione: «l’influenza della persecuzione sulla letteratura consiste per l’appunto nello spingere tutti quegli scrittori che pensano in modo eterodosso a sviluppare una ben precisa tecnica letteraria: quella tecnica cui alludiamo quando parliamo di “scrivere tra le righe”». In queste righe pare condensato il valore della ricerca di Ginzburg che infatti così commenta il passo di Strauss: «La ricerca consiste anche in questo: nel tentativo di afferrare qualcosa che è scritto tra le righe, in inchiostro invisibile, sulle testimonianze frammentarie del passato» e ancora, poco dopo, «una ricerca che eviti il rischio finirà col risultare innocua, cioè irrilevante». Da questa forza prende vita questo libro di Ginzburg, e pure tutta la sua opera, che si attesta come riferimento per chi voglia leggere oltre i caratteri stampati e come importante documento sui due autori racchiusi nel titolo.

Testo ripreso da  http://www.minimaetmoralia.it/

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